Introduzione - Il quadro normativo
Si deve alla legge 4 aprile 2001, n. 154 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari)[1] l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico di specifici ordini di protezione contro gli abusi familiari disciplinati sul versante civile dal nuovo titolo IX bis del primo libro del codice civile (articoli 342-bis e 342-ter c.c.) e sul versante penale dalla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.), cui si è aggiunta, con il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, la misura cautelare autonoma del “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa” (art. 282-ter c.p.p.).
L’art. 342-bis c.c. esplicita i presupposti per l’emissione degli ordini di protezione in ambito civile prevedendo (nel testo modificato dalla legge 6 novembre 2003, n. 304[2]) che “Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342-ter”.
A sua volta l’art. 342-ter individua il contenuto degli ordini di protezione, la sua durata e le modalità per la sua attuazione[3].
Gli ordini di protezione in sede penale sono stati costruiti, invece, come “misure cautelari”, in particolare come misure di coercizione dell’imputato e al tempo stesso di protezione della persona offesa.
La legge 154/2001 aveva individuato l’unica misura nell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) a cui poi, come si è detto, una riforma del 2009, ha aggiunto il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.). In connessione con la misura cautelare dell’allontanamento è anche prevista, analogamente a quanto avviene in ambito civile, la misura cautelare del pagamento periodico di un assegno.
Statisticamente le misure civili hanno incontrato nella prassi meno fortuna rispetto alle misure cautelari penali più largamente utilizzate, negli ultimi anni, per il contrasto alla violenza soprattutto di genere. Tra le tante ragioni della miglior fortuna delle misure penali certamente vi è l’aumentata sensibilità, tempestività ed efficienza, rispetto al passato, del sistema penale a tutela delle vittime di abusi domestici.
[1] Cfr il testo in appendice
[2] La legge 304/2003 ha abolito la condizione di applicabilità della misura civile, prevista nel testo originario dell’art 342, che la condotta non costituisse reato procedibile di ufficio..
[3] Art. 342-ter (Contenuto degli ordini di protezione)
Con il decreto di cui all’articolo 342-bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro.
Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.
Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui ai precedenti commi, stabilisce la durata dell’ordine di protezione, che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore ad un anno [all’origine “sei mesi”, portati ad un anno da una riforma del 2009] e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.
Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario.