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LESSICO DI DIRITTO DI FAMIGLIA®
RIMBORSI E RESTITUZIONI IN COMUNIONE DEI BENI

I

L’identificazione della massa da dividere dopo la cessazione del regime di comunione

La cessazione del regime legale della comunione dei beni per una delle cause previste nell’art. 191 c.c. [1] – la più diffusa delle quali è certamente la separazione – o in seguito alla morte di un coniuge, determina il passaggio dei coniugi (o del coniuge superstite con gli altri eredi se ve ne sono) in una condizione di comunione ordinaria nella quale ciascuno ha il diritto potestativo di chiedere la divisione (concordata o giudiziale) dei beni comuni (in comunione immediata e in comunione de residuo)[2].

Le norme del regime legale prevedono che la divisione dei beni debba essere fatta per quote uguali – ripartendo, cioè, rigorosamente “in parti uguali l'attivo e il passivo” (art. 194 c.c.[3]) - senza possibilità, quindi, di pretendere conguagli in relazione all’eventuale diverso impegno di spesa tra i coniugi negli acquisti, ma, naturalmente, nel rispetto anche della diversa volontà dei condividenti i quali potrebbero anche accordarsi per soluzioni diverse.

Prima di effettuare però la divisione è necessario identificare correttamente la consistenza della massa da dividere attraverso quelle operazioni preliminari (eventuali) a cui fa riferimento nel codice l’art. 192 (Rimborsi e restituzioni); norma che attiene ai rapporti interni della vita di coppia.

Si potrà procedere alla divisione solo una volta individuata esattamente la massa comune da dividere. E per determinare esattamente la massa in comunione da dividere potrebbe essere necessario reintegrare la comunione (rimborsi) ove vi fossero stati nel corso del matrimonio prelievi per finalità personali da parte di uno o entrambi i coniugi o eliminare dalla massa (restituzioni) somme personali impiegate da uno o entrambi i coniugi per spese e investimenti del patrimonio comune.

Naturalmente la divisione concerne i beni comuni e non quelli esclusi dalla comunione, come i beni che appartenevano a ciascun coniuge da prima del matrimonio o che gli sono pervenuti per donazione o successione. Correttamente quindi questi beni possono essere prelevati da chi ne ha la proprietà e il prelevamento avviene al momento in cui si effettua la divisione. A queste operazioni fanno riferimento gli articoli 195 (Prelevamento dei beni mobili), 196 (Ripetizione del valore in caso di mancanza delle cose da prelevare) e 197 (Limiti al prelevamento nei riguardi dei terzi) che riguardano, appunto, il prelevamento, da parte dei coniugi o degli eredi, dei beni mobili che appartenevano ai coniugi stessi prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione, ovvero del loro valore.

In questa sede ci si sofferma sull’art. 192 (Rimborsi e restituzioni):

Ciascuno dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall'adempimento delle obbligazioni previste dall'articolo 186.

È tenuto altresì a rimborsare il valore dei beni di cui all'articolo 189, a meno che, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione da lui compiuto, dimostri che l'atto stesso sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia.

Ciascuno dei coniugi può richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune.

I rimborsi e le restituzioni si effettuano al momento dello scioglimento della comunione; tuttavia il giudice può autorizzarli in un momento anteriore se l'interesse della famiglia lo esige o lo consente.

Il coniuge che risulta creditore può chiedere di prelevare beni comuni sino a concorrenza del proprio credito. In caso di dissenso si applica il quarto comma. I prelievi si effettuano sul denaro, quindi sui mobili e infine sugli immobili.

Può essere utile ricordare che la disposizione sui rimborsi e sulle restituzioni, in quanto norma sulla comunione dei beni, trova anche applicazione, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, per le unioni civili (art. 1, comma 13, legge 20 maggio 2016, n. 76) e per i conviventi di fatto che, nell’eventuale contratto di convivenza, abbiamo scelto il regime della comunione dei beni (art. 1, comma 53 della legge indicata).


[1] Art. 191 (Scioglimento della comunione).

La comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l'annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi.

Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione dello scioglimento della comunione. (1)

Nel caso di azienda di cui alla lettera d) dell'articolo 177, lo scioglimento della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista dall'articolo 162.

[2] cfr la voce DIVISIONE DEI BENI DELLA COMUNIONE

[3] Art. 194 (Divisione dei beni della comunione)

La divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti uguali l'attivo e il passivo.

Il giudice, in relazione alle necessità della prole e all'affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei coniugi l'usufrutto su una parte dei beni spettanti all'altro coniuge.

Gianfranco Dosi
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