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LESSICO DI DIRITTO DI FAMIGLIA®
MANTENIMENTO DEI FIGLI MAGGIORENNI - A cura dell'avv. Giorgia Loreti - Ottobre 2021

I

Quali norme nella legislazione vigente disciplinano il mantenimento dei figli maggiorenni?

L’art. 30 della Costituzione prevede che “è dovere e diritto dei genitori, mantenere, istruire ed educare i figli…” ed indica, quindi, un principio di portata generale collegato alla genitorialità (dentro e fuori dal matrimonio) senza specificare i limiti di età del figlio oltre i quali questi doveri e questi diritti non hanno più ragione di esistere. Viceversa il codice civile – che all’art. 2 stabilisce che “la maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno” - all’art. 316 prevedeva (prima della riforma operata dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 che ha riformato il testo della norma) che il figlio è soggetto alla potestà dei genitori “sino all’età maggiore”. Questa precisazione sul limite cronologico della “potestà” non si ritrova più nella normativa vigente. Il testo attuale, infatti, dell’art. 316 c.c. prevede che entrambi i genitori hanno (non più la “potestà” ma) la “responsabilità genitoriale” che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio, senza specificare se minore o maggiore di età. Considerato che l’estensione cronologica della minore età non si è modificata è legittimo, quindi, chiedersi se il concetto di”responsabilità genitoriale” possa o meno considerarsi sovrapponibile a quello della “potestà” oppure ne stravolga il significato tradizionale.

Ebbene bisogna osservare, a tale proposito, che la legge 10 dicembre 2012, n. 219, nell’indicare i principi guida nella materia poi attuata dal legislatore delegato (decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154), aveva delegato il Governo a delineare “la nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale” con ciò evidentemente non intendendo attribuire alla “responsabilità” un significato eversivo rispetto a quello storicamente attribuito alla “potestà”. Prescindendo, perciò, da come il legislatore delegato ha inteso dare attuazione a questa delega (sostituendo del tutto il nuovo termine al precedente anziché abbinarli insieme) certamente risulta confermato il sistema tradizionale che, mentre limita cronologicamente al compimento della maggiore età i diritti e i corrispondenti poteri di indirizzo educativo dei genitori (in pratica il settore della rappresentanza e dell’affidamento: la tradizionale “potestà”), estende oltre la maggiore età solo i doveri di mantenimento. Pertanto la “responsabilità genitoriale” (in una interpretazione, tra l’altro, coerente con quanto previsto nell’art. 30 della Costituzione) si compone certamente di due aspetti: uno personale, il cui confine cronologico coincide con la minore età (la tradizionale nozione cioè di “potestà”), e l’altro economico che si estende anche nella maggiore età.

I figli maggiorenni si trovano, quindi, nella condizione peculiare di non essere più soggetti (giuridicamente) ai diritti e ai poteri di indirizzo educativo dei genitori ma di continuare ad essere titolari di un diritto generale al mantenimento il quale ha un contenuto notoriamente più ampio di quello della sola soddisfazione delle sole esigenze alimentari (relegate nell’area dei bisogni di sopravvivenza), rientrandovi anche la soddisfazione di esigenze di studio, di svago, di sport, di socializzazione e di cura della persona (su questo aspetto da ultimo Cass. civ. Sez. I, 10 luglio 2013, n. 17089). Queste ultime esigenze sono, d’altro lato, strettamente connesse, anche a poteri di indirizzo educativo, che di fatto, quindi, permangono (sia pure non giuridicamente) anche nella maggiore età dei figli per periodi di tempo che variano, come si vedrà, da caso a caso. Diritti e doveri si sovrappongono, perciò, in questa area della “responsabilità genitoriale” che richiede una continua verifica dei concetti fondamentali che vi sono sottesi.

La normativa in materia di obbligazioni di mantenimento soltanto negli ultimi anni si è occupata dei figli maggiorenni.

Un cenno ai diritti dei figli maggiorenni (unico nella legislazione precedente alla riforma dell’affidamento condiviso) era, in verità, già contenuto nell’art. 6, comma 6, della legge sul divorzio come riformata nel 1987 (“L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età”). Si trattò, però, solo di un timido inizio della costruzione di un vero e proprio statuto normativo dei diritti dei figli maggiorenni.

Una ben più significativa incursione della legge nella maggiore età – sia pure solo nell’area della crisi della vita familiare - si deve alla normativa sull’affidamento condiviso dei figli (legge 8 febbraio 2006, n. 54) che riservava ai figli maggiorenni nell’ambito delle procedure di separazione (e divorzio ex art. 4, secondo comma, della medesima legge) un intero nuovo articolo (art. 155-quinquies, appunto rubricato “Disposizioni in favore dei figli maggiorenni”) nel quale si attribuiva per la prima volta ex lege ai “figli maggiorenni non indipendenti economicamente” un diritto alla titolarità di un assegno periodico di mantenimento. La disposizione in questione non è stata toccata dalla riforma sulla filiazione di cui alla legge 10 dicembre 2012, n. 219 se non per la collocazione sistematica, avendo il decreto di attuazione (decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154) accorpato le disposizioni sull’esercizio della responsabilità genitoriale in caso di scissione della coppia genitoriale in un capo a sé inserendo le disposizioni in favore dei figli maggiorenni nel nuovo articolo 337-septies del codice civile.

La riforma di cui alla legge 219/2012 ha dato alla problematica dei diritti dei figli una dimensione più ampia e più generale, non limitandosi alla fase della crisi genitoriale. Ha rimodellato la lacunosa disciplina precedente accorpando in una norma a contenuto generale (art. 315-bis c.c.) l’indicazione dei “diritti e doveri del figlio” (non solo, quindi, il figlio minore) con una formulazione simmetrica a quella utilizzata dall’art. 30 Cost. per indicare i doveri e diritti dei genitori, precisando che “il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori…”. Il figlio, a sua volta, “deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito al mantenimento della famiglia finché convive con essa” (art. 315-bis ultimo comma c.c.). Disposizione quest’ultima, che già preesisteva alla riforma ma che nel contesto della riforma della filiazione acquista ora un significato più peculiare.

Lo statuto dei diritti e dei doveri dei figli si completa nel codice civile con la descrizione delle caratteristiche dell’obbligazione di mantenimento a carico dei genitori. Il nuovo art. 316-bis (già art. 148 c.c.) ribadisce che l’obbligazione deve essere assolta dai genitori “in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo” e che gli ascendenti sono tenuti, in caso di impossibilità dei genitori, ad assicurare a questi ultimi i mezzi per far fronte all’obbligazione di mantenimento. Disposizioni queste già collaudate perché da sempre applicate quotidianamente nei tribunali.

Tutte le norme sopra richiamate costituiscono oggi la fonte legislativa delle obbligazioni di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni, rendendo oggi per lo più superfluo il riferimento a quella giurisprudenza che da molto prima delle riforma sull’affidamento condiviso e sulla filiazione (allorché dei figli maggiorenni non vi era traccia nella legislazione) avevano affermato, anticipandoli, gli stessi principi (tra le tante Cass. civ. Sez. I, 7 aprile 2006, n. 8221; Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2005, n. 6975; Cass. civ. Sez. I, 18 febbraio 1999, n. 1353; Cass. civ. Sez. I, 8 settembre 1998, n. 8868; Cass. civ. Sez. I, 11 marzo 1998, n. 2670; Cass. civ. Sez. I, 28 giugno 1994, n. 6215).

La legislazione è quindi oggi in piena sintonia con i principi di fondo che la giurisprudenza ha sempre sostenuto e cioè che il dovere dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli non cessa automaticamente con il conseguimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura sino a quando i medesimi non abbiano raggiunto un’indipendenza economica, ovvero abbiano concorso colpevolmente alla determinazione della propria non autosufficienza economica.

Al figlio maggiorenne portatore di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori (art. 337-septies c.c. già art. 155-quinquies, secondo comma, c.c. che subordinava il diritto ai soli casi di inclusione dell’handicap grave nelle qualificazioni della legge 104/1992), come ha avuto modo anche di chiarire la giurisprudenza che ha precisato che trovano applicazione, in tal caso, le disposizioni previste in favore dei figli minori, quali quelle in tema di cura e di mantenimento da parte dei genitori non conviventi, di assegnazione della casa coniugale, ma non anche quelle sull’affidamento, condiviso od esclusivo (Cass. civ. Sez. I, 24 luglio 2012, n. 12977 e da ultimo Cass. civ. Sez. I, 29 luglio 2021, n. 21819).

Come si dirà questo orientamento della giurisprudenza dovrà considerarsi oggi esteso anche all’affermazione del principio della officiosità dei provvedimenti relativi ai figli maggiorenni non economicamente autosufficienti analogamente a quanto avviene per i figli minori di età.

Gianfranco Dosi
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