I
La disciplina del codice civile in materia di abusi della responsabilità genitoriale e di provvedimenti de potestate
Nessuna norma del codice civile definisce la responsabilità (già potestà) genitoriale. Tuttavia la riforma sulla filiazione del 2012-2013 (Legge 10 dicembre 2012, n. 219 e D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) ha modificato il nome e ne ha definito chiaramente i contenuti, precisando nel nuovo articolo 315-bis (in parte riproduttivo del previgente art. 147 c.c.) i diritti e i doveri del figlio: “…essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni… di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti… di essere ascoltato”. La norma definisce perciò a contrario le responsabilità che la Costituzione sintetizza come dovere e diritto dei genitori (art. 30).
La responsabilità genitoriale è, in sostanza, l’insieme dei doveri e dei diritti che definiscono le funzioni dei genitori quali recepite dal sistema normativo. Si tratta sostanzialmente di un fascio di funzioni connesse alla tutela dei diritti della personalità del figlio (accudimento, cura della persona, sostegno, vigilanza) nonché di quelli aventi natura patrimoniale (amministrazione, rappresentanza).
L’uso di questo fascio di doveri, poteri e diritti – che nei suoi contenuti sostanziali (si pensi al mantenimento) può anche persistere oltre il compimento della maggiore età – può, tuttavia, talvolta non esplicarsi nel senso auspicato dalle norme o addirittura presentarsi come pregiudizievole per il figlio. In questi casi disfunzionali si parla di abuso della responsabilità (potestà) genitoriale (in senso ampio child abuse) e il sistema normativo reagisce con misure di salvaguardia tese a proteggere il minore come indicato dall’art. 30, secondo comma, della Costituzione (“Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”).
L’abuso della responsabilità genitoriale è presidiato da alcune norme specifiche da sempre inserite nel codice. Esistono due modalità di reazione all’abuso genitoriale, a seconda che l’abuso comporti un “grave pregiudizio” per il figlio (art. 330 c.c.), ovvero che si presenti come comportamento che, pur non avendo causato ancora un grave pregiudizio, mette comunque a rischio l’incolumità psicologica o fisica del figlio (art. 333 c.c.).
L’art. 330 c.c. è, appunto, rubricato “Decadenza della responsabilità genitoriale” e prevede al primo comma che “Il giudice può pronunziare la decadenza della responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio [comma così modificato dall'art. 50, co. 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154], mentre il secondo comma aggiunge che “In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore” [comma così modificato dall'art. 37, Legge 28 marzo 2001, n. 149]. Si tratta di un provvedimento destinato a venir meno quando “cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata, è escluso il pericolo di pregiudizio per il figlio” (art. 332 c.c.).
Invece l’art. 333 c.c. rubricato “Condotta del genitore pregiudizievole ai figli” precisa al primo comma che “Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore”. Il secondo comma avverte, analogamente a quanto prescritto per la decadenza, che “Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento”.
Per differenziare i presupposti delle svariate situazioni concrete che possono legittimare la decadenza ovvero i provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale, si potrebbe utilizzare il linguaggio del penalista definendo il presupposto della prima situazione alla stregua di un comportamento di danno e la seconda alla stregua di un comportamento di pericolo.
Il significato delle due norme richiamate è molto semplice. Si tratta di interventi giudiziari – sempre revocabili – di carattere ablativo (art. 330 c.c.) o limitativo (art. 333 c.c.) della responsabilità dei genitori, previsti in funzione dell’esigenza di tutela del figlio minore, per consentire l’interruzione di un abuso nei suoi confronti e il ripristino sollecito di una condizione di serenità e di benessere del figlio minore.
Per raggiungere questa finalità il giudice può anche disporre non solo l’allontanamento del figlio (come era previsto nel testo originario della norma e sempre che non possa essere garantita, nel nucleo familiare, la convivenza stabile con altri soggetti idonei a rivestire un ruolo significativo per il minore) ma anche l’allontanamento del responsabile dell’abuso e questa possibilità (espressamente introdotta dall'art. 37 della legge 28 marzo 2001, n. 149) rende omogeneo l’intervento giudiziario a quelli previsti dalla normativa di contrasto alla violenza domestica di cui alla legge 4 aprile 2001, n. 154.