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LESSICO DI DIRITTO DI FAMIGLIA®
PROVE ATIPICHE

I

Principio di non tassatività dei mezzi di prova, ammissibilità e limiti delle prove atipiche

Il principio che il nostro sistema processuale non contiene una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova è stato affermato in giurisprudenza molte volte ed è presupposto in tutte le decisioni di legittimità e di merito che si sono occupate delle prove atipiche, cioè delle prove – talvolta chiamate innominate - non espressamente disciplinate nel codice di procedura civile. In tutte le decisioni si afferma che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo.

Espressamente il principio di non tassatività dei mezzi di prova, e di ammissibilità pertanto di prove atipiche, lo si trova affermato in Cass. civ. Sez. lavoro, 19 febbraio 1990, n. 1223 (Il nostro sistema processuale è informato al principio del libero apprezzamento da parte del giudice delle prove cosiddette atipiche, ammissibili nel nostro ordinamento, in mancanza di una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova), in Cass. civ. Sez. III, 26 settembre 2000, n. 12763 (Nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova. Ne consegue che il giudice può legittimamente porre alla base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo) e in Cass. civ. Sez. II, 25 marzo 2004, n. 5965 (Nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, per cui il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti).

L’atipicità può discendere da diverse cause, per esempio dal fatto che una prova tipica sia stata raccolta in una sede diversa da quella ove viene adoperata, ovvero dal fatto che mezzi probatori tipici siano utilizzati con una finalità diversa da quella che tradizionalmente è loro riservata (come avviene nel caso di chiarimenti resi dalle parti al CTU) o anche dalla modalità con cui la prova viene acquisita al giudizio (come avviene quando vengono depositate in giudizio dichiarazioni scritte provenienti da persone che potrebbero essere assunte come testimoni). L’atipicità si ricollega, quindi, al fatto che la prova non sia predeterminata, cioè non sia una prova inclusa tra quelle tipiche previste nel codice, ovvero che essa sia acquisita in maniera differente rispetto a quanto previsto dal modello legale.

Affermano la piena plausibilità del convincimento fondato sulle prove atipiche moltissime sentenze. Per fermarsi alle più recenti si possono ricordare Cass. civ. Sez. III, 20 gennaio 2015, n. 840 (Il giudice civile, in assenza di divieti di legge, può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche), Cass. civ. Sez. V, 6 giugno 2012, n. 9099 (l’ordinamento non pone preclusione all’utilizzo di prove atipiche), Cass. civ. Sez. Unite, 23 giugno 2010, n. 15169 (Le prove atipiche, il cui valore probatorio è meramente indiziario, possono contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo), Cass. civ. Sez. II, 5 marzo 2010, n. 5440 (Nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice, è ammessa la possibilità che egli ponga a fondamento della decisione prove non espressamente previste dal codice di rito), Cass. civ. Sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3642 (L’art. 116 c.p.c. conferisce al giudice di merito un potere ampiamente discrezionale del quale, allorché attengono alle cosiddette prove atipiche o innominate, va motivatamente giustificato l’uso), Cass. civ. Sez. lavoro, 27 marzo 2003, n. 4666 (Nell’ordinamento processuale vigente, in forza del principio di cui all’art. 116 c.p.c. il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo, con il solo limite di dare congrua motivazione dei criteri adottati per la sua valutazione).

Anche la giurisprudenza di merito ammette ampiamente le prove atipiche affermando esplicitamente o dando per presupposto il principio che il giudice di merito può trarre elementi di convincimento – analogamente al convincimento basato su presunzioni semplici ex art. 2729 c.c.o - anche sulla base di prove cosiddette atipiche purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se e in quanto non smentite dal raffronto critico con altre risultanze del processo e ciò in ragione dell’assenza nel nostro diritto processuale, di una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova (Trib. Reggio Emilia Sez. II, 1 dicembre 2014; Trib. Reggio Emilia, 3 luglio 2014; Trib. Bari Sez. lavoro, 13 maggio 2014; Trib. Nocera Inferiore Sez. II, 2 luglio 2013; Trib. Reggio Emilia, 23 maggio 2013; Trib. Taranto, 15 maggio 2013; Trib. Milano Sez. VII, 11 aprile 2013; Trib. Piacenza, 28 aprile 2010, Trib. Varese, 9 aprile 2010, Trib. Bari Sez. II, 27 gennaio 2010, App. Napoli Sez. III, 28 novembre 2008; App. Genova Sez. II, 20 giugno 2005; App. Bari, 15 aprile 2005; Giudice di pace Napoli Sez. IX, 21 gennaio 2005; Trib. Nola Sez. II, 30 gennaio 2004; Trib. Catania, 16 gennaio 2003; Trib. Roma, 20 maggio 2002).

In alcune delle decisioni di legittimità e di merito sopra ricordate si sovrappongono, forse sbadatamente, due specifici criteri di ammissibilità delle prove atipiche: il primo – di cui è sopra detto - fondato sull’assenza nel nostro sistema processuale di un principio di tassatività delle prove e l’altro fondato sul principio del libero convincimento scolpito nell’art. 116 del codice di procedura civile. In verità l’unico criterio che legittimamente può fondare il giudizio di ammissibilità delle prove atipiche è la mancanza nel nostro sistema processuale di un principio di tassatività dei mezzi di prova, in quanto effettivamente manca una norma che esclude prove diverse da quelle indicate nel codice. Ed anzi proprio il tenore dell’art. 2697 c..c. (“chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”) contiene un’affermazione che non sembra ammettere limitazioni di prova. Altrettanto può dirsi per l’art. 115 c.p.c. sulla “disponibilità delle prove” (“Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti…”).

L’altro criterio, cioè quello secondo cui l’ammissibilità delle prove atipiche deriverebbe dal principio del libero convincimento (art. 116 c.p.c.), è fuorviante perché riferibile non all’acquisizione della prova ma alla sua valutazione. Il libero convincimento cioè attiene alle prove acquisite e non certo alla loro ammissibilità.

Il riferimento all’art. 116 c.p.c. è plausibile quindi per estendere il principio del libero convincimento anche alle prove atipiche, non per fondarne l’ammissibilità.

L’art. 116 c.p.c. è collocato come è noto nel titolo V – dedicato ai poteri del giudice - nel primo libro del codice civile. La norma (sotto la rubrica “Valutazione delle prove”) prevede al primo comma che “Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti” (eccezione che fa riferimento alle cosiddette prove legali, quali per esempio l’atto pubblico, la scrittura privata autenticata, la confessione, il giuramento la cui efficacia è predeterminata dalla legge, impedendo al giudice di discostarsi dalle risultanze emerse) e al secondo comma che “Il giudice può desumere argomenti di provadalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire leispezioniche egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”.

Nell’interpretazione nel suo complesso dell’intera norma, viene costantemente - anche recentemente (Cass. civ. Sez. lavoro, 23 febbraio 2015, n. 3535) – ribadito il principio generale secondo cui a norma dell’art. 116 c.p.c., rientra nella discrezionalità del giudice di merito, individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute più idonee e rilevanti, con l’unico limite di fornire un’adeguata e logica motivazione.

Le “prove” che il giudice deve valutare secondo il suo prudente apprezzamento cui fa riferimento l’art. 116 c.p.c. sono, come sopra ricordato, sia quelle cosiddette libere che quelle legali. Le prove atipiche vanno collocate naturalmente all’interno della prima categoria. Il principio è, quindi, quello del libero apprezzamento delle prove senza alcuna gerarchia tra le stesse e senza alcuna norma di chiusura a casi tassativamente previsti. Si tratta di criteri diversi da quelli utilizzati in sede penale dove esiste un principio di tipicità dei mezzi di prova temperato, però, dal potere del giudice di assumere prove non disciplinate dalla legge se risultano idonee ad assicurare l’accertamento dei fatti (art. 189 c.p.c.).

Le prove atipiche possono essere, quindi, senz’altro poste dal giudice a fondamento del proprio convincimento purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo, con il solo limite di dare congrua motivazione dei criteri adottati per la loro valutazione. In Cass. civ. Sez. lavoro, 27 marzo 2003, n. 4666 si legge che “in base al principio postodall’art. 116 c.p.c., il giudice è libero di formare il proprio convincimento in base agli elementi probatori acquisiti al processo che ritiene rilevanti per la sua decisione, anche se non espressamente disciplinati dalla legge, utilizzando cioè anche le c.d. prove atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze, con il solo limite di dare congrua motivazione dei criteri adottati per la sua valutazione”.

Naturalmente anche le prove atipiche – di cui la dottrina segnala talvolta l’abuso da parte della giurisprudenza, soprattutto quando sono formate al di fuori del processo e acquisite nella causa - sono soggette alle limitazioni concernenti l’ammissibilità di tutte le prove in base ai principi generali dell’ordinamento con la conseguenza che esse saranno sottoposte a tutte le regole, anche di preclusione, previste nel codice a garanzia del contraddittorio (art. 183 c.p.c. ivi compresa la disposizione dell’ottavo comma – dettata per evitare le sentenze a sorpresa - che impone al giudice di provocare il contraddittorio in caso di mezzi di prova che egli intenda disporre d’ufficio) e con l’ulteriore conseguenza che non potranno essere considerate ammissibili o utilizzabili prove atipiche illegittime (Cass. civ. Sez. III, 20 gennaio 2015, n. 840 esclude che le prove atipiche possano essere ammesse in contrasto con il paradigma legale, sostanziale e processuale, che connota ciascuna prova tipica e, dunque, nel caso in cui con la prova atipica si vengano a superare i divieti di carattere sostanziale o processuale che sono coessenziali alla stessa prova tipica come l’introduzione di una deposizione di incapace a testimoniare ovvero l’introduzione di una deposizione che violi le regole poste dagli art. 2721 c.c. e segg. sulla prova testimoniale. Qualche cenno anche in materia tributaria in Cass. civ. Sez. V, 22 settembre 2011, n. 19338 e Cass. civ. Sez. Unite, 21 novembre 2002, n. 16424 sulla illegittimità in ambito tributario degli atti fondati esclusivamente su informazioni anonime).

L’art. 116 conferisce, perciò, al giudice di merito un potere ampiamente discrezionale del quale, allorché attengono alle cosiddette prove atipiche o innominate, va motivatamente giustificato l’uso e non già il mancato uso, come accade invece nel caso delle prove tipiche (Cass. civ. Sez. II, 18 aprile 2002, n. 5635 e Cass. civ. Sez. II, 24 febbraio 2004, n. 364, ma già anche in passato Cass. 26 febbraio 1983 n. 1503, dove si precisa che “il disposto dell’art. 116 c.p.c., comma 2, attribuisce al giudice del merito un potere ampiamente discrezionale del quale, in caso di prove atipiche od innominate, a differenza dall’ipotesi di mancata valutazione delle prove tipiche e salvo sempre anche in tal caso il principio del libero convincimento, va motivatamente giustificato l’uso e non invece il non uso).

Gianfranco Dosi
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