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LESSICO DI DIRITTO DI FAMIGLIA®
PARTO ANONIMO

I

Il diritto della donna di partorire nell’anonimato

a) Il quadro legislativo

L’art. 30 del DPR 3 Novembre 2000 n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile) prevede al primo comma che "La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata"[1].

Il diritto di partorire nell’anonimato non era previsto nell’originario ordinamento di stato civile (approvato con Regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238) ed ha trovato espresso riconoscimento normativo solo in epoca recente ad opera della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo), la quale ha inserito nell’art. 70 di quella legge – che si occupava della dichiarazione di nascita - l’inciso “rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”, successivamente transitato inalterato nel vigente art. 30 del DPR 3 novembre 2000, n. 396.

L’espressione “rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata” significa che la donna può chiedere di partorire nell’anonimato e cioè di non indicare le proprie generalità in modo da non lasciare elementi che consentano in futuro la sua identificazione.

Con questa dichiarazione la madre quindi, se coniugata neutralizza di fatto la presunzione di paternità del marito impedendo che essa possa sorgere, se nubile rinuncia a riconoscere il figlio. Il diritto a partorire nell’anonimato vale, quindi, sia per la madre che partorisce nel matrimonio, che per il parto fuori dal matrimonio[2].

Nel certificato di assistenza al parto (CeDAP)[3] in caso di richiesta dell’anonimato i dati relativi alla partoriente sono sostituiti dal codice 999 che significa “donna che non vuole essere nominata” che attesta, appunto, la volontà della donna di partorire nell’anonimato. Come si dirà tra breve è comunque assicurato un raccordo tra il certificato di assistenza al parto privo dei dati idonei a identificare la donna che non consente di essere nominata con la cartella clinica custodita presso il luogo dove è avvenuto il parto. Ciò rende sempre tecnicamente possibile l’individuazione della madre biologica.

La compilazione del Certificato di assistenza al parto da parte dell’ostetrica era originariamente regolamentato dal D.M. 19 aprile 1978 e della Circolare esplicativa del 12 gennaio 1985 dell’allora Ministero di Grazia e Giustizia che disciplinavano le modalità di rilevazione delle nascite. Il successivo (attualmente vigente) Regolamento del Ministero della salute 16 luglio 2001, n. 349 recante: "Modificazioni al certificato di assistenza al parto, per la rilevazione dei dati di sanità pubblica e statistici di base relativi agli eventi di nascita, alla nati-mortalità ed ai nati affetti da malformazioni", cui ha fatto seguito la circolare ministeriale n.15 del 19 dicembre 2001, ha innovato la disciplina giuridica (abrogando il precedente decreto ministeriale del 1978) ed ha separato nell’ambito della rilevazione delle nascite la parte amministrativa (contenente i dati relativi alla nascita da inviare all’ufficiale di stato civile con un apposito attestato finalizzato alla formazione dell’atto di nascita) da quella informativa ai fini statistici (contenenti dati ulteriori di uso anche epidemiologico, per esempio eventuali malformazioni del neonato e le caratteristiche socio-demografiche dei genitori). Agli uffici di stato civile andranno (con una apposita attestazione di nascita) i dati necessari alla formazione dell’atto di nascita, mentre in sede di organizzazione sanitaria saranno comunicati e diffusi solo i dati di tipo statistico ed epidemiologico.

Nel caso di parto anonimo in seguito all’invio agli uffici di stato civile dell’attestazione con l’indicazione che la madre non vuole essere nominata, l’ufficiale di stato civile forma l’atto di nascita attestando che il neonato è “nato da donna che non consente di essere nominata”. In tal caso la nascita, come meglio si dirà, viene segnalata all’autorità giudiziaria minorile per l’avvio della procedura di adottabilità.

Al momento dell’accettazione nella struttura sanitaria i dati della partoriente sono sempre riportati e conservati nei registri dell’ospedale o della clinica così come, ugualmente, viene sempre compilata la cartella clinica con i dati personali della donna che ha partorito. Proprio grazie alle generalità contenute nei registri dell’ospedale e nella cartella clinica sarà sempre possibile in futuro, quindi – nei limiti che la legge indica - l’identificazione della madre che ha partorito.

Il decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 (codice in materia di protezione dei dati personali) all’art. 93 (Certificato di assistenza al parto), prevede che

1. Ai fini della dichiarazione di nascita il certificato di assistenza al parto è sempre sostituito da una semplice attestazione contenente i soli dati richiesti nei registri di nascita. Si osservano, altresì, le disposizioni dell'articolo 109.

2. Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata avvalendosi della facoltà di cui all'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del documento.

3. Durante il periodo di cui al comma 2 la richiesta di accesso al certificato o alla cartella può essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, osservando le opportune cautele per evitare che quest'ultima sia identificabile.

Il primo comma tutela in generale la riservatezza della donna che ha scelto di riconoscere il figlio rispetto ai dati di tipo sanitario, statistico ed epidemiologico non strettamente necessari per la compilazione e la formazione dell’atto di nascita. Quindi i dati che andranno inseriti nell’atto di nascita sono indicati in una attestazione “contenente i soli dati richiesti nei registri” di stato civile e non anche tutte le altre molteplici informazioni personali contenute nel certificato di assistenza al parto.

Il secondo e il terzo comma tutelano, invece, la riservatezza della donna che ha scelto di partorire nell’anonimato e, quindi, di non riconoscere il figlio. Le generalità della partoriente saranno accessibili solo dopo cento anni (secondo comma) - durata idealmente eccedente quella della vita umana – con possibilità, tuttavia di accesso, anche prima, ad informazioni importanti per esempio di tipo genetico necessarie alla tutela della salute dei discendenti, con le cautele necessarie ad evitare l’identificazione della donna, (terzo comma).

Solo la normativa sull’adozione prevede la possibilità di accesso ai dati identificativi della partoriente anche prima dei cento anni da parte dell’adottato, ai fini della ricerca delle proprie origini[4].

b) I motivi della scelta del legislatore

Il motivo per il quale il legislatore attribuisce alla partoriente il diritto all’anonimato è stato bene esplicitato nelle sentenze che si sono occupate del bilanciamento tra il diritto all’anonimato e il diritto alla ricerca delle proprie origini: Corte costituzionale, 25 novembre 2005, n. 425 (“È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 nella parte in cui esclude la possibilità di autorizzare l'adottato all'accesso alle informazioni sulle sue origini nel caso in cui, ove la madre naturale abbia manifestato la volontà di non essere nominata, non condiziona il divieto per l'adottato di accedere alle informazioni sulle origini alla previa verifica, da parte del giudice, dell'attuale persistenza di quella volontà”); la successiva di segno opposto Corte costituzionale 22 novembre 2013 n. 278 (“E’ fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 come sostituito dall'art. 177, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 nella parte in cui non prevede - attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza - la possibilità per il giudice di interpellare la madre - che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell'art. 30, comma 1, del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione”) nonché Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 13 febbraio 2003 (“In materia di accesso ai documenti amministrativi, non viola l'art. 8 della Convenzione il diniego di comunicazione delle informazioni riguardanti le generalità dei genitori naturali, qualora questi ultimi non abbiano manifestato il consenso alla divulgazione”) secondo le quali la ratio sottesa al diritto all’anonimato materno è quella di evitare aborti, specie clandestini, infanticidi e abbandoni di neonati. Si intende cioè offrire alla donna e al bambino una alternativa ai comportamenti abbandonici, consentendo alla madre di dare alla luce il figlio senza che ciò comporti la necessità di instaurare con il neonato alcun legame giuridico.

Si legge sia in Corte cost. 25 novembre 2005, n. 425 che nella successiva Corte costituzionale 22 novembre 2013 n. 278 che il sistema garantisce i diritti della gestante che in situazioni particolarmente difficili dal punto di vista personale, economico o sociale abbia deciso di non tenere con sé il bambino. In tal modo si offre alla madre la possibilità di partorire in una struttura sanitaria appropriata e di mantenere al contempo l'anonimato nella conseguente dichiarazione di nascita: e in tal modo si intende - da un lato - assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali, sia per la madre che per il figlio, e - dall'altro - distogliere la donna da decisioni irreparabili, per quest'ultimo ben più gravi.

c) Divieto del parto anonimo in caso di procreazione medicalmente assistita

In base alla previsione contenuta nell’art. 9 della legge 11 febbraio 2004, n. 40 sulla procreazione assistita[5], la madre del nato, a seguito dell'applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita, non può manifestare la volontà di non essere nominata. Si tratta di un divieto ragionevole, motivato dall’intento di responsabilizzare chi opera tale scelta procreativa.


[1] Art. 30 (Dichiarazione di nascita)

1. La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata.

2. Ai fini della formazione dell'atto di nascita, la dichiarazione resa all'ufficiale dello stato civile è corredata da una attestazione di avvenuta nascita contenente le generalità della puerpera nonché le indicazioni del comune, ospedale, casa di cura o altro luogo ove è avvenuta la nascita, del giorno e dell'ora della nascita e del sesso del bambino.

3. Se la puerpera non è stata assistita da personale sanitario, il dichiarante che non è neppure in grado di esibire l'attestazione di constatazione di avvenuto parto, produce una dichiarazione sostitutiva resa ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.

4. La dichiarazione può essere resa, entro dieci giorni dalla nascita, presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto o in alternativa, entro tre giorni, presso la direzione sanitaria dell'ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta la nascita. In tale ultimo caso la dichiarazione può contenere anche il riconoscimento contestuale di figlio naturale e, unitamente all'attestazione di nascita, è trasmessa, ai fini della trascrizione, dal direttore sanitario all'ufficiale dello stato civile del comune nel cui territorio è situato il centro di nascita o, su richiesta dei genitori, al comune di residenza individuato ai sensi del comma 7, nei dieci giorni successivi, anche attraverso l’utilizzazione di sistemi di comunicazione telematici tali da garantire l'autenticità della documentazione inviata secondo la normativa in vigore.

5. La dichiarazione non può essere ricevuta dal direttore sanitario se il bambino è nato morto ovvero se è morto prima che è stata resa la dichiarazione stessa. In tal caso la dichiarazione deve essere resa esclusivamente all'ufficiale dello stato civile del comune dove è avvenuta la nascita.

6. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente articolo, gli uffici dello stato civile, nei loro rapporti con le direzioni sanitarie dei centri di nascita presenti sul proprio territorio, si attengono alle modalità di coordinamento e di collegamento previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 10, comma 2.

7. I genitori, o uno di essi, se non intendono avvalersi di quanto previsto dal comma 4, hanno facoltà di dichiarare, entro dieci giorni dal parto, la nascita nel proprio comune di residenza. Nel caso in cui i genitori non risiedano nello stesso comune, salvo diverso accordo tra di loro, la dichiarazione di nascita è resa nel comune di residenza della madre. In tali casi, ove il dichiarante non esibisca l'attestazione della avvenuta nascita, il comune nel quale la dichiarazione è resa deve procurarsela presso il centro di nascita dove il parto è avvenuto, salvo quanto previsto al comma 3.

8. L'ufficiale dello stato civile che registra la nascita nel comune di residenza dei genitori o della madre deve comunicare al comune di nascita il nominativo del nato e gli estremi dell'atto ricevuto.

[2] Lo si deduce chiaramente, per quanto serva, dall’art. 29 dove si precisa che nella dichiarazione di nascita si indicano le generalità dei genitori coniugati nonché di quelli che rendono la dichiarazione di riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio.

[3] Ministero della Sanità, Decreto 16 luglio 2001, n. 349, Art. 1.

1. È approvato il nuovo certificato di assistenza al parto, in seguito denominato "certificato", quale strumento utilizzabile ai fini statistici e di sanità pubblica, secondo l'allegato schema esemplificativo di base che costituisce parte integrante del presente regolamento.

2. Il certificato, che contiene almeno le informazioni riportate nello schema allegato, è composto delle seguenti sezioni:

sezione generale;

sezione A: informazioni socio-demografiche sul/sui genitore/i;

sezione B: informazioni sulla gravidanza;

sezione C: informazioni sul parto e sul neonato;

sezione D: informazioni sulle cause di nati-mortalità;

sezione E: informazioni sulla presenza di malformazioni.

(omissis)

4. Il certificato viene redatto, non oltre il decimo giorno dalla nascita, a cura dell'ostetrica/o o del medico che ha assistito il parto o del medico responsabile dell'unità operativa in cui è avvenuta la nascita per le sezioni A, B e C, ed a cura del medico accertatore per le sezioni D ed E.

5. L'originale del certificato viene conservato presso la direzione sanitaria degli istituti di cura pubblici e privati in cui è avvenuto il parto.

(omissis)

[4] Cfr la voce RICERCA DELLE PROPRIE ORIGINI

[5] Cfr la voce PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

Gianfranco Dosi
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