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I cosiddetti matrimoni misti
Il codice civile italiano disciplina il matrimonio del cittadino italiano con uno straniero all’estero (articolo 115 che si riferisce naturalmente anche al caso in cui un cittadino italiano sposi all’estero un altro cittadino italiano) sia il matrimonio dello straniero in Italia con un italiano (articolo 116 che si riferisce anche al caso del matrimonio in Italia dello straniero con un altro straniero). Soni questi i cosiddetti “matrimoni misti”.
Il cittadino italiano che intende contrarre matrimonio all’estero (con uno straniero o con un altro cittadino italiano) è sempre soggetto alle disposizioni del codice che concernono le condizioni necessarie per contrarre matrimonio in Italia. Quindi non vi sono differenze quanto alle condizioni di età (art. 84 cod. civ. che impone il limite minimo di età di 18 anni salva l’autorizzazione del tribunale per i minorenni per chi ha compiuto i sedici anni e intenda contrarre matrimonio) e agli altri divieti matrimoniali (art. 85 sul divieto di contrarre matrimonio per l’interdetto per infermità di mente; art. 86 sul divieto per chi è già vincolato da un matrimonio precedente; art. 97 per gli impedimenti derivanti da parentela, affinità, adozione; art. 88 per l’impedimento derivante da “delitto”). L’articolo 16 dell’ordinamento di stato civile (DPR 3 novembre 2000, n. 396) precisa che il matrimonio all’estero può essere celebrato dall’autorità consolare italiana o dall’autorità dello Stato ospitante che trasmetterà copia dell’atto di matrimonio all’autorità consolare. Quest’ultima, in virtù dell’art. 17 dello stesso ordinamento di stato civile, trasmetterà poi l’atto per la trascrizione in Italia al Comune di residenza in Italia del cittadino italiano o negli altri luoghi indicati dalla disposizione.
La forma del matrimonio sarà quella del luogo in cui viene celebrato. Pertanto se è rispettata la forma prevista nello Stato di celebrazione, quel matrimonio sarà valido anche in Italia (articolo 28 della legge 31 maggio 1995, n. 218) ancorché celebrato con forme inusuali come via Skipe (Cass. civ. Sez. I, 25 luglio 2016, n. 15343).
Gli atti formati all’estero non possono, però, essere trascritti in Italia se sono contrari all’ordine pubblico (art. 18 ordinamento di stato civile).
Il matrimonio contratto all’estero tra due persone dello stesso sesso, non è stato in passato considerato trascrivibile in Italia non perché contrario all’ordine pubblico ma perché “il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è riconoscibile come atto di matrimonio e non può produrre effetti nel nostro sistema giuridico” (Cass. Civ. Sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184). Ora in virtù di quanto previsto nel comma 34 dell’art.12 della legge 20 maggio 2016, n. 76 (sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto) sono state emanate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 23 luglio 2016 norme regolamentari di natura transitoria con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Il decreto prescrive all’art. 9 che presso ciascun Comune deve essere istituito un “registro provvisorio delle unioni civili” dove vanno registrate, appunto, le unioni civili costituite in base alla nuova legge. L’art. 8 del regolamento prevede al terzo comma che “gli atti di matrimonio o di unione civile tra persone dello stesso sesso formati all’estero, sono trasmessi dall’autorità consolare, ai sensi dell’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, ai fini della trascrizione nel registro provvisorio di cui all’articolo 9”. Questo comporta che il matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero, anche da cittadini italiani, potrà essere d’ora in poi trascritto nei registri provvisori delle unioni civili, superando così le ragioni del diniego che fino ad oggi hanno impedito la trascrizione nei nostri registri di stato civile e quindi il riconoscimento in Italia di tali matrimoni. Il fatto è tanto più sorprendente perché avviene non per legge, ma attraverso un decreto di natura regolamentare.
È consolidato il principio che la trascrizione in Italia del matrimonio contratto all’estero (tra cittadini italiani ma anche di un italiano con uno straniero) non ha efficacia costituiva ma dichiarativa e che quindi il matrimonio è pienamente valido in Italia anche senza trascrizione (Cass. civ. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 17620; Cass. civ. Sez. I, 19 ottobre 1998, n. 10351).
Più articolata è la disciplina del matrimonio contratto in Italia da uno straniero con un cittadino italiano o con un altro straniero. L’articolo 116 del codice civile impone infatti allo straniero che intenda contrarre matrimonio in Italia di presentare all’ufficiale dello stato civile del luogo in cui deve essere contratto il matrimonio, insieme alla richiesta di pubblicazioni, “una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio”. Ai fini della sua validità è necessario e sufficiente che la dichiarazione rilasciata dall'autorità estera accerti l'assenza di ostacoli al matrimonio, a prescindere dalle formule testuali impiegate Cons. Stato, Sez. I, 9 ottobre 2013, n. 3164).
Spesso la dichiarazione non viene rilasciata per motivi legati all’osservanza della religione islamica, che per esempio vieta alla donna musulmana di unirsi in matrimonio con un uomo non musulmano; oppure per motivi legati ad eventi bellici che impediscono l’acquisizione dei documenti necessari o per altri motivi come per esempio l’assenza di una autorità deputata al rilascio della dichiarazione in questione (come avviene per i cittadini degli Stati Uniti o australiani). La giurisprudenza si è occupata di questi problemi spesso supplendo alla mancanza del nulla osta (Trib. Piacenza, 5 maggio 2011) o negando valore a divieti delle autorità straniere basati su presupposti ritenuti contrari all’ordine pubblico (Trib. Venezia , 4 luglio 2012). La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale questa disposizione nella parte in cui non prevede che lo straniero, in mancanza di quella dichiarazione, possa provare con ogni mezzo la ricorrenza delle condizioni previste nella legislazione di provenienza, fatto sempre salvo il divieto di condizioni contrarie all’ordine pubblico (Corte cost. 30 gennaio 2003, n. 14). Nella motivazione la Corte richiama la prassi di molti tribunali all’esito del procedimento previsto nell’art. 98 del codice civile (ricorso al tribunale in camera di consiglio contro il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di eseguire le pubblicazioni matrimoniali e quindi contro il rifiuto di ammettere lo straniero al matrimonio in Italia) affermando che, del tutto legittimamente, il giudice può autorizzare le pubblicazioni (e quindi il matrimonio) nei casi in cui la mancata autorizzazione avrebbe effetti discriminatori frustrando il diritto primario di tutte le persone di unirsi in matrimonio.
L’art. 116 del codice civile prevedeva anche che insieme al nulla osta dell’autorità del proprio Paese lo straniero dovesse presentare anche “un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano” ma la Corte costituzionale ha eliminato questo obbligo considerandolo lesivo del diritto fondamentale di chiunque di contrarre matrimonio (Corte cost. 25 luglio 2011, n. 245).
Il citato articolo 116 del codice civile, in ogni caso, prescrive che anche lo straniero è soggetto alle disposizioni contenute negli articoli 85, 86, 87 n. 1 , 2 e 4, 88 e 89 del codice. Non è indicato l’art. 84 sul limite minimo di età ai diciotto anni; pertanto uno straniero potrebbe sposarsi in Italia anche se di età inferiore senza chiedere alcuna autorizzazione e sempre che ciò sia ammesso nel suo Stato di provenienza.