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LESSICO DI DIRITTO DI FAMIGLIA®
MEDIAZIONE CIVILE E COMMERCIALE - Aggiornamento a cura dell'avv. Violetta Dosi - Gennaio 2021

I

(Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, come modificato dal decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 98)

La normativa sulla mediazione civile e commerciale è contenuta sostanzialmente nel decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, emanato sulla base della delega contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 60 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile) fortemente influenzato dalla direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.

In seguito alla sentenza con cui Corte cost. 6 dicembre 2012, n. 272 dichiarò l’illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 5 del decreto legislativo 28/2010 (la cui questione era stata sollevata da T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 12 aprile 2011, n. 3202) nella parte in cui, eccedendo la delega legislativa, aveva previsto che in alcune specifiche ipotesi il procedimento di mediazione fosse da considerare condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la normativa sulla mediazione venne fatta oggetto di una consistente riforma operata con il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, (cosiddetto decreto “del fare”) convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 che reintrodusse con legge (riparando, perciò, al difetto rilevato dalla Corte costituzionale) le ipotesi di obbligatorietà del tentativo di mediazione, cogliendo però anche l’occasione per altri significativi interventi di riforma.

In particolare la riforma del 2013 introduceva (con decorrenza dal 20 settembre 2013) a) un criterio di competenza territoriale per la presentazione della domanda; b) il principio che il procedimento di mediazione è subordinato al consenso delle parti espresso in un incontro preliminare di programmazione; c) che lo svolgimento dell'incontro preliminare di programmazione della mediazione è condizione di procedibilità (in materie espressamente indicate) e deve svolgersi entro 30 giorni dal deposito dell'istanza; d) la gratuità del primo incontro di programmazione in caso di mancato accordo; e) l’esclusione delle controversie sulla responsabilità civile derivante dalla circolazione automobilistica dalle materie per cui è previsto l'incontro di programmazione, f) l’aggiunta delle controversie in tema di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria; g) il fatto che il giudice può ordinare alle parti di procedere alla mediazione e non solo invitarle; h) la durata massima dell'intera procedura ridotta a tre mesi; i) il principio che gli avvocati sono mediatori di diritto ed hanno l’obbligo di aggiornamento professionale, l) che gli avvocati assistono le parti durante l’intera procedura di mediazione; m) una nuova disciplina in tema di efficacia esecutiva dell’accordo di mediazione.

Nel frattempo la legge 11 dicembre 2012, n. 220, aveva disciplinato la mediazione in materia di controversie condominiali, introducendo l’art. 71-quater nelle disposizioni di attuazione del codice civile che prescrive la competenza territoriale obbligatoria del luogo in cui si trova il condominio e la necessità dell’amministratore di munirsi, per partecipare alla mediazione o per la proposta di mediazione, di delibera assembleare (da approvarsi con la maggioranza dell’art. 1136, comma 2, c.c. e cioè del numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio).

Qualche ulteriore modifica venne poi introdotta dall'art. 1-bis, comma 2,del decreto legislativo 6 agosto 2015, n. 130 di attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori.

Per quanto attiene alle fonti giuridiche va anche menzionato il decreto interministeriale 18 ottobre 2010, n. 180(Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28).

Di mediazione civile, come si è all’inizio accennato, si era occupata anche l’Unione Europea, con la Direttiva 2008/52/CE del 21 maggio 2008 (Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale) volta a fornire agli Stati membri le linee da seguire per facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e per promuovere la composizione conciliativa delle controversie. Successivamente se ne sono anche occupati la Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2011 sull'attuazione della direttiva sulla mediazione negli Stati membri, il Regolamento 21 maggio 2013 n. 524 per i consumatori, la Direttiva 21 maggio 2013 n. 11 sull’ADR per i consumatori e la Relazione 26.8.2016 della Commissione europea sull’applicazione della direttiva 2008/52/CE.

* * *

Se si guarda alle riforme che il legislatore ha introdotto in questi ultimi anni – dalla mediazione civile alla negoziazione assistita - ci si accorge che, con l’obiettivo dichiarato di rispondere a necessità strutturali di carattere deflattivo e alternativo, il sistema della giustizia si è andato costruendo nel tempo intorno a tre pilastri che sembrano connotarlo ormai in un modo che appare stabile e definitivo. Per la soluzione delle controversie nell’area dei diritti disponibili il sistema giustizia si presenta oggi – in una coraggiosa e competitiva sinergia tra apparati pubblici e organismi privati – come insieme di alternative interscambiabili caratterizzate ciascuna da differenti fattori di appetibilità e di fattibilità.

Le procedure alternative dovranno prima o poi diventare la regola e non l’eccezione per la soluzione delle controversie su diritti disponibili e pertanto va invertito il tradizionale approccio al tema dell’inquadramento sistematico che mette in genere al primo posto la giurisdizione e ai posti successivi l’arbitrato, la mediazione e la negoziazione.

Al primo posto, come primo pilastro, vanno quindi collocate oggi la mediazione civile e commerciale e la negoziazione assistita, finalizzate entrambe alla soluzione consensuale delle controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili. Si tratta di un pilastro rinvenibile nell’esperienza giuridica di molti altri Paesi e che ha raggiunto nell’ambito della giustizia una propria dignità di sistema consensuale a prescindere ed oltre le esigenze di deflazione del carico giurisdizionale. La potenzialità deflattiva di questo sistema di risoluzione alternativa dei conflitti non può più essere considerata la sua funzione primaria che va, invece, rintracciata nel suo ruolo parallelo di sistema di giustizia basato sul consenso e non sulla coazione. Il termine “conciliazione”, che prima di oggi connotava da solo nel linguaggio comune sia la procedura tesa alla soluzione consensuale di una controversia sia l’atto in sé dell’accordo, è stato molto opportunamente sostituito da quello di “mediazione finalizzata alla conciliazione della controversia” o di “negoziazione assistita da avvocati” che riesce a dare meglio l’idea della circostanza che per giungere a risolvere una controversia è necessario un percorso di avvicinamento che, sia pure senza particolari formalismi, deve pur sempre avere un proprio setting senza il quale perderebbe la propria plausibilità. In questo contesto va ribadito che la “conciliazione” non è l’abbandono di una pretesa, quasi una riconciliazione, ma la soluzione consensuale di un conflitto. Il momento finale di un confronto tra le parti.

L’arbitrato costituisce l’altro pilastro della giustizia, il secondo. Non solo e non tanto il tradizionale e solenne arbitrato rituale, ma soprattutto di quello previsto nell’art. 808-ter c.p.c (arbitrato irrituale) – introdotto dal D. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – dove si legge che “le parti possono […] stabilire che la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale”. A questo modello di diritto comune sono riconducibili le modalità di arbitrato varate per i conflitti di lavoro dalla riforma di cui all’art. 31 della l. 4 novembre 2010, n. 183 che ha previsto con decorrenza dal 24 novembre 2010 la risoluzione arbitrale irrituale delle controversie davanti alle commissioni di conciliazione (nuovo art. 412 c.p.c.) o con le eventuali modalità previste dai contratti collettivi (nuovo art. 412-ter, c.p.c.) ovvero davanti ad appositi collegi di conciliazione e arbitrato irrituale per i quali è stata anche introdotta una propria agile procedura (nuovo art. 412-quater, c.p.c.). Sono queste le nuove forme di risoluzione arbitrale delle controversie nel campo dei conflitti di lavoro ai quali il legislatore è giunto recentemente, nel contesto e a conclusione di un più vasto intervento legislativo di riforma realizzatosi in questo settore negli ultimi anni.

Il terzo pilastro resta pur sempre quello importante della giurisdizione alla quale permane, in virtù della riserva costituzionale di cui al fondamentale art. 24 della Costituzione, la responsabilità primaria di garantire coazione alle domande di giustizia poste dalla conflittualità sociale, nel rispetto irrinunciabile del diritto di chiunque di agire in giudizio per la tutela contenziosa dei propri interessi e dei propri diritti, disponibili e non disponibili. Il nostro sistema processuale civile, pur soffrendo di rigidità tali che pensare di modificarlo con qualche ritocco è utopistico, continua ad apprestare faticosamente tutele nei tradizionali settori della cognizione, dell’esecuzione e delle garanzie cautelari. Considerate le dimensioni dello sforzo riformatore necessario e l’intasamento delle aule di giustizia, non si può escludere che, ove il trend in tema di procedure alternative riuscisse ad incoraggiare riforme più radicali, il contenuto della giurisdizione possa circoscriversi un giorno alla tutela dei soli diritti indisponibili e al controllo sulle decisioni rese nell’ambito dei sistemi alternativi.

Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’art. 60 delle legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), come modificato dal decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 98.


Capo I



Disposizioni generali


Art. 1 [1]


Definizioni

1. Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per:


a) mediazione: l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa;


b) mediatore: la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo;


c) conciliazione: la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione;


d) organismo: l'ente pubblico o privato, presso il quale si svolge il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto;


e) registro: il registro degli organismi istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell'articolo 16 del presente decreto, nonché, sino all'emanazione di tale decreto, il registro degli organismi istituito con il decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222.


Il primo articolo della legge – che con la riforma del 2013 non è stato sostanzialmente modificato rispetto al testo originario - si prefigge di dare la definizione dei termini più significativi del settore disciplinato.

L’aspetto che più merita di essere segnalato è la distinzione che viene proposta tra la mediazione (intesa come procedimento finalizzato a raggiungere un accordo) e la conciliazione (intesa come l’accordo con cui si compone la controversia). La mediazione civile e commerciale è un procedimento, quindi, volto alla possibile conciliazione di una controversia e non si confonde con la conciliazione in sé.

Il mediatore viene indicato come la persona fisica (o le persone fisiche) che, individualmente o come collegio svolgono la mediazione, prive di potere giudicante .

Il procedimento di mediazione si svolge su istanza degli interessati, presso uno degli organismi, iscritti nel registro istituito con decreto del Ministro della giustizia. Si occupa specificamente degli organismi l’art. 16 della legge.

Art. 2 [2]


Controversie oggetto di mediazione


1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto.


2. Il presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi.


La mediazione civile è prevista per la soluzione delle sole controversie su diritti disponibili. E’ questo il dato che accomuna tutte le alternative alla risoluzione giudiziaria dei conflitti, quali l’arbitrato (art. 806 c.p.c.), la negoziazione assistita da avvocati (l’art. 2, comma 2, lett. b, decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito nella legge 10 novembre 2014, n. 162) ed anche la transazione (art. 1966 c.c.). Il principio non concerne naturalmente gli aspetti risarcitori (che sono diritti disponibili) relativi alla violazione di un diritto indisponibile.

La disposizione (rimasta invariata nella formulazione originaria) si presenta come genericamente riferita all’accesso alle procedure di mediazione ai fini della conciliazione di una controversia. In realtà l’accesso è connotato e disciplinato in modo diverso a seconda delle ipotesi che la normativa prevede. Infatti non sempre l’accesso alla mediazione è volontario e facoltativo (spesso anche concordato tra le parti); in alcuni casi è previsto dome obbligatorio (nello specifico allorché la legge lo prevede come condizione di procedibilità di una eventuale domanda giudiziaria o perché consegue ad un ordine del giudice).

In passato si è sempre parlato tradizionalmente di mediazione facoltativa (o volontaria) per riferirsi alle ipotesi in cui non è previsto alcun obbligo per le parti di accedere ad un procedimento di mediazione; di mediazione obbligatoria per riferirsi alle specifiche ipotesi previste dalla legge in cui le parti sono obbligate, prima di rivolgersi al giudice, ad esperire (a pena di improcedibilità della domanda) il procedimento di mediazione; di mediazione delegata per riferirsi al possibile invito rivolto alle parti dal giudice a promuovere una procedura di mediazione.

La riforma del 2013 ha riscritto in buona parte l’art. 5 che ora prevede quindi al comma 1-bis le ipotesi di mediazione obbligatoria ante causam, al comma 2 il potere del giudice in corso di causa, “valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti” di disporre, anche in sede di appello, che le parti accedano alla mediazione; di mediazione concordata allorché l’obbligo del previo ricorso alle mediazione civile è contenuto come clausola in un contratto o in un atto (per esempio costitutivo di un ente).

A seguito delle riforme del 2013 la classificazione tradizionale va perciò riformulata in quanto anche la mediazione demandata dal giudice (che prima della riforma del 2013 costituiva solo un invito alla mediazione), come d’altra parte quella (già nel testo originario) riferibile a clausole contrattuali che prevedono l’obbligo della previa mediazione, sono di fatto ipotesi in cui il tentativo di raggiungere un accordo è obbligatorio e costituiscono, anche a processo già iniziato, condizione di procedibilità della domanda.

Si può quindi proporre una bipartizione che preveda da un lato la mediazione facoltativa (anche eventualmente su invito del giudice che si ritiene sopravviva alla riforma) e dall’altro le tre ipotesi di mediazione obbligatoria (in primo luogo le ipotesi previste nell’art. 5, comma 1-bis; poi le ipotesi di mediazione demandata dal giudice in primo grado o in appello a cui si riferisce l’art. 5, comma 2; e da ultimo le ipotesi di clausole contrattuali che rendono obbligatoria per le parti la previa mediazione, a cui si riferisce l’art, 5, comma 5).

La previsione della obbligatorietà della mediazione non comporta che le parti siano obbligate a raggiungere un accordo, ma solo che si adoperino per raggiungerlo. È, quindi, il tentativo di raggiungere l’accordo, e non il raggiungimento dello stesso, ad essere obbligatorio. Anche per tale motivo si parla di mediazione obbligatoria (come obbligo di avviare la procedura di mediazione) e non di conciliazione obbligatoria

Le interferenze tra mediazione e processo civile sono disciplinate dall’art. 5 della normativa.

In giurisprudenza Trib. Roma Sez. VIII, 28 gennaio 2016 ha ritenuto che la Pubblica Amministrazione è tenuta alla partecipazione al procedimento di mediazione in quanto la partecipazione al procedimento di mediazione, per esempio delegata dal giudice, è obbligatoria per legge e proprio in considerazione di ciò non è giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in danno erariale a seguito della conciliazione.

Anche il giudizio sull’equa riparazione per durata irragionevole del processo ex art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 secondo Cass. civ. Sez. Unite, 22 luglio 2013, n. 17781 costituisce materia di diritto disponibile soggetto alla mediazione facoltativa.


Capo II


Del procedimento di mediazione


Art. 3 [3]


Disciplina applicabile e forma degli atti


1. Al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell'organismo scelto dalle parti.


2. Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell'articolo 9, nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico.


3. Gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità.


4. La mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell'organismo.


L’art. 3 del decreto legislativo istitutivo – non toccato dalla riforma del 2013 - esprime il principio generale della informalità della procedura di mediazione (ribadito poi nell’art. 8 comma 2, dove si precisa che il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell'organismo) che, tuttavia, non è di portata così ampia come potrebbe sembrare. Certamente la caratteristica del procedimento di mediazione, come di ogni altra alternativa al processo, è quella di una procedura non strutturata attraverso eccessivi formalismi procedurali. Tuttavia l’informalità non si spinge fino al punto da non prevedere regole, che, infatti, la stessa legge prescrive facendo rinvio al regolamento di cui – ai sensi dell’art. 16 della normativa - ogni organismo di mediazione deve obbligatoriamente dotarsi.

Vi sono, naturalmente, nella legge istitutiva anche disposizioni e vincoli inderogabili che impongono il rispetto di alcuni criteri formali, come avviene per esempio in merito ai criteri di determinazione della competenza territoriale (art. 3), ai requisiti (di cui si occupa l’art. 12) perché l’accordo possa essere considerato titolo esecutivo o perché possa avere altrimenti l’omologazione da parte del tribunale, oppure ancora le disposizioni (previste nell’art. 8) in ordine all’obbligatoria assistenza degli avvocati.

Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento – giusta quanto previsto nell'articolo 9 - nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico.

Il procedimento inizia col deposito di un’istanza presso un organismo di mediazione. Il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda (si tratta di un incontro che assume specifica rilevanza nelle ipotesi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale). Tutto ciò viene poi comunicato alle parti. La parte chiamata in mediazione è libera di parteciparvi o meno. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo per la definizione della controversia. Possono essere tenute sessioni separate, ove il mediatore incontra separatamente le parti. Al procedimento, come detto, si applica il regolamento dell'organismo. Il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. L’accordo può essere raggiunto spontaneamente dalle parti ovvero su proposta del mediatore al quale la legge attribuisce la facoltà (o il dovere su domanda congiunta) di formulare e presentare alle parti una proposta conciliativa scritta. Le parti sono libere di accettare o meno la proposta. A conclusione del procedimento il mediatore se non viene raggiunto l’accordo redige verbale di accordo negativo mentre se viene raggiunto l’accordo, redige un verbale al quale è allegato il testo dell’accordo sottoscritto dalle parti. Il verbale è depositato presso la segreteria dell’organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono.

Art. 4 [4]

Accesso alla mediazione

1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'articolo 2 è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell'istanza.

2. L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa.

3. All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito è annullabile. Il documento che contiene l'informazione è sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.

1) L’accesso alla mediazione

Secondo quanto dispone il primo comma dell’art. 4 (nel testo modificato con la riforma del 2013) anche per la mediazione è necessario seguire un criterio di competenza territoriale nel senso che la domanda di mediazione è obbligatoriamente “presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia”. Prima della riforma del 2013 non era prevista una competenza territoriale specifica. La domanda va presenta alla sede legale dell’organismo.

Questo criterio identifica la circoscrizione giudiziaria all’interno della quale devono essere situati gli organismi tra i quali la parte istante può scegliere quello a cui rivolgersi.

La parti possono derogare a tale criterio di competenza territoriale in tutti i casi in cui il codice di procedura civile prevede la possibilità di derogare alla competenza territoriale per accordo tra le parti (Circolare della Commissione per lo studio della mediazione e della conciliazione del Consiglio Nazionale Forense del 6 dicembre 2013).

Nel caso di domanda presentata ad un organismo di mediazione non territorialmente competente nessuna norma attribuisce all’organismo il compito di rifiutare di iniziare il procedimento. L’onere di sollevare l’eccezione di incompetenza resta delle parti ed in tal caso il mediatore ne darà atto nel verbale del primo incontro (che enuncerà la motivazione dell’esito negativo per eccezione di incompetenza sollevata dalla parte invitata). Nel caso in cui la parte invitata, invece, non si presenta il verbale sarà di mancata partecipazione. In entrambi i casi, allorché si tratti di tentativo di mediazione obbligatoria, sarà il giudice ad inviare poi le parti davanti all’organismo competente.

Così ha ritenuto Trib. Monza, 17 dicembre 2014 precisando che nel caso in cui il tentativo di mediazione obbligatoria sia iniziato dinnanzi ad un organismo incompetente territorialmente, il giudice deve concedere un successivo ulteriore termine per l'avvio del tentativo dinnanzi all'organismo competente, non ostandovi l'inutile decorso, nel frattempo, del termine trimestrale ex art. 6 del D.Lgs. n. 28/2010.

La giurisprudenza ha precisato che il meccanismo legislativo in questione postula che sia dapprima individuato il foro giudiziale, secondo le regole sottese a tale determinazione, e solo di riflesso sia individuato l'organismo cui accedere in fase conciliativa (Cass. civ. Sez. VI, 2 settembre 2015, n. 17480).

Del tutto ragionevolmente Trib. Napoli, 14 marzo 2016 e già prima Trib. Milano Sez. IX, 29 ottobre 2013 hanno precisato che anche per le mediazioni attivate su disposizione del giudice, la domanda di mediazione deve essere presentata mediante deposito dell'istanza presso un organismo che abbia sede nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia, ma la domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi ad un organismo che non ha competenza territoriale, non produrrebbe effetti. Questa sentenza esprime anche il convincimento che il termine di quindici giorni indicato dal giudice per la presentazione dell'istanza stessa avrebbe carattere di perentorietà. Viceversa Trib. Milano Sez. I, 27 settembre 2016 non ritiene che il termine di quindici giorni indicato dal giudice sia perentorio. In ogni caso – e salva la diversa soluzione che la questione potrebbe avere in ordine all’applicazione delle sanzioni previste nell'art. 8, comma 4-bis – sia il rispetto che il mancato rispetto del termine non escludono la possibilità che il giudice possa ordinare un successivo tentativo di mediazione.

Secondo Trib. Verona, 27 gennaio 2014 l’art. 4 del decreto istitutivo non attribuisce rilievo, ai fini della determinazione della competenza per territorio dell'organismo di mediazione, a criteri diversi da quelli contenuti nella sia perentorio III del titolo primo del codice di procedura civile cosicché non rilevano, al fine suddetto, eventi processuali come la litispendenza o la continenza.

In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda.

L’istanza con cui inizia il procedimento di mediazione deve contenere alcuni requisiti formali minimi che sono l’indicazione a) dell’organismo, b) delle parti, c) dell’oggetto della controversia, d) delle ragioni della pretesa. Naturalmente la presenza di tali requisiti va valutata non rigidamente formale ma in senso sostanziale, facendo riferimento all’oggetto della pretesa e non all’eventuale qualificazione giuridica indicata dalle parti.

È ammessa anche un’istanza congiunta presentata da tutte le parti della controversia.

Secondo la giurisprudenza l'onere di "presentazione della domanda di mediazione" deve ritenersi assolto con il mero invio per posta raccomandata della medesima alla sede dell'organismo prescelto, non essendo invece necessario l'effettivo ricevimento della domanda stessa da parte di quest'ultimo (Trib. Firenze Sez. III, 14 settembre 2016) ed inoltre l'insufficiente determinatezza della domanda di mediazione, in caso di mancato raggiungimento dell'accordo, preclude una pronunzia sul merito da parte del giudice dovendo escludersi che, in tale ipotesi, il procedimento di mediazione sia stato utilmente esperito e che la condizione di procedibilità si sia realizzata (Trib. Genova Sez. VI, 31 maggio 2016).

2) Gli obblighi dell’avvocato e la sua partecipazione alla mediazione

L’ultimo comma dell’art. 3 dispone che all'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato informi l'assistito della possibilità di avvalersi della mediazione e delle agevolazioni fiscali di cui agli artt. 17 e 20 nonché dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’avvocato deve quindi informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della mediazione finalizzata alla conciliazione. Si tratta di un dovere esercitabile per ogni tipo di controversia su diritti disponibili.

L’art. 40 del Codice deontologico forense prevede l’obbligo per l’avvocato di informare il cliente delle “ipotesi di soluzioni possibili delle controversie”.

L’informativa deve essere fornita chiaramente; fornita per iscritto; contenuta in un documento sottoscritto dall'assistito; allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio.

Non dovrebbe trattarsi di una mera dichiarazione generica della parte contenuta nel mandato alle liti “dovendo invece contenere un apposito contenuto specifico che riproduca i diritti, le regole e gli oneri della mediazione” (Trib. Varese, 6 maggio 2011).

Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1 (cioè se non provvede ad inviare le parti alla mediazione) informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.

La mancata allegazione all'atto introduttivo del giudizio dell'informativa in forma scritta resa alla parte assistita in relazione alla possibilità di avvalersi della procedura di mediazione civile, determina la sola annullabilità del contratto d'opera professionale concluso tra l'avvocato ed il proprio assistito e giammai conseguenze sul piano processuale (Trib. Massa, 26 marzo 2015).

Va tenuto presente che, in difformità dalla prassi spesso seguita dagli avvocati, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che il documento contenente l'informativa sulla mediazione, ai sensi dell'art. 4 del d.lgs. n. 28 del 2010, pur dovendo essere sottoscritto dall'assistito e allegato all'atto introduttivo del giudizio, non è equipollente alla procura ad litem, dalla quale si distingue per oggetto e funzione, restando estraneo al conferimento dello ius postulandi (Cass. civ. Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 13886).

L’art. 4, precisa poi che in caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito è annullabile e che, con particolare riferimento alla mediazione facoltativa, il giudice stesso informi la parte della facoltà di chiedere la mediazione.

La riforma del 2013 ha prescritto che agli incontri di mediazione partecipino le parti con i loro avvocati. Come si vedrà nell’art. 8 si prevede, appunto, che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato”. Il senso del nuovo testo dell’art. 8 è anche quello di escludere che al procedimento di mediazione possa partecipare esclusivamente l’avvocato in rappresentanza della parte a differenza di quanto avviene in sede processuale in cui è previsto che all’avvocato possa essere conferito espressamente il potere di conciliare la causa in rappresentanza del proprio assistito (art. 183, secondo comma, c.p.c.).

Art. 5 [5]

Condizione di procedibilità e rapporti con il processo

1-bis. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero i procedimenti previsti dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, e dai rispettivi regolamenti di attuazione ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.

2. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

2-bis. Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo.

3. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, ne’ la trascrizione della domanda giudiziale.

4. I commi 1-bis e 2 non si applicano:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;

f) nei procedimenti in camera di consiglio;

g) nell'azione civile esercitata nel processo penale.

5. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, se il contratto, lo statuto ovvero l'atto costitutivo dell'ente prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l'arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo il giudice o l'arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi. La domanda è presentata davanti all'organismo indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all'articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all'atto costitutivo, l'individuazione di un diverso organismo iscritto.

6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo.

1) I tre casi di mediazione obbligatoria

a) La mediazione obbligatoria ante causam nelle materie indicate nel primo comma (comma 1 bis) dell’art. 5

Nelle materie elencate nell’attuale primo comma (comma 1-bis, dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’originario primo comma dell’articolo 5) la mediazione è obbligatoria essendo prevista come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

La parte che intende agire in giudizio ha, perciò, l’onere di tentare la mediazione mentre in ogni altra materia la mediazione potrà essere avviata dalle parti su base volontaria e facoltativa, sia prima che durante il processo.

Si dirà, a commento dell’art. 8, che l’onere di partecipazione alla mediazione è assolto soltanto se sostanzialmente e non solo formalmente si realizza un’attività procedimentale di mediazione.

In questi casi l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.

Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di tre mesi previsto come termine massimo della mediazione nell’art. 6 della legge ed allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

Le controversie in cui è obbligatoria la previa mediazione sono le seguenti: 1) condominio; 2) diritti reali; 3) divisione; 4) successioni ereditarie; 5) patti di famiglia; 6) locazione, comodato, affitto di aziende; 7) risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria; 8) risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità; 9) contratti assicurativi, bancari e finanziari.

L’elencazione è considerata tassativa (Trib. Monza Sez. II, 26 marzo 2015).

Non è il rito a determinare l'obbligatorietà del procedimento di mediazione, bensì la natura della controversia e pertanto la mediazione obbligatoria trova applicazione anche nel processo sommario di cognizione di cui all'art. 702 bis c.p.c (Trib. Torino Sez. III, 23 marzo 2015).

In giurisprudenza si è precisato che la domanda di riduzione di donazioni per lesione della quota di legittima e di scioglimento della comunione ereditaria che si venga a costituire per l'effetto, concerne la materia delle successioni, ed è quindi soggetta al previo esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria (Trib. Frosinone, 8 novembre 2016).

La controversia inerente un contratto di apertura di credito rientra tra quelle soggette all'esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione atteso che per controversie bancarie ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis devono intendersi quelle relative a contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari (Trib. Verona, 28 ottobre 2014).

Anche le domande spiegate in via riconvenzionale, qualora incidano su una delle materie elencate dall'art. 5, comma 1-bis, sono sottoposte al tentativo obbligatorio di mediazione civile e commerciale. Con la conseguenza che, qualora il procedimento sia già stato esperito, ma con riferimento alle sole domande principali, il giudice dovrà assegnare un termine per la sua rinnovazione (Trib. Verona, Sez. III, 12 maggio 2016; Trib. Verona Sez. III, 18 dicembre 2015).

Si è anche affermato che se soltanto una delle domande proposte in giudizio è soggetta a mediazione obbligatoria e l'altra no, non sarebbe opportuno disporne la separazione per consentire l'espletamento della formalità di rito della mediazione, perché ciò facendosi si comprometterebbe la prospettiva conciliativa che deve necessariamente investire tutta la controversia, ben potendo per contro il giudice disporre la mediazione anche per la domanda che non sia soggetta all'obbligo in questione (Trib. Verona Sez. III, 25 giugno 2015).

Secondo Trib. Nola 24 febbraio 2015 alla dichiarazione d'improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo per mancato esperimento della mediazione prevista quale condizione di procedibilità della domanda, consegue la conferma del decreto ingiuntivo opposto.

b) La mediazione obbligatoria demandata dal giudice in corso di causa

La seconda ipotesi in cui esperire il procedimento di mediazione è obbligatorio è quella in cui la mediazione è demandata (ex officio) dal giudice in corso di causa. Se ne occupa il secondo comma dell’art. 5 dove si prevede che il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può sempre disporre l'esperimento del procedimento di mediazione. Nel testo originario della norma si trattava di un semplice invito (si parlava di mediazione delegata). L’attuale testo – dopo la riforma del 2013 – prevede un vero e proprio obbligo di eseguire l’ordine del giudice.

Anche in tal caso - come nelle ipotesi sopra richiamate di cui al primo comma - l'esperimento del procedimento di mediazione diventa di fatto (e d’altro lato la norma lo prevede espressamente) condizione di procedibilità (meglio di proseguibilità) della domanda giudiziale, in primo grado o in sede di appello.

Tuttavia la sanzione secondo una parte della giurisprudenza non potrebbe essere la dichiarazione di improcedibilità ma solo interna al processo ex art. 116 c.p.c. (art. 8, comma 4-bis) (Trib. Taranto, 16 aprile 2015). Di contrario avviso Trib. Vasto, 23 aprile 2016 secondo cui la parte che non compare al primo incontro, ha l'onere di esplicitare le ragioni del rifiuto di svolgere una mediazione demandata dal giudice, pena l'improcedibilità della domanda e/o l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28/2010. Nello stesso senso Trib. Firenze, 5 giugno 2015 secondo cui il mancato esperimento del procedimento di mediazione nel termine assegnato dal giudice determina l'improcedibilità della domanda.

Naturalmente la dichiarazione di improcedibilità (che effettivamente sembra in linea con il testo della norma) che segue ad una valutazione di mancato esperimento del procedimento di mediazione o di non corretta esecuzione della mediazione, significa soltanto che le parti dovranno esperire nuovamente correttamente la mediazione (non che debbano trovare per forza una soluzione conciliativa della controversia). Il principio resta sempre quello per cui l’onere di partecipazione alla mediazione è assolto soltanto se sostanzialmente e non solo formalmente si realizza un’attività procedimentale di mediazione.

Il provvedimento del giudice è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa.

Si è precisato pragmaticamente in giurisprudenza – discostandosi, tuttavia, un po’ arbitrariamente dal testo della legge - che l’invio delle parti alla mediazione da parte del giudice dovrebbe essere disposto “quando ciò appaia opportuno per i seguenti motivi: l'incertezza circa l'esito del giudizio; la natura fiduciaria del pregresso rapporto negoziale intercorso tra attore e convenuto, che potrebbe favorire la trattativa; il modesto valore economico della controversia; la gravità dell'incombente istruttorio costituito dal giuramento decisorio, chiesto per contrastare l'altrui eccezione di prescrizione presuntiva” (Trib. Milano Sez. IX 14 ottobre 2015).

L’incipit del secondo comma dell’art. 5 (“Fermo quanto previsto dal comma 1-bis …”) potrebbe portare ad una interpretazione riduttiva della riforma se venisse interpretato nel senso di escludere nelle ipotesi di obbligatorietà di cui al comma 1-bis la mediazione demandata dal giudice (come se dicesse “salvo quanto previsto…”). L’espressione è stata finora, invece, ragionevolmente interpretata nel senso che il giudice può disporre sempre l’esperimento del procedimento di mediazione, sia nei casi di mediazione facoltativa che di mediazione obbligatoria (Trib. Milano Sez. IX, 29 ottobre 2013) ed anche quando si fosse verificata la sanatoria derivante dalla mancata eccezione o dal mancato rilievo d’ufficio del mancato esperimento della mediazione, potendosi verificare, quindi anche casi di cosiddetta doppia mediazione.

La giurisprudenza ha affermato che la circostanza che prima e fuori della causa sia stata proposta una domanda di mediazione (volontaria o obbligatoria), non è impeditiva all’esercizio ed all’attivazione da parte del Giudice della mediazione demandata di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010 (Trib. Roma, 30 ottobre 2015 in ragione della diversità di presupposti e contesto nei quali si collocano la mediazione obbligatoria e quella demandata”; Trib. Roma, 5 dicembre 2013) e ha precisato altresì che qualora alla procedura di mediazione disposta dal giudice una delle parti non abbia partecipato in assenza di valide e comprovate giustificazioni, sussistendo concrete possibilità conciliative frustrate da detta irrituale partecipazione, attese le conseguenze che possono derivare a carico delle parti dalla mancata o irrituale partecipazione alla mediazione, il giudice può concedersi alle stesse la possibilità di rinnovare la mediazione in modo rituale (Trib. Roma, 14 dicembre 2015).

Il richiamo nell’incipit ai commi 3 e 4, invece, sta a significare che il giudice è anche lui vincolato al contenuto dei commi in questione (non potendosi esimere quindi dal prendere in considerazione l’eventuale richiesta di provvedimenti urgenti e non potendo inviare le parti in mediazione nelle ipotesi indicate nel quarto comma).

Nel provvedimento con cui dispone l’esperimento del procedimento di mediazione il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di tre mesi previsto nell’art. 6 come termine massimo di durata del procedimento di mediazione e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

Secondo la giurisprudenza la mediazione obbligatoria esperita ancorché successivamente al termine di 15 giorni assegnato dal Giudice, non comporta la improcedibilità prevista per il mancato esperimento del procedimento, in assenza di espressa previsione di perentorietà del termine assegnato dal giudice, dovendosi dare prevalenza all’effetto sostanziale dello svolgimento del procedimento (Trib. Milano Sez. I, 27 settembre 2016; contra, Trib. Napoli, 14 marzo 2016 e Trib. Ivrea, 11 marzo 2016 che ritengono il termine perentorio). La questione non ha molta importanza dal momento comunque che il giudice, come detto, potrebbe sempre avviare le parti alla mediazione sia che non abbiano adempiuto con tempestività all’adempimento, sia che abbiamo comunque osservato con tempestività l’ordine di procedere alla mediazione e questa non abbia portato all’accordo.

In giurisprudenza si è sostenuto ragionevolmente che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l'onere di esperire la mediazione obbligatoria grava sul debitore opponente in quanto parte processuale che ha provocato l'instaurazione del processo ordinario di cognizione (Cass. civ. Sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24629; Trib. Ferrara, 8 settembre 2016; Trib. Vasto, 30 maggio 2016; Trib. Trento, 23 febbraio 2016; Trib. Milano Sez. XIII, 9 dicembre 2015; Trib. Chieti, 8 settembre 2015; Trib. Genova Sez. III, 15 giugno 2015; Trib. Firenze Sez. III, 30 ottobre 2014). Non è condivisibile quanto sostenuto da altra giurisprudenza secondo cui l’onere graverebbe sulla parte opposta “che ha deciso di portare in giudizio il proprio conflitto per la tutela di un suo diritto” (Trib. Firenze Sez. II, 15 febbraio 2016) o che dovrebbe essere il magistrato a scegliere discrezionalmente quale debba essere la parte in concreto onerata dell'avvio della mediazione (Trib. Pavia, 26 settembre 2016).

Secondo Trib. Trapani, 16 luglio 2016 in caso di mediazione demandata, il mediatore è tenuto a verificare quali siano le parti del giudizio ed a trasmettere a ciascuna di esse la lettera di convocazione per l'incontro preliminare con mezzi che ne assicurino la ricezione; l'inosservanza di tali formalità non può ritorcersi a danno della parte attrice, che avrà diritto ad un nuovo termine per la rinnovazione del procedimento.

Sempre in caso di mediazione demandata dal giudice, l'istanza rivolta all'organismo di conciliazione deve contenere un chiaro riferimento all'oggetto del contendere, affinché il Giudice possa verificare che il procedimento sia stato espletato con riguardo alla controversia dedotta in giudizio (Trib. Verona Sez. III, 23 giugno 2016).

c) Le clausole contrattuali di previa mediazione obbligatoria

La terza ipotesi in cui è obbligatorio procedere alla mediazione è quello (al quale si riferisce il comma 5 dell’art. 5) in cui sussistano clausole contrattuali che prevedono l’obbligo della mediazione. Si prevede che se il tentativo di mediazione contrattualmente previsto come obbligatorio non risulta esperito, il giudice (o eventualmente l'arbitro), su eccezione di parte, proposta nella prima difesa (e quindi non d’ufficio) assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di tre mesi di durata massima del procedimento. Allo stesso modo, conclude sul punto il comma 5, il giudice o l'arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi.

Quindi, il mancato esperimento del procedimento di mediazione previsto da una clausola sottoscritta dalle parti può essere fatto valere in giudizio solo dalla parte interessata (nella prima difesa) e non può essere rilevato d’ufficio dal giudice.

Resta sempre salva, anche in questo caso, la possibilità che il giudice disponga la mediazione.

2) L’eccezione e il rilievo dell’improcedibilità della domanda giudiziale

L’art. 5 si occupa anche di individuare e disciplinare il meccanismo di raccordo tra il tentativo obbligatorio di mediazione e il processo civile. In particolare per i casi di cui al comma 1-bis il meccanismo è quello dell’eccezione di parte o del rilievo di ufficio entro la prima udienza, mentre per il caso dell’obbligo derivante dalle clausole contrattuali è escluso il rilievo d’ufficio.

Benché l’intero comma 1-bis sia richiamato anche per la mediazione demandata dal giudice (il comma 2 inizia, infatti, con la frase “fermo quanto previsto dal comma 1-bis”), il meccanismo del rilievo di eccezione di parte o d’ufficio entro la prima udienza non appare ipotizzabile nel caso di mediazione demandata dal giudice, trattandosi di mediazione in corso di causa, in cui quindi le conseguenze derivanti della mancata adesione all’ordine del giudice sono solo quelle previste nell’art. 8, comma 4-bis (“Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”). Effettivamente per questa ragione parte della giurisprudenza ha ritenuto che nei casi in cui la mediazione è demandata dal giudice, in difetto di adesione all’ordine del giudice la dichiarazione di improcedibilità non sarebbe possibile (Trib. Taranto, 16 aprile 2015). Si è già detto che invece altra parte della giurisprudenza ritiene ammissibile la dichiarazione di improcedibilità (Trib. Vasto, 23 aprile 2016 secondo cui la parte che non compare al primo incontro, ha l'onere di esplicitare le ragioni del rifiuto di svolgere una mediazione demandata dal giudice, pena l'improcedibilità della domanda e/o l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28/2010 e Trib. Firenze, 5 giugno 2015 secondo cui il mancato esperimento del procedimento di mediazione nel termine assegnato dal giudice determina l'improcedibilità della domanda).

Nello specifico, per ciò che attiene alla obbligatorietà della mediazione ante causam, il comma 1-bis nella sua seconda parte prescrive che l’improcedibilità derivante dal mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. In tal caso il giudice assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di durata massima della mediazione di tre mesi previsto dall’art. 6 riformato del decreto legislativo.

Quindi le ipotesi che si possono verificare sono due: a) la mediazione non è stata tentata ed entro la prima udienza il convenuto eccepisce l’improcedibilità o il giudice la rileva: in tal caso il giudice assegna con ordinanza alle parti il termine di quindici giorni per iniziare il procedimento di mediazione e fissa l’udienza successiva dopo la scadenza del termine di tre mesi previsto come termine massimo di durata della mediazione. Se le parti insieme o una di esse (quindi non solo l’attore ma anche il convenuto) propongono la domanda di mediazione il procedimento andrà avanti regolarmente. b) la mediazione è già iniziata ma il giudizio è stato promosso prima della sua conclusione: in tal caso il giudice ne prende atto e fissa per la prosecuzione della causa una udienza successiva (con salvezza di tutti i diritti) alla scadenza del termine massimo di tre mesi previsto come durata massima del procedimento di mediazione.

In giurisprudenza si è precisato che la disposizione secondo cui la improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza, non si applica nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione (Trib. Genova Sez. VI, 31 maggio 2016).

In caso di clausole contrattuali di mediazione l’eccezione può essere sollevata solo dalla parte (l’art. 5, comma 5 prevede infatti che “il giudice o l'arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione…”).

L’espediente processuale che il decreto legislativo n. 28 del 2010 ha previsto - consistente nell’imporre al giudice di rinviare la causa ad una udienza successiva allo spirare del termine della mediazione - evita la sospensione del processo ed impedisce che nel processo in cui si controverte di questioni civili o commerciali si pongano problemi di riassunzione e quindi di rischio di estinzione del processo per mancata riassunzione. Non c’è alcuna sospensione del giudizio ma solo un rinvio dell’udienza per un periodo non superiore ai tre mesi previsti dall’art. 6 del decreto 28/2010 come durata massima del procedimento di mediazione. Non c’è, pertanto, nessun rischio di allungamento dei tempi del processo.

Allorché, quindi, la causa sia iniziata (o prosegua, in primo grado o in appello, nonostante l’ordine del giudice di invio alla mediazione) senza l’esperimento del procedimento di mediazione o prima che questo si sia concluso si verificano le seguenti evenienze: a) Il convenuto non eccepisce l’improcedibilità - perché non ha interesse o per altri motivi - entro la prima udienza. b) Il giudice – nelle prime due ipotesi sopra viste - non rileva l’improcedibilità d’ufficio, entro la prima udienza. In tali ipotesi la causa va avanti senza che sia più possibile in merito sollevare alcuna eccezione formale in ordine al previo esperimento del procedimento di mediazione. Come detto, tuttavia, il secondo comma dell’art. 5 del decreto legislativo riformato, prevede che il giudice, anche in sede di giudizio di appello, possa sempre disporre l’esperimento del procedimento di mediazione. Il che significa che, benché non siano possibili più rilievi formali in ordine alla procedibilità, in sostanza alla mediazione si potrà accedere in qualsiasi momento della causa anche in appello.

3) I provvedimenti giudiziali urgenti

Secondo quanto prevede il comma 3 dell’art. 5 lo svolgimento della mediazione non preclude la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale. Il che significa che in tutti i casi sopra indicati in cui il tentativo di mediazione è obbligatorio è sempre possibile richiedere al giudice eventuali provvedimenti urgenti e indilazionabili ed è sempre ammissibile iniziare il procedimento al fine di trascrivere la domanda giudiziale.

La parte che intende azionare una pretesa in sede giudiziaria ed ha necessità di un provvedimento di urgenza o di trascrivere la domanda, può senz’altro iniziare la causa, senza previo esperimento del procedimento di mediazione, procedendo agli atti necessari a soddisfare la sua pretesa di urgenza o di trascrizione.

4) L’avveramento della condizione di procedibilità presuppone il primo incontro tra le parti

La riforma del 2013 ha introdotto il comma 2-bis nel quale si prevede che quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale – e quindi in tutti e tre i casi di mediazione cosiddetta obbligatoria - la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo.

Il legislatore del 2013 ha insomma reagito alla prassi distorta che si era affermata di non presentarsi al primo incontro di mediazione al quale di fatto oggi le parti sono obbligate a presentarsi. Ove le parti disertassero il primo incontro la condizione di procedibilità non può dirsi avverata.

Il principio è stato ribadito anche in giurisprudenza affermandosi che ai sensi dell'art. 5, comma 2-bis, D.Lgs. n. 28/2010, la condizione di procedibilità della domanda giudiziale si considera avverata quando il primo incontro davanti al mediatore si conclude senza accordo, non essendo sufficiente la mera proposizione della relativa istanza (Trib. Firenze Sez. III, 27 aprile 2016).

5) I casi in cui è esclusa l’obbligatorietà della previa mediazione

Ai sensi del comma 4 dell’art. 5, non sussiste obbligatorietà della previa mediazione (nelle materie indicate al comma 1 bis) né il giudice può disporre l’esperimento della mediazione nelle seguenti situazioni:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. La logica che impone alle parti di "incontrarsi" in una sede stragiudiziale, prima di adire il giudice, è strutturalmente collegata ad un (futuro) processo destinato a svolgersi fin dall'inizio in contraddittorio fra le parti. All'istituto sono quindi per definizione estranei i casi in cui invece il processo si debba svolgere in una prima fase necessariamente senza contraddittorio, come accade per il procedimento per decreto ingiuntivo.

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;

In giurisprudenza App. Firenze, 29 gennaio 2016 ha confermato che in relazione al procedimento per convalida di sfratto, il tentativo di mediazione, previsto dall'art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 28 del 2010, diviene condizione di procedibilità unicamente dopo la pronuncia dei provvedimenti adottati nella fase sommaria, dovendosi ritenere esperibile solo dopo il mutamento del rito disposto all'udienza ex art. 667 c.p.c. e, quindi, anche dopo la pronuncia dei provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c. e per il giudizio a cognizione piena derivato dalla opposizione e dal successivo mutamento del rito. È onere della parte avviare il procedimento di mediazione all'esito del mutamento del rito e, di conseguenza, la verifica di cui all'art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28 citato è operata solo all'udienza fissata ex art. 667 c.p.c..

c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile.

Sebbene le prescrizioni relative alla mediazione obbligatoria ed a quella demandata non si applicano a tale procedimento, tuttavia, un invito del giudice alle parti di andare in mediazione è possibile anche in tali casi quale percorso volontario concordato dalle parti all’esito della prospettazione da parte del giudice delle evidenti maggiori utilità di una buona mediazione (Trib. Roma, 16 luglio 2015 secondo cui all’interno di un procedimento di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all’articolo 696-bis c.p.c., il giudice ben può prospettare alle parti in alternativa a quella, usuale, della nomina di un consulente tecnico di ufficio, l’introduzione di una procedura di mediazione, nell’ambito della quale le parti possono invitare e sollecitare il mediatore alla nomina di un consulente tecnico, con i relativi indubbi aspetti positivi del percorso di mediazione).

d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

f) nei procedimenti in camera di consiglio;

g) nell’azione civile esercitata nel processo penale.

6) La disciplina della prescrizione e della decadenza

Una clausola di salvaguardia opportuna è contenuta nell’ultimo comma dell’art. 5 del decreto legislativo 28/2010 dove si prevede che dal momento della comunicazione all’altra parte la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Si fa qui riferimento naturalmente all’art. 2943 c.c. che prevede l’interruzione della prescrizione al momento della domanda giudiziale (notifica della citazione o deposito del ricorso).

Ugualmente avviene in caso di decadenza. Quando un diritto deve esercitarsi entro un certo termine a pena di decadenza (art. 2964 c.c.) dal momento della comunicazione all’altra parte la domanda di mediazione impedisce la decadenza “per una sola volta”, dispone l’art. 5 ultimo comma. La ratio di tale scelta risiede nell’esigenza di evitare che vengano proposte istanze strumentali di mediazione al solo fine di differire la scadenza del termine di decadenza. Il momento dal quale l’istanza di mediazione produce tali effetti è, a norma dell’art. 5, comma 6, quello della sua comunicazione alle altre parti (Trib. Palermo Sez. II, 18 settembre 2015).

Se la mediazione fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale di mancata conciliazione. Si verifica quindi una ipotesi espressa di interruzione della decadenza.



Art. 6 [6]

Durata

1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi.

2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell'articolo 5 ovvero ai sensi del comma 2 dell'articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale.

Sono numerose le disposizioni che nel decreto legislativo 28/2010 si riferiscono al tema della durata della mediazione.

Il legislatore ha voluto che la mediazione abbia tempi rapidi di svolgimento ma ha lasciato agli organismi libertà nella individuazione dei ritmi del procedimento, stabilendo soltanto che il regolamento dell’organismo deve prevedere modalità di sollecito adempimento dell’attività di mediazione (l’art. 3 precisa come si è visto che “Il regolamento deve garantire … modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l'imparzialità e l'idoneità al corretto e sollecito espletamento dell'incarico”.

L’art. 6 – riformato in questo nel 2013 - prescrive, in ogni caso, che il procedimento di mediazione deve avere una durata non superiore a tre mesi (quattro, secondo il testo originario del decreto istitutivo) che decorrono dal deposito della domanda di mediazione (che coincide con la data di ricezione della domanda da parte dell’organismo: art. 4, primo comma) o dalla scadenza del termine di quindici giorni fissato dal giudice in difetto di promovimento della procedura o negli altri casi (art. 5). Il termine suddetto non è soggetto a sospensione feriale (art. 6, secondo comma).

Il termine d tre mesi, è ragionevolmente ritenuto dalla giurisprudenza un termine ordinatorio e soprattutto nella disponibilità delle parti (Trib. Varese, 20 giugno 2012).

Sempre in relazione al sollecito espletamento del procedimento l’art. 8 prescrive, infine, che, ricevuta la domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo deve fissare il primo incontro tra le parti “non oltre quindici giorni dal deposito della domanda”.

A proposito di quest’ultima disposizione c’è da dire che il termine di tre mesi di durata massima appare certamente più congruo di quello di quattro mesi previsto prima della riforma del 2013.

Ugualmente congruo, dopo la riforma del 2013, è il termine di trenta giorni entro cui deve svolgersi dalla domanda iniziale il primo incontro del procedimento di mediazione.

Il tema della durata della mediazione è anche legato al problema dei rapporti tra l’attività di mediazione e il processo civile. Come si è detto il procedimento di mediazione è congegnato e modulato in tempi e modi tali da non subire il rischio della riassunzione e dell’estinzione. L’art. 5 non prevede la sospensione del processo per consentire la mediazione. Il giudice “ ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”. La disposizione è in linea con le esigenze di mantenere i tempi della mediazione e del processo ragionevolmente contenuti

Art. 7 [7]

Effetti sulla ragionevole durata del processo

1. Il periodo di cui all'articolo 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui all'articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89.

L’art. 7 indica gli effetti del tempo utilizzato per la mediazione sulla ragionevole durata del processo, prevedendo che il periodo di durata della mediazione ivi compreso il periodo di rinvio disposto dal giudice, non si computa “ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n.89”.

Art. 8 [8]

Procedimento

1. All'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l'organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.

2. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell'organismo.

3. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia.

4. Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell'organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.

4-bis. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

1) Il procedimento di mediazione

Le formalità procedimentali sono ridotte al minimo in applicazione del principio generale – contenuto nell’art. 3 – secondo cui “gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità”, ribadito nell’art. 8 che avverte che il procedimento di mediazione si svolge senza formalità.

Nonostante ciò la riforma del 2013 proprio modificando in tre punti l’art. 8 ha introdotto alcune regole precise e inderogabili per la partecipazione al procedimento. In particolare: a) l’obbligo di partecipazione delle parti con l’assistenza degli avvocati; b) l’obbligo di un primo incontro preliminare; c) in caso di ingiustificata mancata partecipazione alla mediazione la condanna al pagamento dei una somma pari al contributo unificato in aggiunta alla valutazione di tale contegno ex art. 116 c.p.c.

Il procedimento di mediazione – di cui si occupa specificamente l’art. 8 del decreto 28/2010 - ha inizio con la domanda di una parte (o di entrambe le parti insieme: situazione che la legge non prevede ma che non va affatto esclusa).

L’organismo prescelto dal richiedente tra quelli aventi la sede principale nella circoscrizione giudiziaria che sarebbe competente per il giudizio (art. 4, primo comma) designa un mediatore (ed eventualmente uno o più mediatori ausiliari per le controversie che richiedono specifiche competenze tecniche) e fissa il primo incontro tra le parti da tenersi non oltre trenta giorni dal deposito della domanda.

Dopo di che è compito del richiedente o dell’organismo (che può prevedere l’assunzione diretta da parte sua dell’onere) comunicare all’altra parte “con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione” il contenuto della domanda e il provvedimento di fissazione del primo incontro.

Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione – come si è visto (art. 5, ultimo comma) - gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo.

Il mediatore si adopera affinché le parti “raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia”. Così si esprime il terzo comma dell’art. 8 del decreto. Tutta la fase procedimentale trova regolamentazione in questa sintetica indicazione legislativa.

Il mediatore naturalmente può anche avvalersi di esperti iscritti negli albi presso i tribunali. Saranno i regolamenti di procedura degli organismi a prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi.

Il procedimento si snoda in una o più sedute nel corso delle quali il mediatore potrà naturalmente avere anche incontri separati con le parti per approfondire gli aspetti che ritiene utili. Lo prevede espressamente l’art. 9 il quale dopo aver chiarito e prescritto che chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o nel procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza, ribadisce questo principio anche “rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate” . Quanto dichiarato o appreso nelle sessioni separate, non può essere comunicato alle altre parti se non con il consenso della parte dalla quale provengono le informazioni.

2) La partecipazione delle parti personalmente con l’avvocato

Secondo la principale modifica introdotta nel 2013, al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato. Già si è detto di questa fondamentale riforma trattando a commento dell’art.4 degli obblighi dell’avvocato e della sua partecipazione alla mediazione.

Il senso del nuovo testo dell’art. 8 è quindi quello di escludere che al procedimento di mediazione possa partecipare esclusivamente l’avvocato in rappresentanza della parte a differenza di quanto avviene in sede processuale in cui è previsto che all’avvocato possa essere conferito espressamente il potere di conciliare la causa in rappresentanza del proprio assistito (art. 183, secondo comma, c.p.c.).

Il procedimento di mediazione esperito senza l'assistenza di un avvocato non può considerarsi validamente svolto sicché la domanda giudiziale dovrà essere dichiarata improcedibile (Trib. Torino, 30 marzo 2016).

I protagonisti della mediazione sono in ogni caso le parti. Ed è stata proprio la legge di riforma del 2013 a prescrivere che esse debbono partecipare personalmente alla mediazione, assistite come detto dagli avvocati.

Già in precedenza Trib. Vasto 9 marzo 2015 – che verrà più oltre ancora richiamata – aveva affermato che qualora il tentativo di mediazione, disposto dal giudice, sia stato infruttuosamente esperito fra i soli avvocati delle parti, il giudicante non potrà che dichiarare l'improcedibilità del giudizio, posto che la sanatoria prevista all'art. 5, comma 1-bis, per i casi di mediazione obbligatoria ex lege si applica solamente nei casi in cui la mediazione, alla data del rilievo giudiziale, non sia stata attivata ovvero non risulti ancora terminata, non anche al caso in cui essa si sia effettivamente svolta, ma in violazione delle prescrizioni che regolano il suo corretto espletamento. E tra queste prescrizioni, come detto, vi è quella della presenza personale delle parti.

Il valore e la funzione della mediazione sta proprio nel delineare un ambito informale ma specifico, diverso dal processo, nel quale ridare la parola alle parti e consentire loro di mettere in gioco i propri interessi al fine di trovare una soluzione che, a prescindere dai profili strettamente tecnico-giuridici del problema, risponda alle loro esigenze di vita, che non coincidono solo e necessariamente con gli specifici interessi in conflitto ma hanno una estensione spesso ben maggiore e più complessa. Ciò rende personalissima l'attività che è funzionale al possibile accordo di mediazione e, di regola, non delegabile a terzi, salvo casi eccezionali che non possono essere esclusi a priori e nei quali non può essere negato alla parte di scegliere, sulla base dei propri rapporti personali di fiducia, insindacabili da chiunque, il soggetto che, opportunamente delegato (diverso dall’avvocato), meglio la potrà rappresentare nella mediazione con la controparte (Trib. Ferrara, 28 luglio 2016).

In giurisprudenza si è perentoriamente chiarito che ai sensi del D.Lgs. n. 28/2010, in tema di mediazione obbligatoria potrà considerarsi formata la condizione di procedibilità se all'incontro vi è la presenza personale delle parti e se le parti effettuano un tentativo di mediazione vero e proprio, in considerazione della lettera e della ratio delle disposizioni di cui al citato D.Lgs. n. 28/2010 atteso che l'istituto della mediazione mira ad un'effettiva interazione tra le parti di fronte al mediatore che deve potere comprendere gli interessi delle stesse parti al fine di una soluzione extragiudiziale della controversia (Trib. Palermo Sez. I, 29 luglio 2015 secondo cui il responsabile dell'organismo di mediazione deve necessariamente fissare il primo incontro tra le parti e non può revocare tale fissazione all'esito della comunicazione della mancata adesione ad opera della parte chiamata, la quale comporta, in assenza di giustificazione, l'applicazione della sanzione prevista dall'art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010).

L'ipotesi in cui all'incontro davanti al mediatore compaiano i soli difensori, anche in rappresentanza delle parti, non può considerarsi in alcun modo mediazione, come si desume dalla lettura coordinata dell'art. 5, comma 1-bis e dell'art. 8, che prevedono che le parti esperiscano o partecipino al procedimento di mediazione con l'"assistenza degli avvocati", e questo implica la presenza degli assistiti, personale o a mezzo di delegato, cioè di soggetto comunque diverso dal difensore.

Il fatto che la partecipazione della parte alla mediazione vada considerata obbligatoria, è praticamente ormai affermato da tutta la giurisprudenza secondo cui la partecipazione ha natura di atto personalissimo e non delegabile (Trib. Vasto, 9 marzo 2015; Trib. Firenze, 26 novembre 2014; Trib. Bologna Sez. III, 11 novembre 2014; Trib. Firenze Sez. II, 19 marzo 2014), anche in considerazione del fatto che l'istituto della mediazione, quale mezzo alternativo di risoluzione delle controversie, mira, mediante il ruolo e la professionalità del mediatore, a riattivare la comunicazione tra le parti in conflitto al fine di verificare la possibilità di soluzione conciliativa della vertenza. In tale contesto è del tutto coerente con la logica dell'istituto che il ruolo del difensore tecnico deve essere di mera assistenza della parte che partecipa alla mediazione e non mai di rappresentanza degli interessi della stessa (Trib. Firenze Sez. III, 24 marzo 2016).

Nella ordinanza sopra richiamata Trib. Vasto, 9 marzo 2015 si legge che ai fini del rispetto della condizione di procedibilità della domanda grava sul mediatore in qualità di soggetto istituzionalmente preposto ad esercitare funzioni di verifica e di garanzia della puntuale osservanza delle condizioni di regolare espletamento della procedura, l'onere di adottare ogni opportuno provvedimento finalizzato ad assicurare la presenza personale delle parti, ad esempio disponendo - se necessario - un rinvio del primo incontro, sollecitando anche informalmente il difensore della parte assente a stimolarne la comparizione, ovvero dando atto a verbale che, nonostante le iniziative adottate, la parte a ciò invitata non ha inteso partecipare personalmente agli incontri, né si è determinata a nominare un suo delegato (diverso dal difensore), per il caso di assoluto impedimento a comparire.

Il principio è stato affermato molto chiaramente da Trib. Vasto, 23 giugno 2015 secondo cui le parti ancorché libere di scegliere l'organismo di mediazione al quale rivolgersi, sono tenute a partecipare personalmente, assistite dal proprio difensore, all'incontro preliminare, informativo e di programmazione, che si svolgerà davanti al mediatore dell'organismo prescelto e nel quale verificheranno se sussistano effettivi spazi per procedere utilmente in mediazione.

Si legge in questa ordinanza che incombe sul mediatore l'onere di verbalizzare i motivi eventualmente addotti dalle parti assenti per giustificare la propria mancata comparizione personale e, comunque, di adottare ogni opportuno provvedimento finalizzato ad assicurare la presenza personale delle stesse, ad esempio disponendo - se necessario - un rinvio del primo incontro o sollecitando anche informalmente il difensore della parte assente a stimolarne la comparizione ovvero dando atto a verbale che, nonostante le iniziative adottate, la parte a ciò invitata non ha inteso partecipare personalmente agli incontri, né si è determinata a nominare un suo delegato (diverso dal difensore), per il caso di assoluto impedimento a comparire.

La mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontà, di intenti, di interpretazioni, che il mediatore esperto tenta di sciogliere favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un accordo amichevole (Trib. Roma, 29 maggio 2014).

Molto chiara sul punto Trib. Bologna, 5 giugno 2014 secondo cui 'ordine del giudice di attivare il procedimento di mediazione può intendersi osservato, secondo le disposizioni di cui agli artt. 5, comma 5-bis e 8, D.Lgs. n. 28 del 2010, come modificato dalla legge n. 98 del 2013 ed alla luce del contesto europeo nel quale si collocano, solo in caso di presenza della parte (o di un di lei delegato), accompagnato dal difensore e non anche in caso di comparsa del solo difensore, anche quale delegato della parte. La natura della mediazione, invero, di per sé richiede che all'incontro dinanzi al mediatore siano presenti di persona (anche e soprattutto) le parti, poiché l'istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore.

Il principio, insomma, ormai ribadito costantemente in giurisprudenza è che non si può ritenere che l'ordine del giudice sia osservato quando siano solo gli avvocati che si recano dal mediatore in quanto è irrazionale ritenere che debbano essere gli avvocati a ricevere i chiarimenti sulla funzione e sulle modalità della mediazione e che essi possano dichiarare il rifiuto di procedere alla mediazione tra le tante.

3) Il primo incontro preliminare

Ci si sofferma ora sul primo incontro (preliminare o filtro) che costituisce anch’esso uno dei punti fondamentali della riforma del 2013.

Durante il primo incontro – avverte il riformato primo comma dell’art. 8 - il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.

Il primo incontro è fondamentale nell’ottica della riforma del 2013. Come giustamente è stato notato in giurisprudenza deve trattarsi di un incontro reale alla presenza delle parti e non di un incontro formale. Per esempio Trib. Firenze, 26 novembre 2014 ha precisato in proposito che a mente dell'art. 5, commi 1° bis e 2°, D.Lgs. n. 28/2010, non può dirsi integrata la condizione di procedibilità dell'azione giurisdizionale in mancanza di un effettivo avvio del tentativo, che le parti non hanno il potere d'inibire al primo incontro.

D’altra parte è proprio questo il motivo per il quale il comma 2-bis dell’art. 5 nel testo introdotto nel 2013 ha espressamente prescritto che quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo, con ciò volendo intendere che, ai fini dell’avveramento della condizione di procedibilità, il primo incontro deve realizzarsi necessariamente.

Sono considerate illegittime tutte le condotte ostruzionistiche delle parti alle quali – secondo il punto di vista della giurisprudenza - non può essere riconosciuto un potere di veto assoluto ed incondizionato sulla possibilità di dar seguito alla procedura di mediazione, comportando, una siffatta eventualità, il rischio di legittimare condotte delle parti tese ad aggirare l'applicazione effettiva della normativa in materia di mediazione, frustrando la finalità stessa dell'istituto, che non è quella di introdurre una sorta di adempimento burocratico svuotato di ogni contenuto funzionale e sostanziale, ma che, invece, consiste nell'offrire ai contendenti un'utile occasione per cercare una soluzione extra giudiziale della loro vertenza, in tempi più rapidi ed in termini più soddisfacenti rispetto alla risposta che può fornire il Giudice con la sentenza. Ne consegue che sono illegittime tutte quelle condotte contrarie alla ratio legis della mediazione e poste in essere dalle parti al solo scopo di eludere il dettato normativo (Trib. Vasto, 23 aprile 2016).

Si è anche detto però che la mancata presenza e partecipazione della parte all'incontro stabilito per la mediazione obbligatoria non comporterebbe ipso iure la definizione del procedimento, posto che il mediatore, se la parte presente lo richiede, può nominare un consulente tecnico d'ufficio e formulare una proposta se il regolamento dell'organismo lo prevede (Trib. Roma, 9 aprile 2015).

La riforma del 2013 non ha abrogato l’obbligo del compenso (in caso di mancata comparizione della parte convenuta al primo incontro) di 40 euro previsto dal regolamento 180/2010 (di cui si parlerà a commento dell’art. 17). Il regolamento all’art. 16 prevede che per le spese di avvio ciascuna parte deve corrispondere un importo di euro 40,00 da versarsi al momento del deposito della domanda di mediazione (dalla parte istante) e al momento della adesione al procedimento (per la parte chiamata alla mediazione). La circolare 27 settembre 2013 aveva previsto che nulla è dovuto per il verbale di mancata comparizione solo se non si presenta la parte che ha attivato la procedura di mediazione, non se non si presenta la parte convenuta. La riforma del 2013 ha, tuttavia, inserito un comma 5-ter nell’art. 17 del decreto 28/2010 con cui si prevede che “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.

4) La mancata partecipazione alla mediazione

La scelta di una parte di non partecipare alla mediazione può essere oggetto di valutazione del giudice nel corso del successivo giudizio di merito: a norma dell’art. 8, comma 4-bis, infatti, dalla mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo il giudice potrà desumere argomenti di prova ai sensi dell’art. 116, comma 2 del codice di procedura civile che prevede che in tema di valutazione delle prove il giudice possa desumere argomenti di prova “dal contegno delle parti stesse nel processo”.

È evidente che l’obiettivo della norma – anche ammesso che non abbia un carattere sanzionatorio - è quello di scoraggiare e disincentivare comportamenti ostruzionistici nei confronti dell’attività di mediazione e, in genere, il comportamento di chi considera la mediazione come mero adempimento formale da rispettare al solo scopo, decorsi i tre mesi previsti dalla legge, di potersi rivolgere al giudice.

La seconda parte dell’art.8, comma 4-bis, dispone una sanzione di carattere economico con riferimento alla mancata ingiustificata partecipazione a tutte le ipotesi di mediazione obbligatoria previste nell’art. 5, consistente nella condanna al versamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Non sono previste altre sanzioni di natura economica. Correttamente quindi si è precisato in giurisprudenza che la mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione attivato dall'istante, non è idonea ad implicare nel successivo giudizio di merito una condanna della stessa parte al pagamento delle spese di mediazione, non contemplate dall'art. 8 del D.Lgs. n. 28 del 2010 (Trib. Monza Sez. I, 10 febbraio 2016).

La parte che non compare al primo incontro, ha l'onere di esplicitare le ragioni del rifiuto di svolgere una mediazione demandata dal giudice, pena l'improcedibilità della domanda e/o l'applicazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 8, comma 4-bis, D.Lgs. n. 28/2010 (Trib. Vasto Ordinanza, 23 aprile 2016)

Non può affermarsi che ogni qualvolta la controparte ritenga erronea la tesi della parte che l’ha convocata in mediazione, e pertanto inutile la sua partecipazione all’esperimento di mediazione, essa sia validamente dispensata dal comparirvi, in quanto, così ragionando, sussisterebbe sempre in ogni causa un giustificato motivo di non comparizione” (Trib. Roma, 29 maggio 2014). Inoltre “la sussistenza di una situazione di litigiosità tra le parti non può di per se sola giustificare il rifiuto di partecipare al procedimento di mediazione, giacché tale procedimento è precipuamente volto ad attenuare la litigiosità, tentando una composizione della lite basata su categorie concettuali del tutto differenti rispetto a quelle invocate in giudizio e che prescindono dalla attribuzione di torti e di ragioni, mirando al perseguimento di un armonico contemperamento dei contrapposti interessi delle parti” (Trib. Termini Imerese, 9 maggio 2012).

Molto forte e isolato il messaggio di Trib. Milano, 21 luglio 2016 secondo cui la parte che ostacola la risoluzione della lite in via stragiudiziale, deve risarcire il danno alla controparte che ha proposto la mediazione anche se facoltativa, laddove lo strumento della mediazione risulti obiettivamente funzionale ad evitare - con minimi costi per il convenuto - il giudizio nell'interesse di entrambe le parti e del sistema giustizia, trattandosi di spese senz'altro causalmente inerenti il recupero del credito, da porre pertanto a carico della parte inadempiente.

Art. 9 [9]

Dovere di riservatezza

1. Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell'organismo o comunque nell'ambito del procedimento di mediazione è tenuto all'obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.

2. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.

L’art. 9 prescrive un obbligo generale di riservatezza (cosiddetta esterna) rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo per chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell'organismo o comunque nell'ambito del procedimento di mediazione. Ugualmente al secondo comma è previsto un obbligo la riservatezza (cosiddetta interna) rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate.

Art. 10 [10]

Inutilizzabilità e segreto professionale

1. Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l'insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio.

2. Il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, ne' davanti all'autorità giudiziaria ne' davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell'articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili.

L’art. 10 sempre in tema di riservatezza al primo comma prevede l’inutilizzabilità nella successiva eventuale sede processuale delle dichiarazioni rese o delle informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione.

È evidente che per l’avvocato la violazione di questo divieto costituisce illecito disciplinare.

Al secondo comma tutela il mediatore precisando che non può essere mai tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite estendendo a lui la garanzie previste per il segreto professionale nel codice di procedura penale.

La riservatezza è limitata al merito della lite e non agli atti di svolgimento del procedimento ed al rifiuto, espresso al primo incontro, di proseguire nella mediazione. Tale rifiuto, anzi, deve essere verbalizzato, affinché il giudice possa trarne le valutazioni di competenza: ai sensi dell'art. 8, co. 4-bis, D.Lgs. n. 28/2010, infatti, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, cui deve essere equiparato l'ingiustificato rifiuto a proseguire la mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova (Trib. Roma Sez. XIII, 25 gennaio 2016).

Art. 11 [11]

Conciliazione

1. Se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo. Quando l'accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all'articolo 13.

2. La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l'accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.

3. Se è raggiunto l'accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L'accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.

4. Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l'indicazione della proposta; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione.

5. Il processo verbale è depositato presso la segreteria dell'organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono.

1) La proposta di conciliazione e i suoi rapporti con il processo civile

Se le parti nel corso della seduta o delle sedute di mediazione non raggiungono un accordo, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento.

Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’articolo 13.

La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata.

Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.

Le disposizioni in tema di proposta conciliativa da parte del mediatore hanno sollevato nel dibattito sulla mediazione tre problemi.

Il primo legato alla drasticità della norma che prevede che il mediatore possa sempre formulare una proposta di conciliazione (art. 11 primo comma: “Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione”). E’ stata vista in questo meccanismo l’attribuzione al mediatore di funzioni che sarebbero al di là del loro compito e che potrebbero non essere esercitate con la dovuta competenza. L’art. 11, tuttavia prevede che le parti possono sempre rifiutare la proposta del mediatore e quindi non sembra che vi siano controindicazioni particolari nella previsione.

Più controversa – ed è questa la seconda questione - la plausibilità del meccanismo di raccordo tra la mancata accettazione della proposta e le ricadute che l’art. 13 del decreto prevede in tale ipotesi. Si parlerà più oltre del regime delle spese processuali il quale prevede una penalizzazione per la parte vittoriosa in giudizio che non ha accettato la proposta e sempre che la sentenza corrisponda interamente al contenuto della proposta stessa (espressioni che, peraltro, lasciano intendere come il legislatore sia bene a conoscenza della possibile influenzabilità del giudice dal testo della proposta) ed una ulteriore possibile penalizzazione anche allorché la sentenza sia diversa dalla proposta.

È pur vero che questo raccordo – di cui il mediatore deve mettere a conoscenza le parti al momento in cui formula la proposta (art. 11, primo comma, ultima parte) – costituisce una sollecitazione rivolta dal legislatore a risolvere con la mediazione una controversia, ma è anche altrettanto vero che si tratta di un raccordo non necessario. Il meccanismo della previsione in taluni casi dell’obbligo di promuovere la mediazione prima della causa, costituisce un meccanismo di sufficiente sollecitazione, senza che siano necessarie forme di penalizzazione di dubbia costituzionalità. L’art. 24 della costituzione sul diritto di difesa non tollera questo tipo di inutili condizionamenti.

Il terzo aspetto problematico – strettamente collegato al precedente - è costituito dalla previsione dell’obbligo di riportare nel verbale di mancata conciliazione il testo della proposta. La ratio è certamente quella di consentire l’applicabilità della norma di cui all’art. 13 (altrimenti di impossibile applicazione) ma anche al di là di questo aspetto, la sua problematicità deriva dal condizionamento che il testo della proposta può avere sul giudice della causa. Il convincimento del giudice può fondarsi legittimamente sul contegno delle parti “nel processo” (art. 116 c.p.c.) e quindi non sul contegno “fuori il processo”, ma non può escludersi che il giudice possa quanto meno rimanere condizionato psicologicamente dal contenuto della proposta.

In giurisprudenza si è affermato che nella scelta dell'organismo di mediazione, è opportuno che le parti si rivolgano ad enti il cui regolamento non contenga clausole limitative del potere, riconosciuto al mediatore dall'art. 11, secondo comma, del D.Lgs. n. 28/10, di formulare una proposta di conciliazione quando l'accordo amichevole tra le parti non è raggiunto, in particolare restringendo detta facoltà del mediatore al solo caso in cui tutte le parti gliene facciano concorde richiesta; tali previsioni regolamentari frustrano, infatti, lo spirito della norma - che è quello di stimolare le parti al raggiungimento di un accordo - e non consentono al giudice di fare applicazione delle disposizioni previste dall'art. 13 del citato decreto, in materia di spese processuali, così vanificandone la ratio ispiratrice, tesa a disincentivare rifiuti ingiustificati di proposte conciliative ragionevoli (Trib. Vasto, 23 giugno 2015).

Scrive il giudice in questa ordinanza che la formulazione di una proposta di conciliazione da parte del mediatore - tutte le volte in cui le parti non abbiano raggiunto un accordo amichevole ed anche in assenza di una richiesta congiunta delle stesse - costituisce un passaggio fondamentale della procedura di mediazione, vieppiù valorizzato dalle disposizioni del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, il quale - modificando l'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo - ha introdotto il comma 2-quinquies, a norma del quale "non è riconosciuto alcun indennizzo: […...] c) nel caso di cui all'articolo 13, primo comma, primo periodo, del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28", con ciò confermando la tendenza del legislatore ad introdurre nell'ordinamento meccanismi dissuasivi di comportamenti processuali ostinatamente protesi alla coltivazione della soluzione giudiziale della controversia, la cui individuazione presuppone necessariamente la previa formulazione (o, comunque, la libera formulabilità) di una proposta conciliativa da parte del mediatore ed il suo raffronto ex post con il provvedimento giudiziale di definizione della lite.

2) Il verbale di conciliazione o di mancata conciliazione e il loro rapporto con il processo civile

Prescrive l’art. 11 che “se è raggiunto l’accordo amichevole …ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere”.

Il verbale di conciliazione costituisce perciò l’atto più significativo dell’intero procedimento perché è destinato a regolamentare l’assetto definitivo che le parti hanno inteso programmare con la conciliazione della loro controversia

Il medesimo articolo 11 prevede anche che se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Altra indicazione che dà sempre l’art. 11 è quella secondo cui l’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.

Quindi il verbale di conciliazione a) deve essere redatto dal mediatore o dalle stesse parti eventualmente con l’aiuto dei rispettivi avvocati consulenti; b) il verbale deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore; c) l’autografia della sottoscrizione delle parti – o l’eventuale impossibilità di sottoscrivere per motivi legati alla inabilità delle parti - deve essere certificata dal mediatore; d) ove nel verbale si dia atto della conclusione di un contratto soggetto a trascrizione ai sensi dell’art. 2643 c.c., la certificazione dal parte del mediatore della autografia della firma delle parti non è più sufficiente ed occorre per procedere alla trascrizione l’autentica di un notaio, eventualmente in sede di mediazione ovvero anche successivamente.

Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale di mancata conciliazione.

Ove il mediatore abbia formulato la proposta di conciliazione il verbale di mancata conciliazione deve contenere anche il testo della proposta. Il verbale è, poi, sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale – anche in questo caso - certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nel verbale di mancata conciliazione si deve anche dare atto della eventuale mancata partecipazione alla mediazione di una delle parti.

Quindi il verbale di mancata conciliazione a) deve essere redatto dal mediatore; b) deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore; c) ove il mediatore abbia formulato una proposta di conciliazione il verbale di mancata conciliazione ne deve riportare il testo; d) l’autografia della sottoscrizione delle parti – o l’eventuale impossibilità di sottoscrivere - deve essere certificata dal mediatore; e) ove con la conciliazione le parti hanno raggiunto un contratto trascrivibile, ai fini della trascrizione, il verbale deve anche essere autenticato da un notaio; f) nel verbale di mancata conciliazione si deve dare atto della eventuale mancata partecipazione di una delle parti.

Il verbale di conciliazione o quello di mancata conciliazione sono obbligatoriamente depositati presso la segreteria dell’organismo che ne rilascia copia alle parti che lo richiedono (art. 11, ultimo comma):

3) La posizione del convenuto e dei terzi

Il convenuto in mediazione può aderire all’invito e presentarsi davanti al mediatore presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo. Si è già esaminato criticamente l’ultimo comma dell’art. 8 – pensato, come detto, soprattutto per il convenuto ma di cui non si può escludere l’applicazione anche per l’attore – laddove prevede che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile”.

Come si ripete il decreto delegato ha disciplinato la mediazione come facoltà per chiunque intenda percorrere questa strada prima o nel corso di una causa (art. 3 e 4) e come obbligo in alcune ipotesi tassative per l’attore del previo esperimento della mediazione (art. 5) lasciando al convenuto la scelta se aderire alla domanda di mediazione o astenersi dal partecipare, correndo il rischio che dalla mancata partecipazione il giudice possa desumere contro di lui argomenti di prova (art. 116, secondo comma, c.p.c.).

La disciplina del procedimento di mediazione riconosce perciò al convenuto alcuni diritti che è necessario riepilogare sinteticamente.

Innanzitutto il convenuto ha il diritto di aderire o meno alla domanda di conciliazione proposta dall’attore (o di accedere alla mediazione insieme all’attore con domanda congiunta) sia nei casi in cui l’accesso alle procedure è libero (art. 2 del decreto legislativo delegato) sia nei casi in cui per l’attore il proponimento di una domanda di mediazione è considerata condizione di ammissibilità dell’azione giudiziaria (art. 5).

In secondo luogo al pari dell’attore, il convenuto in un giudizio ha sempre il diritto – riconosciuto a chiunque dall’art. 2 del decreto legislativo 28/2010 - di “accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili” e quindi egli potrebbe promuovere un procedimento di mediazione in corso di causa dopo aver rifiutato per esempio di presentarsi all’invito che l’attore gli abbia fatto ritualmente prima dell’inizio della causa. Nessuna norma della riforma preclude all’attore o al convenuto di promuovere o accedere al procedimento di mediazione più volte.

Inoltre in convenuto è sempre libero di aderire o meno all’invito rivolto alle parti dal giudice nel corso della causa di accedere alla mediazione.

Un problema si pone per le eventuali istanze o domande riconvenzionali del convenuto che abbia aderito o meno alla richiesta di mediazione.

Al momento dell’acceso alla procedure di mediazione, infatti, la mediazione è circoscritta alle domande dell’attore e il convenuto che aderisca all’attività di mediazione, non avrebbe alcun obbligo di ampliare il thema decidendum. Certamente egli ha, però, facoltà di proporre all’organismo di mediazione una richiesta di tipo riconvenzionale; in tal caso la prassi prevede che il mediatore ponga anche il nuovo tema nell’attività di mediazione. D’altro lato – come si è avuto modo sopra di accennare – anche la disciplina del contratto di transazione (art. 1965 c.c.) prevede la possibilità di estendere l’accordo “a rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa” iniziale.

L’accordo eventuale che contempli anche i punti inseriti dal convenuto nella mediazione escluderà che egli possa in futuro agire in giudizio in via autonoma su questi aspetti. La natura negoziale della conciliazione consentirà al giudice, per escludere l’ammissibilità della pretesa, di interpretare l’atto di conciliazione. Di più. Benché la legge non lo preveda non dovrebbero esservi dubbi sul fatto che ove il convenuto non formuli in sede di mediazione anche una richiesta riconvenzionale (che dipenda dal titolo dedotto dall’attore o che appartiene al procedimento come mezzo di eccezione: argomentando ex art. 36 c.p.c.) potrebbe considerarsi che egli vi abbia rinunciato.

Nell’ipotesi invece in cui il convenuto non si presenti all’attività di mediazione al problema se per la procedibilità della domanda riconvenzionale in sede di giudizio sia necessario il previo esperimento della mediazione, deve darsi risposta positiva non essendoci ragioni per differenziare il trattamento delle domande giudiziali in relazione alla natura principale o riconvenzionale delle medesime.

Il convenuto, pertanto, che non si presenti alla mediazione, allorché si costituisce in giudizio è tenuto a proporre a pena di improcedibilità una domanda preventiva di mediazione se nella sua comparsa di costituzione sono contenute domande riconvenzionali nelle materia per le quali la riforma prevede tassativamente la preventiva attività di mediazione. Vale anche in questo caso la precisazione - contenuta nel primo comma dell’art. 5 del decreto legislativo 28/2010 - che all’udienza, il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6.

Gli obblighi di informativa da parte dell’avvocato – prescritti nell’art. 4 – trovano applicazione, sebbene non espressamente indicato, anche per il convenuto. All’atto del conferimento dell’incarico, quindi, anche l’avvocato del convenuto sarà tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione e delle agevolazioni fiscali.

L’avvocato del convenuto non è invece tenuto ad informare il proprio assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale sebbene la questione sarà certamente oggetto di riflessione comune se non altro ai fini dell’eccezione eventuale di mancata proposizione da parte dell’attore della previa domanda obbligatoria di mediazione.

Ai sensi dell’art. 5 il convenuto ha, poi, facoltà a pena di decadenza di eccepire l’improcedibilità della domanda nei casi specifici e tassativi indicati nella prima parte della stessa norma in cui l’attore non abbia promosso il tentativo di conciliazione stragiudiziale. Uguale potere, come si è visto, ha il giudice entro la prima udienza di comparizione delle parti. Ove questi poteri non siano esercitati il difetto di procedibilità viene sanato.

Il legislatore ha pensato al litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.) o facoltativo (art. 103 c.p.c.) prevedendo che la mediazione è finalizzata ad assistere “due o più soggetti” nella ricerca di un accordo e nella formulazione di una proposta per la risoluzione della controversia. In tal caso la domanda giudiziaria deve essere preceduta dall’invito rivolto a tutti i litisconsorti. Ha anche pensato al caso in cui due o più soggetti accedano in via preventiva separatamente alla mediazione prevedendo che “ in caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda (art. 4, comma 1, del decreto legislativo 28/2010).

Nella riforma non si fa, però, cenno né alla chiamata di terzi né all’intervento di terzi.

Cosicché non trova regolamentazione l’ipotesi in cui un terzo volontariamente decide di “intervenire in un processo tra altre persone per far valere nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo” (intervento autonomo: art. 105, primo comma, c.p.c.) o semplicemente per “sostenere le ragioni di alcuna delle parti quando vi ha un proprio interesse (intervento adesivo: art. 105, secondo comma, c.p.c.). Ugualmente la riforma non ha disciplinato il caso in cui il terzo sia chiamato in giudizio in garanzia da una parte (art. 106 c.p.c.) o anche per altri motivi dal giudice (art. 107 c.p.c.).

Volendo fare applicazione dei principi del processo civile (art. 106, 167, 269 c.p.c.) ma al tempo stesso anche della norma generale che prevede che il procedimento di mediazione si svolge senza formalità (art.. 3, comma 3, ribadito nell’art. 8, comma 2) potrebbe ipotizzarsi quanto segue:

a) il convenuto in mediazione può sempre chiedere nelle sue difese che la mediazione si estenda anche a terze persone. In tal caso chiederà all’organismo (che fisserà una nuova data dell’incontro) di poter invitare alla mediazione il terzo, comunicando all’interessato la domanda.

b) ove il terzo venga a conoscenza della procedura di mediazione che lo interessa, prima che essa sia conclusa, potrà fare domanda all’organismo per essere invitato a partecipare alla mediazione e il procedimento – ove le altre parti concordino – potrà continuare con la sua partecipazione.

c) ove l’interesse alla partecipazione del terzo emerga dalla discussione tra le parti nel corso del procedimento di mediazione, non è irragionevole, ipotizzare che lo stesso mediatore possa richiedere alle parti se desiderano che la mediazione si estenda al terzo e conceda alle parti un breve rinvio per poter portare il terzo a conoscenza del procedimento con invito a prendervi parte.

Ove la questione della partecipazione del terzo emerga nel corso del processo non può esservi altra soluzione se non quella di lasciare al giudice in applicazione del secondo comma dell’art. 5 del decreto legislativo 28/2010 l’onere di invitare le parti a includere nell’attività di mediazione anche i terzi che non vi abbiano già partecipato assegnando eventualmente, con il loro accordo, il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

4) L’accordo e il verbale conciliativo

Nel linguaggio della mediazione si parla di mediazione facilitativa ove l’accordo venga raggiunto spontaneamente dalle parti e di mediazione aggiudicativa ove l’accordo consegua alla proposta del mediatore.

Il verbale di accordo deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti.

Se con l'accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata dal notaio.

Di grande interesse è l’indicazione prevista nell’ultima parte del terzo comma dell’art. 11 secondo cui l’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento. Si tratta di una applicazione nel campo negoziale dell’art. 614-bis c.p.c. che appunto prevede la possibilità che una sentenza di condanna di obblighi di fare e di non fare possa contenere a garanzia della sua esecuzione corretta anche la previsione di sanzioni pecuniarie per il caso di inadempimento.

Art. 12 [12]

Efficacia esecutiva ed esecuzione

1. Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico. L'accordo di cui al periodo precedente deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell'articolo 480, secondo comma, del codice di procedura civile. In tutti gli altri casi l'accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico. Nelle controversie transfrontaliere di cui all'articolo 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, il verbale è omologato dal Presidente del tribunale nel cui circondario l'accordo deve avere esecuzione.

2. Il verbale di cui al comma 1 costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

Circa l’efficacia esecutiva dell’accordo conciliativo l’art. 12 D.lgs. 28/2010 (come riformato nel 2013) dispone che l’accordo allegato al verbale costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale, qualora tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato e l'accordo sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati, i quali attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico (in caso di esecuzione l'accordo deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell'art. 480, comma 2, c.p.c.).

Poiché come si è detto, nel primo comma dell’art. 8 si prescrive che “al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato”, è praticamente impossibile che alla mediazione le parti non siano assistite da un avvocato.

Per questo non ha molto senso la previsione secondo cui qualora una delle parti aderenti alla mediazione non fosse assistita da un avvocato, è necessario presentare apposita istanza al presidente del tribunale, il quale, con decreto, omologa l’accordo, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico. In ogni caso si è precisato in giurisprudenza che il provvedimento di rigetto dell'istanza di omologazione dell'accordo di mediazione va comunicato anche all'organismo di mediazione (Trib. Firenze, 2 luglio 2015).

Molto opportunamente la Direttiva europea 28/2010 sul versante dei rapporti tra Stati membri aveva raccomandato di regolamentare la mediazione in modo tale da non rischiare di essere ritenuta dagli utenti un’alternativa deteriore al procedimento giudiziario, evitando cioè che il rispetto degli accordi derivanti dalla mediazione dovesse dipendere solo dalla buona volontà delle parti ma incoraggiando gli Stati membri a prevedere modalità concrete di esecuzione e di attuazione.

L’art. 60 della legge 69/2009 raccomandava al Governo di prevedere nel decreto legislativo attuativo “che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l'iscrizione di ipoteca giudiziale”.

Non è una novità della riforma l’aver attribuito al verbale di conciliazione anche valore per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. Relativamente ai rispettivi ambiti di disciplina lo avevano già previsto dapprima la normativa in materia di conciliazione nelle controversie societarie (art. 40 comma 8, decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5) e successivamente anche l’art. 696-bis c.p.c. in materia di consulenza tecnica preventiva anche ai fini della conciliazione, introdotto dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 di riforma della procedura civile.

Secondo la disciplina generale processuale il verbale di conciliazione costituisce sì titolo esecutivo come previsto nell’art. 185, secondo comma, c.p.c. (cui fa anche riferimento l’art. 88 disp. att. c.p.c.) ma non dà titolo all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale (art. 2818 c.c.).

In passato si era posto il problema se il verbale di conciliazione potesse costituire titolo esecutivo efficace anche ai fini dell’esecuzione degli obblighi di fare o di non fare. La giurisprudenza di merito per lo più lo escludeva, ma la Corte costituzionale nel 2002 dichiarava infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 612 c.p.c. nella parte in escluderebbe questa possibilità sostenendo una lettura dell'art. 612, 1° comma, c.p.c., nel senso che esso consente il procedimento di esecuzione anche se il titolo esecutivo sia costituito dal verbale di conciliazione (Corte cost. 10 luglio 2002, n. 336). Nella motivazione la Corte richiamava il principio secondo cui la conciliazione giudiziale è un istituto preordinato alla definizione delle liti e che eventuali ragioni ostative all'esecuzione degli obblighi di cui all’art. 612 c.p.c. devono essere valutate non "ex post", e cioè nel procedimento di esecuzione, bensì, se esse preesistono, in sede di formazione dell'accordo conciliativo da parte del giudice che lo promuove e sotto la cui vigilanza può concludersi solo se la natura della causa lo consente, mentre eventuali ragioni di ineseguibilità sopravvenute alla conciliazione giudiziale o preesistenti, nel caso di conciliazione conclusesi al di fuori del controllo del giudice, possono essere oggetto di opposizione.

L'art. 12, nel testo modificato nel 2013, ha innovato la categoria dei titoli esecutivi ex lege attraverso il riconoscimento di detta qualità all'accordo di conciliazione sottoscritto dalle parti e dagli avvocati innanzi ad organismi di conciliazione accreditati, senza la necessità della previa omologazione giudiziale; il dato letterale della citata disposizione normativa conferisce prima facie valenza di titolo esecutivo al mero accordo munito delle suindicate sottoscrizioni e che l'intervento degli avvocati assolve di per sé ad uno scopo certificatorio dell'eseguita verifica relativa al rispetto delle norme imperative e dei principi di ordine pubblico (Trib. Bari Sez. II, 7 settembre 2016).

Art. 13 [13]

Spese processuali

1. Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrispond1e interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l'applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4.

2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente.

3. Salvo diverso accordo, le disposizioni dei commi 1 e 2 non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri.

L’art.13 del decreto legislativo 28/2010 prevede una rilevante eccezione al principio processuale della soccombenza (articoli 91 e 92 c.p.c.). Allorché, infatti, il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta di conciliazione, il giudice esclude la ripetizione delle spese (comprensive delle spese di avvio e della spese di mediazione) sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.

Quindi la parte vittoriosa nel processo che non aveva accolto la proposta di conciliazione fatta dal mediatore, viene ad essere oggettivamente penalizzata ove la decisione del giudice corrisponde a quella proposta. In tal caso la parte vittoriosa non solo non ha diritto alla liquidazione da parte del giudice in suo favore delle spese processuali sostenute, ma è, al contrario, condannata al pagamento delle spese sostenute dalla parte soccombente. Ed inoltre è condannata al versamento di una penale pari al valore del contributo unificato previsto per la causa. Si tratta di disposizioni la cui applicazione, stando al testo della norma (“il giudice esclude”), è obbligatoria da parte del giudice.

Se, invece, il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4. Si tratta in questo caso di una norma ad applicazione discrezionale, con l’unico vincolo che “il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento”.

Resta sempre ferma ove ve ne siano i presupposti - come prescrive l’art. 13 - l'applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile in tema di responsabilità aggravata. Pertanto nonostante l’applicazione delle disposizioni esaminate, il giudice può sempre condannare una parte al rimborso delle spese sostenute dall’altra per trasgressione al dovere di lealtà e probità o al risarcimento dei danni se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito con mala fede o colpa grave.

Ai fini della coincidenza tra i due provvedimenti, il raffronto tra la proposta e il contenuto del provvedimento che definisce il giudizio – con la sentenza conclusiva ovvero con una sentenza parziale o con una sentenza non definitiva - è operazione che compete al giudice, anche se occorre osservare che la coincidenza deve essere “integrale” come ammonisce la relazione che accompagna il decreto legislativo.

La relazione che accompagna il decreto legislativo n. 28 del 2010 è molto esplicita sul significato di questo meccanismo di incentivazione alla mediazione. “La parte che ha rifiutato la proposta – si legge nella relazione – può vedersi addossarle conseguenze economiche del processo anche se vittoriosa quando vi sia piena coincidenza tra il contenuto della proposta e il provvedimento che definisce il giudizio. E’ questa, infatti, la palmare dimostrazione che l’atteggiamento da essa tenuto nel corso della mediazione è stato ispirato a scarsa serietà e che la giurisdizione è stata impegnata per un risultato che il procedimento di mediazione avrebbe permesso di raggiungere in tempi molto più rapidi e meno dispendiosi. La disciplina delle spese viene dunque intesa come risposta dell’ordinamento alla strumentalizzazione tanto della mediazione che del servizio giustizia”.

Le disposizioni di cui sopra si applicano, come sopra detto, altresì alle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 28/2010. Quindi, ai fini dell’applicazione dell’art. 13 del decreto legislativo n. 28 del 2010, alle spese processuali propriamente dette sono equiparate le spese sostenute dalle parti nel corso della mediazione.

Salvo diverso accordo le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri in quanto – come avverte la relazione di accompagnamento al decreto legislativo – “nel procedimento arbitrale il regime delle spese è peculiare e non è ravvisabile la necessità di scongiurare l’abuso del processo”.

Art. 14 [14]

Obblighi del mediatore

1. Al mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell'opera o del servizio; è fatto loro divieto di percepire compensi direttamente dalle parti.

2. Al mediatore è fatto, altresì, obbligo di: a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente previsti dal medesimo regolamento; b) informare immediatamente l'organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all'imparzialità nello svolgimento della mediazione; c) formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell'ordine pubblico e delle norme imperative; d) corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell'organismo.

3. Su istanza di parte, il responsabile dell'organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore. Il regolamento individua la diversa competenza a decidere sull'istanza, quando la mediazione è svolta dal responsabile dell'organismo.

Art. 15 [15]

Mediazione nell'azione di classe

1. Quando è esercitata l'azione di classe prevista dall'articolo 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, la conciliazione, intervenuta dopo la scadenza del termine per l'adesione, ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito.

Per comprendere bene il significato dell’art. 15 bisogna ricordare il meccanismo dell’azione di classe, istituto introdotto nel nostro ordinamento con l’articolo 49 della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) che lo ha inserito nel codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206) come articolo 140-bis all’interno del titolo di quella legge che si occupa delle azioni inibitorie a tutela dei consumatori.

L’art,. 139 e 140 del codice di consumo si occupano delle azioni delle associazioni di consumatori e di utenti a tutela degli interessi collettivi, appunto, dei consumatori e degli utenti mentre l’art. 141 si occupa della composizione stragiudiziale delle controversie tra consumatore e professionista.

La collocazione è quindi quella giusta per un’azione di classe, cioè, posta a tutela dei diritti di una pluralità di consumatori.

L’art. 410-bis infatti prevede che quelli che sono identificati come “diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti” sono tutelabili anche attraverso un’azione cosiddetta di classe.

In base a questa nuova disposizione, ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa – e sarà questa naturalmente la regola - può agire (davanti al tribunale ordinario avente sede nel capoluogo della regione in cui ha sede l'impresa nei cui confronti si chiede tutela) per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni per fatti accaduti dopo il 16 agosto del 2009.

I diritti tutelati sono a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica; b) i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; c) i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.

Chi intende avvalersi della tutela deve aderire all'azione di classe, senza ministero di difensore con un atto di adesione, che documenti il proprio titolo ad agire, da depositare nella cancelleria del tribunale in cui l’azione è stata esercitata. L'adesione comporta in linea di principio la rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo.

Gli effetti sulla prescrizione decorrono dalla notificazione della domanda e, per coloro che hanno aderito successivamente, dal deposito dell'atto di adesione.

La domanda principale si propone con atto di citazione notificato anche all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale, il quale può intervenire limitatamente al giudizio di ammissibilità. Ed infatti all'esito della prima udienza il tribunale decide con ordinanza sull'ammissibilità della domanda. La domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi ovvero quando il giudice non ravvisa l'identità dei diritti individuali tutelabili dalla legge, nonché quando il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l'interesse della classe.

L'ordinanza che decide sulla ammissibilità è reclamabile davanti alla corte d'appello nel termine perentorio di trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione se anteriore. Sul reclamo la corte d'appello decide con ordinanza in camera di consiglio non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso. Il reclamo dell'ordinanza ammissiva non sospende il procedimento davanti al tribunale.

Con l'ordinanza con cui ammette l'azione il tribunale fissa anche naturalmente i termini e le modalità della più opportuna pubblicità, ai fini della tempestiva adesione degli appartenenti alla classe. L'esecuzione della pubblicità è condizione di procedibilità della domanda.

Con la stessa ordinanza il tribunale definisce i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio, specificando i criteri in base ai quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi nella classe o devono ritenersi esclusi dall'azione e fissa un termine perentorio, non superiore a centoventi giorni dalla scadenza di quello per l'esecuzione della pubblicità, entro il quale gli atti di adesione, anche a mezzo dell'attore, sono depositati in cancelleria.

Se accoglie la domanda, il tribunale pronuncia sentenza di condanna con cui liquida le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all'azione o stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione di dette somme.

La sentenza diviene esecutiva decorsi centottanta giorni dalla pubblicazione.

La sentenza che definisce il giudizio fa stato anche nei confronti degli aderenti.

È sempre fatta salva, naturalmente, l'azione individuale dei soggetti che non aderiscono all'azione collettiva.

Non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l'adesione assegnato dal giudice. Viceversa le azioni di classe proposte entro detto termine sono riunite d'ufficio se pendenti davanti allo stesso tribunale; altrimenti il giudice successivamente adìto ordina la cancellazione della causa dal ruolo, assegnando un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per la riassunzione davanti al primo giudice.

Infine la legge prevede che le rinunce e le transazioni intervenute tra le parti non pregiudicano i diritti degli aderenti che non vi hanno espressamente consentito.

Ebbene, ora la riforma in materia di mediazione e conciliazione avverte che quando è esercitata l’azione di classe, la conciliazione, intervenuta dopo la scadenza del termine per l’adesione, ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito.

Il che vuol dire che chi intende promuovere un’azione di classe, anche attraverso l’associazione di consumatori o il comitato cui ha dato mandato (o da cui il mandato è stato sollecitato) deve preventivamente promuovere il procedimento di mediazione essendo la domanda di risarcimento (nei confronti dell’impresa responsabile del danno) una domanda che ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010 deve essere obbligatoriamente preceduta dall’istanza di mediazione.

L’impresa potrebbe aderire e conciliare la vertenza. In tal caso la causa è finita.

Ove, invece, non vi sia conciliazione (come è presumibile) la causa andrà avanti e, dopo la prima udienza con l’ordinanza in materia di ammissibilità dell’azione, il tribunale indica i mezzi di pubblicizzazione che rendono possibile l’adesione di altri titolari dei medesimi diritti lesi. Quando l’attore avrà raccolto gli atti di adesione li depositerà nel termine previsto in tribunale.

Da questo momento – in cui diventa più plausibile che l’impresa possa conciliare la vertenza – gli aderenti che abbiamo specificato nell’atto di adesione o successivamente di voler aderire alla eventuale conciliazione, saranno tutti destinatari degli effetti della conciliazione stessa.

Capo III

Organismi di mediazione



Art. 16 [16]

Organismi di mediazione e registro. Elenco dei formatori

1. Gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all'articolo 2 del presente decreto. Gli organismi devono essere iscritti nel registro.

2. La formazione del registro e la sua revisione, l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l'istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico. Fino all'adozione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e 23 luglio 2004, n. 223. A tali disposizioni si conformano, sino alla medesima data, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall'articolo 141 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.

3. L'organismo, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e il codice etico, comunicando ogni successiva variazione. Nel regolamento devono essere previste, fermo quanto stabilito dal presente decreto, le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall'organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. Al regolamento devono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per l'approvazione a norma dell'articolo 17. Ai fini dell'iscrizione nel registro il Ministero della giustizia valuta l'idoneità del regolamento.

4. La vigilanza sul registro e' esercitata dal Ministero della giustizia e, con riferimento alla sezione per la trattazione degli affari in materia di consumo di cui al comma 2, anche dal Ministero dello sviluppo economico.

4-bis. Gli avvocati iscritti all'albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 55-bis del codice deontologico forense. Dall'attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

5. Presso il Ministero della giustizia è istituito, con decreto ministeriale, l'elenco dei formatori per la mediazione. Il decreto stabilisce i criteri per l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento dell'attività di formazione, in modo da garantire elevati livelli di formazione dei mediatori. Con lo stesso decreto, è stabilita la data a decorrere dalla quale la partecipazione all'attività di formazione di cui al presente comma costituisce per il mediatore requisito di qualificazione professionale.

6. L'istituzione e la tenuta del registro e dell'elenco dei formatori avvengono nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti, e disponibili a legislazione vigente, presso il Ministero della giustizia e il Ministero dello sviluppo economico, per la parte di rispettiva competenza, e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

Art. 17 [17]

Risorse, regime tributario e indennità

1. In attuazione dell'articolo 60, comma 3, lettera o), della legge 18 giugno 2009, n. 69, le agevolazioni fiscali previste dal presente articolo, commi 2 e 3, e dall'articolo 20, rientrano tra le finalità del Ministero della giustizia finanziabili con la parte delle risorse affluite al «Fondo Unico Giustizia» attribuite al predetto Ministero, ai sensi del comma 7 dell'articolo 2, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, e dei commi 3 e 4 dell'articolo 7 del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 30 luglio 2009, n. 127.

2. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.

3. Il verbale di accordo è esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l'imposta è dovuta per la parte eccedente.

4. Fermo restando quanto previsto dai commi 5-bis e 5-ter del presente articolo, con il decreto di cui all'articolo 16, comma 2, sono determinati:

a) l'ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti;

b) i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati;

c) le maggiorazioni massime dell'indennità dovute, non superiori al 25 per cento, nell'ipotesi di successo della mediazione;

d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 5, comma 2.

5-bis. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del presente decreto, all'organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni. A tale fine la parte è tenuta a depositare presso l'organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l'organismo lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.

5-ter. Nel caso di mancato accordo all'esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l'organismo di mediazione.

6. Il Ministero della giustizia provvede, nell'ambito delle proprie attività istituzionali, al monitoraggio delle mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell'indennità di mediazione. Dei risultati di tale monitoraggio si tiene conto per la determinazione, con il decreto di cui all'articolo 16, comma 2, delle indennità spettanti agli organismi pubblici, in modo da coprire anche il costo dell'attività prestata a favore dei soggetti aventi diritto all'esonero.

7. L'ammontare dell'indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall'Istituto Nazionale di Statistica, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.

8. Alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni dei commi 2 e 3, valutati in 5,9 milioni di euro per l'anno 2010 e 7,018 milioni di euro a decorrere dall'anno 2011, si provvede mediante corrispondente riduzione della quota delle risorse del «Fondo unico giustizia» di cui all'articolo 2, comma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, che, a tale fine, resta acquisita all'entrata del bilancio dello Stato.

9. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui ai commi 2 e 3 ed in caso si verifichino scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 8, resta acquisito all'entrata l'ulteriore importo necessario a garantire la copertura finanziaria del maggiore onere a valere sulla stessa quota del Fondo unico giustizia di cui al comma 8. 2. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.

1) Le agevolazioni fiscali

L’art. 17, che si occupa sostanzialmente del regime tributario e delle indennità di mediazione, prevede, per quanto qui rileva, alcune regole:

a) In primo luogo per quel favor conciliationis che è alla base di tutto il sistema, si prevede che tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.

b) In secondo luogo si prevede l’esenzione dall’imposta di registro del verbale di conciliazione entro il valore di 50.00 euro, mentre se il valore è superiore l’imposta è dovuta per l’importo eccedente tale limite.

c) Quindi, premesso che secondo quanto disposto nell’art. 16 le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati sono disciplinate con appositi decreti del Ministro della giustizia, si attribuisce al Ministero il potere di determinare l’ammontare delle indennità stesse. Come si dirà l'art. 20, sempre in tema di agevolazioni fiscali, prevede che alle parti che corrispondono l'indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d'imposta commisurato all'indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento. In caso di insuccesso della mediazione, il credito d'imposta è ridotto della metà.

d) Si precisa, poi, con il comma 5-bis introdotto dalla riforma del 2013 che quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del decreto, all'organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (a tale fine la parte è tenuta a depositare presso l'organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l'organismo lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato). Quindi l’organismo non può richiedere in questi casi le indennità. Poiché la disposizione si riferisce solo alle indennità si deve ritenere che siano, invece, dovute le spese di avvio della procedura.

e) Si prevede, infine, con il comma 5-ter, anch’esso introdotto nel 2013, che nel caso di mancato accordo all'esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l'organismo di mediazione.

2) Il patrocinio gratuito per il compenso professionale all’avvocato

Il problema, per chi si trova nelle condizioni di reddito che gli consentono di accedere al patrocinio gratuito, è, però, quello di verificare se oltre al beneficio consistente nel non dover pagare le indennità all’organismo di mediazione (quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del decreto) si possa anche pretendere di non pagare l’avvocato. Cioè se, nei due casi di mediazione obbligatoria previsti (art. 5 comma 1-bis e art. 5, comma 2) l’interessato possa anche beneficiare del patrocinio a spese dello Stato per il compenso professionale dell’avvocato. Posto infatti che nel procedimento di mediazione “le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato” (art. 8, comma 1), ci è chiesti se non si debba per ciò stesso ipotizzare quanto meno dei casi di mediazione obbligatoria che l’interessato possa beneficiare del patrocinio gratuito.

La risposta potrebbe essere positiva se si considera che l’art. 75 del DPR 115/2002 (testo unico sulle spese di giustizia) prevede al primo comma che l’ammissione al patrocinio a spese dello stato “è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse”. Effettivamente se da un lato l'attività professionale di natura stragiudiziale che l'avvocato si trova a svolgere nell'interesse del proprio assistito non è ammessa al patrocinio, in quanto esplicantesi fuori del processo (con la conseguenza che il relativo compenso si pone a carico del cliente) Cass. civ. Sez. Unite, 19 aprile 2013, n. 9529, confermando la condanna disciplinare inflitta ad un avvocato per aver preteso un compenso dal cliente ammesso al beneficio, ha condiviso l’opinione del Consiglio Nazionale Forense secondo cui “ove si tratti di attività professionale svolta in vista della successiva azione giudiziaria essa deve essere ricompresa nell'azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato, sicché in relazione ad essa il professionista non può chiedere il compenso al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato”.

D’altra parte la direttiva comunitaria 2002/8/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003 (recepita in Italia con D. Lgs 27 maggio 2005, n. 116) all’art. 10 prevede che “ il patrocinio è altresì esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal presente decreto, qualora l’uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa”.

3) I costi della mediazione

La mediazione ha costi – sostenuti dagli organismi di mediazione – la cui copertura è assicurata dall’obbligo di pagamento di indennità agli organismi e perciò ai mediatori da parte degli utenti del procedimento.

L’art. 60 della legge delega 18 giugno 2009, n. 69 stabiliva che il Governo avrebbe dovuto disciplinare la mediazione, evidentemente riferendosi con questa espressione anche al regime delle spese, non essendo certamente possibile lasciare al mercato la determinazione delle tariffe. Pertanto i decreti delegati o i regolamenti avrebbero dovuto disciplinare anche le indennità dovute agli organismi e ai mediatori. Due soli erano i criteri che la legge delega indicava. In primo luogo si prescriveva che le indennità spettanti ai conciliatori, da porre a carico delle parti, siano stabilite, anche con atto regolamentare, in misura maggiore per il caso in cui sia stata raggiunta la conciliazione tra le parti. In secondo luogo, per le controversie in particolari materie, si prevedeva che ove il mediatore si fosse avvalso di esperti, iscritti nell'albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali, il compenso per questi ultimi fossero stabiliti con riferimento ai compensi stabiliti per le consulenze e per le perizie giudiziali.

L’art. 16 e l’art. 17 del decreto legislativo 28 del 2010 come modificato nel 2013 prevedono, come si è detto, che nei regolamenti attuativi devono essere determinati a) l’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti; b) i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati. A tale proposito l’art.. 16 che disciplina gli organismi di mediazione precisa che gli organismi unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, sono obbligati a depositare presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura (comunicandone ogni successiva variazione) al quale devono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per l’approvazione a norma dell’articolo 17); c) le maggiorazioni massime delle indennità dovute, non superiori al venticinque per cento, nell’ipotesi di successo della mediazione; d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria.

La stessa norma prevede che l’ammontare dell’indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto Nazionale di Statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.

Il sistema è stato attuato dal regolamento n. 180 del 4 novembre 2010 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo n. 28 del 2010) modificato successivamente dal decreto del Ministero della giustizia 6 luglio 2011, n. 145.

Sulla base di queste disposizioni è previsto un tariffario con l’indicazione dei minimi e dei massimi e con la previsione – conforme a quanto previsto nell’art. 17 del decreto 28/2010 - che nell’ipotesi di successo della mediazione è prevista una maggiorazione non superiore al venticinque per cento e una riduzione nel caso in cui il ricorso alla mediazione costituisca condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria.

Il regolamento - che si occupa proprio dei criteri di determinazione dell’indennità - indica che l’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione.

Per le spese di avvio si prevede che ciascuna parte deve corrispondere un importo di euro 40,00 oltre iva da versarsi al momento del deposito della domanda di mediazione (dalla parte istante) e al momento della adesione al procedimento (per la parte chiamata alla mediazione). Sul punto Cons. Stato Sez. IV, 22 aprile 2015, n. 1694 ha ritenuto del tutto legittimo che in materia di mediazione delle controversie civili e commerciali, le spese di avvio siano dovute per il primo incontro di cui all'art. 8, comma 1, del D.Lgs. n. 28/2010. Una circolare del Ministero in data 27 settembre 20913 ha precisato che l’indennità in questione non è dovuta se al primo incontro non si presenta la parte che ha attivato la mediazione.

Per le spese di mediazione si prevede che ciascuna parte deve corrispondere l’importo indicato nella seguente tabella A allegata al regolamento

Tabella A Valore della lite – Spesa (per ciascuna parte) Fino a Euro 1.000: Euro 65; da Euro 1.001 a Euro 5.000: Euro 130; da Euro 5.001 a Euro 10.000: Euro 240; da Euro 10.001 a Euro 25.000: Euro 360; da Euro 25.001 a Euro 50.000: Euro 600; da Euro 50.001 a Euro 250.000: Euro 1.000; da Euro 250.001 a Euro 500.000: Euro 2.000; da Euro 500.001 a Euro 2.500.000: Euro 3.800; da Euro 2.500.001 a Euro 5.000.000: Euro 5.200; oltre Euro 5.000.000: Euro 9.200.

Il regolamento n. 180/2010 all’art. 16 – nel testo modificato dal decreto n. 145/ 2011 - prevede che gli importi minimi delle indennità per ciascun scaglione di riferimento, sono derogabili.

L’importo massimo delle spese di mediazione per ciascun scaglione di riferimento:

a) può essere aumentato in misura non superiore a un quinto tenuto conto della particolare importanza, complessità o difficoltà dell’affare; b) deve essere aumentato in misura non superiore a un quarto in caso di successo della mediazione; c) deve essere aumentato di un quinto nel caso di formulazione della proposta ai sensi dell’articolo 11 del decreto legislativo; d) nelle materie di cui all'articolo 5, comma 1 [1-bis] del decreto legislativo, deve essere ridotto a euro quaranta per il primo scaglione e ad euro cinquanta per tutti gli altri scaglioni, ferma restando l'applicazione della lettera c) del presente comma per i primi sei scaglioni, e della metà per i restanti, salva la riduzione prevista dalla lettera e) del presente comma, e non si applica alcun altro aumento tra quelli previsti dal presente articolo a eccezione di quello previsto dalla lettera b) del presente comma e) deve essere ridotto di un terzo quando nessuna delle controparti di quella che ha introdotto la mediazione, partecipa al procedimento. Secondo il regolamento si considerano importi minimi quelli dovuti come massimi per il valore della lite ricompreso nello scaglione immediatamente precedente a quello effettivamente applicabile; l’importo minimo relativo al primo scaglione è liberamente determinato. Il valore della lite è indicato nella domanda di mediazione secondo i criteri previsti nel codice di procedura civile (articoli 10 – 16 c.p.c.). Qualora il valore risulti indeterminato, indeterminabile, o vi sia una notevole divergenza tra le parti sulla stima, l'organismo decide il valore di riferimento, sino al limite di euro 250.000, e lo comunica alle parti. In ogni caso, se all'esito del procedimento di mediazione il valore risulta diverso, l'importo dell'indennità è dovuto secondo il corrispondente scaglione di riferimento. Quanto alle modalità di pagamento dell’indennità, la disposizione regolamentare prevede che le spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà” e comprendono anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione, indipendentemente dal numero di incontri svolti. Esse rimangono fisse anche nel caso di mutamento del mediatore nel corso del procedimento ovvero di nomina di un collegio di mediatori, di nomina di uno o più mediatori ausiliari, ovvero di nomina di un diverso mediatore per la formulazione della proposta. Il regolamento di procedura dell'organismo può prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all'articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l'organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione. Le spese di mediazione sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento. A differenza degli organismi costituiti dagli enti pubblici che devono seguire le indennità previste dalle legge, gli organismi privati possono stabilire autonomamente gli importi delle indennità dovute dalle parti – ferma l’approvazione da parte del Ministero della giustizia - ma restano fermi gli importi fissati per le materie di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 28 del 2010 e ferma ogni altra disposizione di cui all'art. 17 di cui si è detto.

L'ammontare delle indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alle variazioni degli indici Istat.

Si riporta l’art. 16 (relativo alle indennità) del decreto del Mistero della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 come modificato dal decreto 6 luglio 2011.

Articolo 16 – Criteri di determinazione dell’indennità

1.L’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione.

2.Per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte un importo di euro 40,00 che è versato dall’istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento.

3.Per le spese di mediazione è dovuto da ciascuna parte l’importo indicato nella tabella A allegata al presente decreto.

4.L’importo massimo delle spese di mediazione per ciascun scaglione di riferimento, come determinato a norma della medesima tabella A:

a)può essere aumentato in misura non superiore a un quinto tenuto conto della particolare importanza, complessità o difficoltà dell’affare;

b) deve essere aumentato in misura non superiore a un quarto in caso di successo della mediazione;

c) deve essere aumentato di un quinto nel caso di formulazione della proposta ai sensi dell’articolo 11 del decreto legislativo;

d) nelle materie di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, deve essere ridotto di un terzo per i primi sei scaglioni, e della metà per i restanti, salva la riduzione prevista

dalla lettera e) del presente comma, e non si applica alcun altro aumento tra quelli previsti dal presente articolo a eccezione di quello previsto dalla lettera b) del presente comma;

e) deve essere ridotto a euro quaranta per il primo scaglione e ad euro cinquanta per tutti gli altri scaglioni, ferma restando l’applicazione della lettera c) del presente comma quando nessuna delle controparti di quella che ha introdotto la mediazione, partecipa al procedimento.

5. Si considerano importi minimi quelli dovuti come massimi per il valore della lite ricompreso nello scaglione immediatamente precedente a quello effettivamente applicabile;l’importominimorelativoalprimoscaglionee’liberamentedeterminato.

6. Gli importi dovuti per il singolo scaglione non si sommano in nessun caso tra loro.

7.Il valore della lite è indicato nella domanda di mediazione a norma del codice di procedura civile.

8. Qualora il valore risulti indeterminato, indeterminabile, o vi sia una notevole divergenza tra le parti sulla stima, l’organismo decide il valore di riferimento, sino al limite di euro 1.250.000, e lo comunica alle parti. In ogni caso, se all’esito del procedimento di mediazione il valore risulta diverso, l’importo dell’indennità è dovuto secondo il corrispondente scaglione di riferimento.

9.Le spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà. Il regolamento di procedura dell’organismo può prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione.

10.Le spese di mediazione comprendono anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione, indipendentemente dal numero di incontri svolti. Esse rimangono fisse anche nel caso di mutamento del mediatore nel corso del procedimento ovvero di nomina di un collegio di mediatori o di nomina di uno o più mediatori ausiliari, ovvero di nomina di un diverso mediatore per la formulazione della proposta ai sensi dell’articolo 11 del decreto legislativo.

11. Le spese di mediazione indicate sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento.

12.Ai fini della corresponsione dell’indennità, quando più soggetti rappresentano un unico centro d’interessi si considerano come un’unica parte.

13. Gli organismi diversi da quelli costituiti dagli enti di diritto pubblico interno stabiliscono gli importi di cui al comma 3, ma restano fermi gli importi fissati dal comma 4, lettera d), per le materie di cui all’articolo 5,comma 1,del decreto legislativo. Resta altresì ferma ogni altra disposizione di cui al presente articolo.

14. Gli importi minimi delle indennità per ciascun scaglione di riferimento, come determinati a norma della tabella A allegata al presente decreto, sono derogabili.

(omissis)

Tabella A (articolo 16, comma 4)

Valore della lite - Spesa (per ciascuna parte) - In caso di procedimento in

contumacia

Fino a Euro 1.000 Euro 65 Euro 40

da Euro 1.001 a Euro 5.000 Euro 130 Euro 50

da Euro 5.001 a Euro 10.000 Euro 240 Euro 50

da Euro 10.001 a Euro 25.000 Euro 360 Euro 50

da Euro 25.001 a Euro 50.000 Euro 600 Euro 50

da Euro 50.001 a Euro 250.000 Euro 1.000 Euro 50

da Euro 250.001 a Euro 500.000 Euro 2.000 Euro 50

da Euro 500.001 a Euro 2.500.000 Euro 3.800 Euro 50

da Euro 2.500.001 a Euro 5.000.000 Euro 5.200 Euro 50

Oltre Euro 5.000.000 Euro 9.200 Euro 50

Art. 18 [18]

Organismi presso i tribunali

1. I consigli degli ordini degli avvocati possono istituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale. Gli organismi presso i tribunali sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all'articolo 16.

Art. 19 [19]

Organismi presso i consigli degli ordini professionali e presso le camere di commercio

1. I consigli degli ordini professionali possono istituire, per le materie riservate alla loro competenza, previa autorizzazione del Ministero della giustizia, organismi speciali, avvalendosi di proprio personale e utilizzando locali nella propria disponibilità'.

2. Gli organismi di cui al comma 1 e gli organismi istituiti ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all'articolo 16.

Capo IV

Disposizioni in materia fiscale e informativa



Art. 20 [20]

Credito d'imposta

1. Alle parti che corrispondono l'indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d'imposta commisurato all'indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento, determinato secondo quanto disposto dai commi 2 e 3. In caso di insuccesso della mediazione, il credito d'imposta è ridotto della metà.

2. A decorrere dall'anno 2011, con decreto del Ministro della giustizia, entro il 30 aprile di ciascun anno, e' determinato l'ammontare delle risorse a valere sulla quota del «Fondo unico giustizia» di cui all'articolo 2, comma 7, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, destinato alla copertura delle minori entrate derivanti dalla concessione del credito d'imposta di cui al comma 1 relativo alle mediazioni concluse nell'anno precedente. Con il medesimo decreto è individuato il credito d'imposta effettivamente spettante in relazione all'importo di ciascuna mediazione in misura proporzionale alle risorse stanziate e, comunque, nei limiti dell'importo indicato al comma 1.

3. Il Ministero della giustizia comunica all'interessato l'importo del credito d'imposta spettante entro 30 giorni dal termine indicato al comma 2 per la sua determinazione e trasmette, in via telematica, all'Agenzia delle entrate l'elenco dei beneficiari e i relativi importi a ciascuno comunicati.

4. Il credito d'imposta deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi ed è utilizzabile a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 3, in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché, da parte delle persone fisiche non titolari di redditi d'impresa o di lavoro autonomo, in diminuzione delle imposte sui redditi. Il credito d'imposta non dà luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, ne' del valore della produzione netta ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

5. Ai fini della copertura finanziaria delle minori entrate derivanti dal presente articolo il Ministero della giustizia provvede annualmente al versamento dell'importo corrispondente all'ammontare delle risorse destinate ai crediti d'imposta sulla contabilità speciale n. 1778 «Agenzia delle entrate - Fondi di bilancio».

L’art. 20, dispone che alle parti che corrispondono l’indennità agli organismi è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d’imposta (utilizzabile in compensazione o in diminuzione delle imposte) commisurato all’indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento, mentre, in caso di insuccesso della mediazione, il credito d’imposta è ridotto della metà.

Art. 21 [21]

Informazioni al pubblico

1. Il Ministero della giustizia cura, attraverso il Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con i fondi previsti dalla legge 7 giugno 2000, n. 150, la divulgazione al pubblico attraverso apposite campagne pubblicitarie, in particolare via internet, di informazioni sul procedimento di mediazione e sugli organismi abilitati a svolgerlo.

Capo V

Abrogazioni, coordinamenti e disposizioni transitorie



Art. 22 [22]

Obblighi di segnalazione per la prevenzione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo

1. All'articolo 10, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente:
«5-bis) mediazione, ai sensi dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69;»

Art. 23 [23]

Abrogazioni

1. Sono abrogati gli articoli da 38 a 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e i rinvii operati dalla legge a tali articoli si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del presente decreto.

2. Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonché le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile. I procedimenti di cui al periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto.

L’art. 54, comma 5, della legge delega 18 giugno 2009 n. 69 prevedendo che “sono abrogati gli articoli da 1 a 33, 41, comma 1, e 42 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 “aveva cancellato il rito societario introdotto nel 2003.

Parallelamente il decreto legislativo 4 marzo 2010 , n. 28 di attuazione della riforma in materia di mediazione e conciliazione all’art. 23 prevede l’abrogazione degli articoli da 38 a 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, precisando che i rinvii operati dalla legge a tali articoli si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del presente decreto.

Restano ferme, invece, le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonché le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile (il rinvio è da intendersi alle disposizioni del codice di procedura civile sul rito del lavoro come modificate dall’art. 31 della legge 183/2010) e i relativi procedimenti sono esperiti in luogo di quelli previsti dal decreto 28/2010.

Art. 24 [24]

Disposizioni transitorie e finali

1. Le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 1, acquistano efficacia decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e si applicano ai processi successivamente iniziati. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.


[1] testo originario

Art. 1

(Definizioni)

1. Ai fini del presente decreto legislativo, si intende per:

a) mediazione: l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa;

b) mediatore: la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo;

c) conciliazione: la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione;

d) organismo: l’ente pubblico o privato, presso il quale può svolgersi il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto;

e) registro: il registro degli organismi istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 16 del presente decreto, nonché, sino all’emanazione di tale decreto, il registro degli organismi istituito con il decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222.

[2] Testo originario

Art. 2

(Controversie oggetto di mediazione)

1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto.

2. Il presente decreto non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi.

[3] Testo originario

Art. 3

(Disciplina applicabile e forma degli atti)

1. Al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo scelto dalle parti.

2. Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell’articolo 9, nonché modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico.

3. Gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità.

4. La mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo.

[4] Testo originario

Art. 4

(Accesso alla mediazione)

1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data della ricezione della comunicazione.

2. L’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa.

3. All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione.

[5] Testo originario

Art. 5

(Condizione di procedibilità e rapporti con il processo)

1. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.

2. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere alla mediazione. L’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Se le parti aderiscono all’invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

3. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale.

4. I commi 1 e 2 non si applicano:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

e) nei procedimenti in camera di consiglio;

f) nell’azione civile esercitata nel processo penale.

5. Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, se il contratto, lo statuto ovvero l’atto costitutivo dell’ente prevedono una clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo il giudice o l’arbitro fissa la successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma non conclusi. La domanda è presentata davanti all’organismo indicato dalla clausola, se iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti ad un altro organismo iscritto, fermo il rispetto del criterio di cui all’articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all’atto costitutivo, l’individuazione di un diverso organismo iscritto.

6. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo.

[6] Testo originario

Art. 6

(Durata)

1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a quattro mesi.

2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del quarto o del quinto periodo del comma 1 dell’articolo 5, non è soggetto a sospensione feriale.

[7] Testo originario

Art. 7

(Effetti sulla ragionevole durata del processo)

1. Il periodo di cui all’articolo 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell’articolo 5, comma 1, non si computano ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n.89.

[8] Testo originario

Art. 8

(Procedimento)

1. All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.

2. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo.

3. Il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia.

4. Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.

5. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.

[9] Testo originario

Art. 9

(Dovere di riservatezza)

1. Chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.

2. Rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è altresì tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti.

[10] Testo originario

Art. 10

(Inutilizzabilità e segreto professionale)

1. Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio.

2. Il mediatore non può essere tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Al mediatore si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili.

[11] Testo originario

Art. 11

(Conciliazione)

1. Se è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo. Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’articolo 13.

2 La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l’accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.

3 Se è raggiunto l’accordo amichevole di cui al comma 1 ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.

4. Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l’indicazione della proposta; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione.

5. Il processo verbale è depositato presso la segreteria dell’organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono.

[12] Testo originario

Art. 12

(Efficacia esecutiva ed esecuzione)

1. Il verbale di accordo, il cui contenuto non è contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, è omologato, su istanza di parte e previo accertamento anche della regolarità formale, con decreto del presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo. Nelle controversie transfrontaliere di cui all’articolo 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, il verbale è omologato dal presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione.

2. Il verbale di cui al comma 1 costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

[13] Testo originario

Art. 13

(Spese processuali)

1. Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì’ alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4.

2. Quando il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’articolo 8, comma 4. Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente.

3. Salvo diverso accordo le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri.

[14] Testo originario

Art. 14

(Obblighi del mediatore)

1. Al mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell’opera o del servizio; è fatto loro divieto di percepire compensi direttamente dalle parti.

2. Al mediatore è fatto, altresì, obbligo di:

a) sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente previsti dal medesimo regolamento;

b) informare immediatamente l’organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all’imparzialità nello svolgimento della mediazione;

c) formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative;

d) corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo.

3. Su istanza di parte, il responsabile dell’organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore. Il regolamento individua la diversa competenza a decidere sull’istanza, quando la mediazione è svolta dal responsabile dell’organismo.

[15] Testo originario

Art. 15

(Mediazione nell’azione di classe)

1. Quando è esercitata l’azione di classe prevista dall’articolo 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, la conciliazione, intervenuta dopo la scadenza del termine per l’adesione, ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito.

[16] Testo originario

Art. 16

(Organismi di mediazione e registro. Elenco dei formatori)

1. Gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all’articolo 2 del presente decreto. Gli organismi devono essere iscritti nel registro.

2. La formazione del registro e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico. Fino all’adozione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e 23 luglio 2004, n. 223. A tali disposizioni si conformano, sino alla medesima data, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall’articolo 141 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.

3. L’organismo, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e il codice etico, comunicando ogni successiva variazione. Nel regolamento devono essere previste, fermo quanto stabilito dal presente decreto, le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall’organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. Al regolamento devono essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per l’approvazione a norma dell’articolo 17. Ai fini dell’iscrizione nel registro il Ministero della giustizia valuta l’idoneità’ del regolamento.

4. La vigilanza sul registro è esercitata dal Ministero della giustizia e, con riferimento alla sezione per la trattazione degli affari in materia di consumo di cui al comma 2, anche dal Ministero dello sviluppo economico.

5. Presso il Ministero della giustizia è istituito, con decreto ministeriale, l’elenco dei formatori per la mediazione. Il decreto stabilisce i criteri per l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché per lo svolgimento dell’attività di formazione, in modo da garantire elevati livelli di formazione dei mediatori. Con lo stesso decreto, è stabilita la data a decorrere dalla quale la partecipazione all’attività di formazione di cui al presente comma costituisce per il mediatore requisito di qualificazione professionale.

6. L’istituzione e la tenuta del registro e dell’elenco dei formatori avvengono nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti, e disponibili a legislazione vigente, presso il Ministero della giustizia e il Ministero dello sviluppo economico, per la parte di rispettiva competenza, e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.

[17] Testo originario

Art. 17

(Risorse, regime tributario e indennità)

1. In attuazione dell’articolo 60, comma 3, lettera o), della legge 18 giugno 2009, n. 69, le agevolazioni fiscali previste dal presente articolo, commi 2 e 3, e dall’articolo 20, rientrano tra le finalità del Ministero della giustizia finanziabili con la parte delle risorse affluite al «Fondo Unico Giustizia» attribuite al predetto Ministero, ai sensi del comma 7 dell’articolo 2, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, e dei commi 3 e 4 dell’articolo 7 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 30 luglio 2009, n. 127.

2. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.

3. Il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente.

4. Con il decreto di cui all’articolo 16, comma 2, sono determinati:

a) l’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti;

b) i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati;

c) le maggiorazioni massime delle indennità dovute, non superiori al venticinque per cento, nell’ipotesi di successo della mediazione;

d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell’articolo 5, comma 1.

5. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’articolo 5, comma 1, all’organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell’articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002, n. 115. A tale fine la parte è tenuta a depositare presso l’organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l’organismo lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.

6. Il Ministero della giustizia provvede, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, al monitoraggio delle mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell’indennità di mediazione. Dei risultati di tale monitoraggio si tiene conto per la determinazione, con il decreto di cui all’articolo 16, comma 2, delle indennità spettanti agli organismi pubblici, in modo da coprire anche il costo dell’attività prestata a favore dei soggetti aventi diritto all’esonero.

7. L’ammontare dell’indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto Nazionale di Statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.

8. Alla copertura degli oneri derivanti dalle disposizioni dei commi 2 e 3, valutati in 5,9 milioni di euro per l’anno 2010 e 7,018 milioni di euro a decorrere dall’anno 2011, si provvede mediante corrispondente riduzione della quota delle risorse del «Fondo unico giustizia» di cui all’articolo 2, comma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, che, a tale fine, resta acquisita all’entrata del bilancio dello Stato.

9. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio degli oneri di cui ai commi 2 e 3 ed in caso si verifichino scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 8, resta acquisito all’entrata l’ulteriore importo necessario a garantire la copertura finanziaria del maggiore onere a valere sulla stessa quota del Fondo unico giustizia di cui al comma 8.

[18] Testo originario

Art. 18

(Organismi presso i tribunali)

1. I consigli degli ordini degli avvocati possono istituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale. Gli organismi presso i tribunali sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’articolo 16.

[19] Testo originario

Art. 19

(Organismi presso i consigli degli ordini professionali e presso le camere di commercio)

1. I consigli degli ordini professionali possono istituire, per le materie riservate alla loro competenza, previa autorizzazione del Ministero della giustizia, organismi speciali, avvalendosi di proprio personale e utilizzando locali nella propria disponibilità.

2. Gli organismi di cui al comma 1 e gli organismi istituiti ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono iscritti al registro a semplice domanda, nel rispetto dei criteri stabiliti dai decreti di cui all’articolo 16.

[20] Testo originario

Art. 20

(Credito d’imposta)

1. Alle parti che corrispondono l’indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi è riconosciuto, in caso di successo della mediazione, un credito d’imposta commisurato all’indennità stessa, fino a concorrenza di euro cinquecento, determinato secondo quanto disposto dai commi 2 e 3. In caso di insuccesso della mediazione, il credito d’imposta è ridotto della metà.

2. A decorrere dall’anno 2011, con decreto del Ministro della giustizia, entro il 30 aprile di ciascun anno, è determinato l’ammontare delle risorse a valere sulla quota del «Fondo unico giustizia» di cui all’articolo 2, comma 7, lettera b), del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, destinato alla copertura delle minori entrate derivanti dalla concessione del credito d’imposta di cui al comma 1 relativo alle mediazioni concluse nell’anno precedente. Con il medesimo decreto è individuato il credito d’imposta effettivamente spettante in relazione all’importo di ciascuna mediazione in misura proporzionale alle risorse stanziate e, comunque, nei limiti dell’importo indicato al comma 1.

3. Il Ministero della giustizia comunica all’interessato l’importo del credito d’imposta spettante entro 30 giorni dal termine indicato al comma 2 per la sua determinazione e trasmette, in via telematica, all’Agenzia delle entrate l’elenco dei beneficiari e i relativi importi a ciascuno comunicati.

4. Il credito d’imposta deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi ed è utilizzabile a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 3, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché, da parte delle persone fisiche non titolari di redditi d’impresa o di lavoro autonomo, in diminuzione delle imposte sui redditi. Il credito d’imposta non dà luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, nè del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.

5. Ai fini della copertura finanziaria delle minori entrate derivanti dal presente articolo il Ministero della giustizia provvede annualmente al versamento dell’importo corrispondente all’ammontare delle risorse destinate ai crediti d’imposta sulla contabilità speciale n. 1778 «Agenzia delle entrate – Fondi di bilancio».

[21] Testo originario

Art. 21

(Informazioni al pubblico)

1. Il Ministero della giustizia cura, attraverso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con i fondi previsti dalla legge 7 giugno 2000, n. 150, la divulgazione al pubblico attraverso apposite campagne pubblicitarie, in particolare via internet, di informazioni sul procedimento di mediazione e sugli organismi abilitati a svolgerlo.

[22] Testo originario

Art. 22

(Obblighi di segnalazione per la prevenzione del sistema finanziario a
scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo)

1. All’articolo 10, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente:

«5-bis) mediazione, ai sensi dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69;».

[23] Testo originario

Art. 23

(Abrogazioni)

1. Sono abrogati gli articoli da 38 a 40 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e i rinvii operati dalla legge a tali articoli si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del presente decreto.

2. Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonché le disposizioni concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile. I procedimenti di cui al periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente decreto.

[24] Testo originario

Art. 24

(Disposizioni transitorie e finali)

1. Le disposizioni di cui all’articolo 5, comma 1, acquistano efficacia decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e si applicano ai processi successivamente iniziati.

Gianfranco Dosi
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Lessico di diritto di famiglia