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LESSICO DI DIRITTO DI FAMIGLIA®
CONVIVENZE DI FATTO

I

La rilevanza, la definizione e la prova della convivenza di fatto (commi 36 e 37)

36. Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per: «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.

37. Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b), comma 1, dell’articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

 

 

a) La rilevanza giuridica della convivenza di fatto  

 

La convivenza di fatto è stata al centro negli ultimi decenni di una progressiva attribuzione di rilevanza giuridica come formazione sociale (art. 2 Cost.) all’interno della quale vanno garantiti doveri di solidarietà familiare e diritti fondamentali della persona. 

 

È affermazione ormai assolutamente pacifica che l’art. 2 della Costituzione e l'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo tutelano il diritto alla vita familiare non limitatamente alle relazioni basate sul matrimonio.

 

Nella stessa legislazione, ancorché in maniera disorganica, sono nel tempo emersi segnali sempre più significativi, in specifici settori, della rilevanza della famiglia di fatto.

 

Sotto tale profilo vanno richiamate naturalmente in primo luogo la riforma della filiazione operata con legge 10 dicembre 2012, n. 219, con cui è stata abolita ogni residua discriminazione tra figli "legittimi" e "naturali"; la legge 8 febbraio 2006, n. 54, che, introducendo l’affidamento condiviso dei figli in sede separazione e divorzio, ha esteso la relativa disciplina ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati; la 1egge 19 febbraio 2004, n. 40, che all'art. 5 prevede l'accesso alle tecniche di fecondazione assistita da parte delle coppie di fatto; la legge 9 gennaio 2004, n. 6, che, in relazione ai criteri, di cui all'art. 408 c.c., per la scelta dell'amministratore di sostegno, prevede anche che la stessa cada sulla persona stabilmente convivente con il beneficiario, nonché, all'art. 5, prevede, in relazione all'art. 417 c.c., che l'interdizione e l'inabilitazione siano promosse dalla persona stabilmente convivente; la legge 4 aprile 2001, n. 154, che ha introdotto nel codice civile gli artt. 342-bis e 342-ter, estendendo al convivente il regime di protezione contro gli abusi familiari; la legge 28 marzo 2001, n. 149, art. 7, che, sostituendo l'art. 6, comma 4, della legge 4 maggio 1983, n. 184, ha previsto che il requisito della stabilità della coppia di adottanti risulti soddisfatto anche quando costoro abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni.

 

La Corte costituzionale sin dagli anni ’80 ha affermato espressamente che l’art. 2 della Costituzione è riferibile “anche alle convivenze di fatto, purché caratterizzate da un grado accertato di stabilità”  (Corte cost., 18 novembre 1986, n. 237 [1]). Anche nella giurisprudenza di legittimità si rinvengono significative pronunce in cui la convivenza more uxorio assume il rilievo di formazione sociale dalla quale scaturiscono doveri di natura sociale e morale di ciascun convivente nei confronti dell'altro, da cui discendono, sotto vari aspetti, conseguenze di natura giuridica.

 

Tra le tante si evidenziano, nel solco di un più ampio riconoscimento delle posizioni soggettive sotto il profilo risarcitorio, l'affermazione della responsabilità aquiliana sia nei rapporti interni alla convivenza (Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2005, n. 9801 [2] Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2013, n. 15481 [3]), sia nelle lesioni arrecate da terzi al rapporto nascente da un'unione stabile e duratura (Cass. iv. Sez. III,  21 marzo 2013, n. 7128 [4]; Cass. civ. Sez. III, 16 settembre 2008, n. 23725 [5]). In altre pronunce si è attribuita rilevanza alla convivenza intrapresa dal coniuge separato o divorziato ai fini dell'assegno di mantenimento o di quello di divorzio (Cass. civ. Sez. 1, 11 agosto 2011, n. 17195 [6]; Cass. civ. Sez. 1, 12 marzo 2012, n. 3923 [7]¸ Cass. civ. Sez. I, 18 novembre 2013, n. 25845[8]; di recente, ancora, muovendo dal rapporto di detenzione qualificata dell'unita abitativa, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, si è affermato che l'estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest'ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l'azione di spoglio (Cass. civ. Sez. II, 21 marzo 2013, n. 7214 [9]).

 

b) La definizione della convivenza di fatto nella nuova legge (comma 36)

 

Sono, “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.

 

La definizione è la stessa, in sostanza, di quella che era contenuta nel disegno di legge governativo n. 1339 (del 20 febbraio 2007) sui DICO “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi” dove al primo comma dell’art. 1 che “Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta entro il primo grado, affinità in linea retta entro il secondo grado, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno, sono titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabiliti dalla presente legge”.

 

La convivenza di fatto “stabile”, determina ipso iure, l’applicazione dello statuto giuridico previsto dalla nuova legge. Si tratta di un aspetto piuttosto inedito, nel panorama internazionale sulla regolamentazione giuridica della convivenze di fatto, dove l’accesso alla tutela dipende in genere dalla registrazione della convivenza.

 

Questo effetto di automatica applicazione del nuovo statuto giuridico si produce anche per le convivenze di fatto in corso al momento dell’entrata in vigore della legge, trattandosi di una normativa di carattere sostanziale.

 

Pertanto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale (e non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile) costituiscono per il fatto di convivere stabilmente una “convivenza di fatto” alla quale è applicabile la nuova legge. Che si tratti di due persone dello stesso sesso o di sesso diverso (come l’originario disegno di legge unificato precisava espressamente) non ha rilevanza.

 

Occorre fare una precisazione sull’elemento della convivenza.

 

Innanzitutto la convivenza di fatto (il vivere insieme stabilmente), ancorché per motivi diversi possa naturalmente non essere continuativa, costituisce un elemento imprescindibile, sebbene naturalmente il legislatore non abbia previsto – né avrebbe certamente potuto prevedere - che alla decisione di vivere insieme possa conseguire un obbligo di coabitazione, simmetricamente a quanto previsto per l’obbligo di coabitazione coniugale o nell’unione civile.

 

Pur non avendo un obbligo di coabitazione, tuttavia i conviventi ai quali si applica la nuova legge sono quelli che coabitano insieme e cioè che hanno una medesima dimora abituale nello stesso Comune come chiarisce bene il comma 37.

 

L’elemento della necessaria coabitazione emerge anche da quanto previsto nell’art. 4 del regolamento anagrafico (DPR 30 maggio 1989, n. 223 come modificato dal DPR 17 luglio 2015, n. 126) dove si precisa che agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, “coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”.

 

La stessa giurisprudenza di legittimità ha bene enfatizzato questa condizione di comunanza e di vicinanza affettiva (Cass. civ. Sez. II, 21 marzo 2013, n. 7214[10]; Cass. civ. Sez. I, 8 agosto 2003, n. 11975[11]) affermando che per potersi parlare di convivenza di fatto more uxorio – nello specifico ai fini della tutela possessoria - è necessaria la presenza di una situazione interpersonale di natura affettiva con carattere di tendenziale stabilità, con un minimo di durata temporale  e che si esplichi “in una comunanza di vita” e di interessi.

 

La legge non trova, quindi, applicazione per le persone che si vogliono bene senza convivere stabilmente sotto lo stesso tetto. Non trova applicazione per le persone che hanno legami sentimentali o anche rapporti continuativi sessuali, ma che per motivi diversi non decidono di abitare stabilmente insieme. Anche due persone che abbiano un figlio comune e che quindi esercitano la responsabilità genitoriale non sono destinatari delle norme se non convivono stabilmente.

 

La legge si applica a chi decide di “convivere”, cioè di elaborare un progetto di vita che – analogamente al matrimonio o all’unione civile – si fonda sulla decisione di costituire una famiglia. Che si tratti, come detto, di eterosessuali o di persone dello stesso sesso non rileva. Ciò che conta è la decisione di “metter su famiglia”.

 

La necessità della convivenza traspare – come detto - non solo dal nome utilizzato (“conviventi di fatto” e non, per esempio, “coppie” di fatto) ma soprattutto dal riferimento ai fini dell’individuazione dell’inizio della “stabile convivenza” agli articoli 4 e 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 che prevedono l’iscrizione all’anagrafe di ogni Comune anche delle convivenze (cioè delle persone legate da vincoli affettivi) e il rilascio delle relative certificazioni anagrafiche. Tuttavia, come si è sopra anticipato e meglio si dirà tra breve, l’iscrizione anagrafica costituisce solo un elemento probatorio ai fini dell’individuazione dell’inizio della stabile convivenza, mentre i diritti e doveri previsti nella legge scattano unicamente per il fatto di trovarsi in una condizione di convivenza di fatto stabile (anche se la convivenza non risultasse iscritta all’anagrafe). Quindi non esiste secondo la nuova legge nessuna differenziazione giuridica (come avviene invece in altri Paesi) tra convivenze registrate (cioè iscritte all’anagrafe) e convivenze non registrate. La convivenza costituisce un unico fenomeno familiare e non, come si ipotizzava in lontani disegni di legge, un fenomeno scindibile in “convivenze registrate” cui si applicano le norme di tutela e “convivenze non registrate” come luogo sottratto alle garanzie di legge.

 

c) Al separato che convive more uxorio si applica la legge?

 

Il comma 36 prescrive che la legge trova applicazione solo per le persone conviventi e unite da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza “non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile”.

 

Pertanto stando alla definizione testuale della norma, essendo le persone separate ancora considerate unite in matrimonio, nel caso di conviventi di cui almeno uno sia separato, non dovrebbe trovare applicazione la legge. La convivenza vi sarà ma non avrà le caratteristiche per ricevere la tutela della legge. Perciò le persone separate e le coppie di conviventi (ancorché stabili) di cui almeno uno sia separato non sono destinatari della nuova normativa.

 

 

Si deve, però, ricordare che con due sentenze già sopra ricordate del 2014 (Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2014, n. 7981 [12] e Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18078 [13]) è stata esclusa la sospensione della prescrizione tra coniugi separati. sulla base della motivazione che “l'originaria idea che lo stato di separazione, pur rivelando una incrinatura dell'unità familiare, non ne implica la definitiva frattura", rimanendo possibile la "ricostituzione (mediante la conciliazione) della coesione familiare" è oggi ampiamente superata, se si considera che la separazione non è più un momento di riflessione e ripensamento prima di riprendere la vita di coppia, e nemmeno solo l'anticamera del futuro divorzio, ma rappresenta il momento della "sostanziale esautorazione dei principali effetti del vincolo matrimoniale"

 

Che cosa avverrà se la Corte di cassazione dovese esprimere in futuro un analogo giudizio in ordine alla convivenza more uxorio del separato? Vi sarebbero conseguenze a catena su molti altri contesti giuridici in cui finora sono attributi ai coniugi anche separati gli stessi diritti dei coniugi non separati (si pensi per esempio alla reversibilità pensionistica, all’inclusione tra i legittimari).

 

È chiaro, però, che una scelta di questo tipo appartiene al legislatore e non certo alla giurisprudenza. E stando alla interpretazione letterale della legge in caso di convivenza more uxorio del “separato” (del tutto legittima s’intende) non possono trovare applicazione le norme della legge nuova.

 

d) Il nuovo statuto giuridico della convivenza di fatto

 

Nonostante l’estensione significativa della tutela dei conviventi di fatto (nei rapporti esterni ed interni) garantita, come si è detto, dalla giurisprudenza e dalle disposizioni di legge sopra richiamate, la nuova legge amplia in modo sensibile le garanzie già riconosciute, pur rimanendo lo statuto giuridico della convivenza di fatto sostanzialmente diverso da quello assicurato dall’accesso al matrimonio o all’unione civile.

 

Il legislatore definisce i conviventi di fatto come persone unite stabilmente da legami affettivi di “reciproca assistenza morale e materiale” ma non prevede affatto l’obbligo dell’assistenza morale e materiale.

 

Non c’è nessuna parificazione tra diritti dei conviventi e diritti dei coniugi o delle parti dell’unione civile.

 

Il regime giuridico primario della convivenza non è per legge quello contributivo della famiglia fondata sul matrimonio (definito negli articoli 143 e 144 del codice civile) o dell’unione civile (comma 11 delle nuove disposizioni), ancorché i conviventi possano anche concordare tra loro un regime primario che vi si avvicini molto.

 

Con il matrimonio o con l’unione civile si acquistano diritti ed obblighi giuridici all’interno della coppia e verso l’esterno. Il regime primario è quello contributivo e solidaristico nel corso della vita di coppia e dopo la morte.

 

Chi convive stabilmente fuori dal matrimonio o dall’unione civile acquisisce ope legis i diritti già oggi riconosciuti e quelli previsti nella nuova legge ma – salvo quanto tra breve si dirà in ordine ai doveri liberamente assunti di carattere patrimoniale o imposti dalla legge di carattere alimentare - non assume alcun obbligo giuridico verso il partner. Lo statuto giuridico della convivenza rimane quello dei doveri morali e sociali, cioè delle obbligazioni naturali che non hanno altro effetto se non quello della irripetibilità delle prestazioni spontaneamente prestate a favore del convivente (art. 2034 c.c.).  

 

Qual è, allora, sostanzialmente il nuovo statuto giuridico dei conviventi di fatto?

 

1) In primo luogo lo status di convivente di fatto è equiparato a quello di coniuge per tutta una serie diritti connessi alla vita sociale (diritti spettanti al coniuge nell’ordinamento penitenziario e nel settore in senso ampio sanitario: commi 38 – 40).

 

2) In secondo luogo il convivente di fatto acquisisce un diritto di abitazione – sia pure di durata limitata - in caso di morte del convivente proprietario, nonché un diritto di successione nel contratto di locazione in caso di recesso del convivente conduttore e altri diritti nel settore dell’assegnazione di alloggi di edilizia popolare (commi 43 – 45).

 

3) Il convivente di fatto acquista il diritto agli utili, agli acquisti e agli incrementi se collabora stabilmente nell’impresa familiare del partner (comma 46 che introduce nel codice civile l’art. 230-ter).

 

4) Il convivente di fatto è equiparato al coniuge nel settore dell’interdizione e dell’amministrazione di sostegno (commi 47 e 48).

 

5) Il convivente di fatto è equiparato al coniuge in caso di decesso derivante da fatto illecito altrui quanto ai criteri di risarcimento del danno (comma 49).

 

6) I conviventi di fatto possono regolamentare alcuni reciproci rapporti patrimoniali (specificamente le sole modalità di contribuzione alla vita in comune e il regime della comunione dei beni) con efficacia erga omnes attraverso un “contratto di convivenza” (commi 50 – 64).

 

7) Il convivente in stato di bisogno acquisisce al momento della cessazione della convivenza il diritto ad una prestazione alimentare a carico dell’altro sia pure proporzionata alla durata della convivenza (comma 65).

 

A tutto questo – che è l’effetto della nuova legge – si aggiungono i diritti collegati allo stato di convivente già riconosciuti dalla giurisprudenza.

 

Inoltre i conviventi di fatto mantengono l’ampia autonomia di regolamentare con accordi tra di loro aspetti della loro vita personale e dei loro rapporti patrimoniali. Regolamentazione che potrà essere esercitata nel rispetto dei limiti inderogabili fissati dalla nuova legge, e quindi non in peius, e di quelli generali di liceità e di non contrasto con l’ordine pubblico –

 

In questa prospettiva resta fondamentale la differenza tra “contratti di convivenza” - che sono quelli con efficacia nei confronti dei terzi cui fa riferimento la nuova legge – e “contratti tra conviventi” con efficacia limitata ai rapporti tra le parti (anche con riguardo ai rapporti successivi alla cessazione della convivenza) che appartengono da tempo alla prassi di regolamentazione dei reciproci rapporti patrimoniali nella convivenza di fatto.

 

e) La funzione integrativa e promozionale della nuova legge

 

La nuova legge contiene, come si è visto, un’elencazione di diritti che hanno natura inderogabile ma che, come anche si è detto, non esauriscono lo statuto giuridico della convivenza di fatto in quanto la legge integra con le nuove norme uno statuto giuridico che è più ampio perché comprende anche diritti di natura personale e patrimoniale già riconosciuti ai conviventi dalla legge e dalla giurisprudenza.

 

Non bisogna fare l’errore, quindi, di considerare la nuova legge come l’unica cornice di riferimento dello statuto giuridico dei diritti nella convivenza di fatto. Lo statuto giuridico è oggi allargato dalla nuova legge; non definito per la prima volta.

 

Non vengono meno, perciò – ancorché non siano richiamate dalla nuova legge – le precedenti acquisizioni dottrinarie e giurisprudenziali sebbene la nuova legge offra una cornice di riferimento molto significativa.

 

Rimangono perciò confermati tutti i diritti riconosciuti altrove ai conviventi. Per esempio nel settore degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, nel campo della procreazione medicalmente assistita, nel settore dei trapianti di organi, nel computo del triennio di vita comune previsto per i coniugi per l’adozione legittimante, e in tutti gli altri contesti in cui alla convivenza è attribuita dall’ordinamento già da tempo rilevanza giuridica.

 

In particolare rimane certamente confermato il principio, ribadito più volte dalla giurisprudenza, secondo cui la violazione dei diritti fondamentali della persona è configurabile anche all’interno di una convivenza di fatto (nei termini di stabilità precisati dalla nuova legge), in considerazione dell’irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti riconosciuti ai sensi dell’art. 2 della costituzione (Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2013, n. 15481 [14]).

 

Ugualmente nel settore penale permangono i diritti anche qui da tempo assicurati ai conviventi – ancorché non richiamati dalla nuova legge - come per esempio la tutela penale contro i maltrattamenti e in relazione a molti altri reati contro la persona o contro il patrimonio o il diritto di non testimoniare previsto nell’art. 199 del codice di procedura penale.

 

La forza particolare della nuova legge sta anche in una funzione promozionale dei diritti dei conviventi di fatto in ambiti ancora non regolamentati o non riconosciuti o addirittura negati.

 

Ove non siano indicati infatti specifici diritti e doveri e questi non siano o non siano stati ancora riconosciuti o siano stati addirittura negati anche dalla giurisprudenza, non è affatto da escludere una funzione promozionale della nuova legge.

 

Si pensi per esempio ai patti di famiglia, alla sospensione della prescrizione tra coniugi, alla pensione di reversibilità.

 

f) L’ordinamento anagrafico

 

I riferimenti al regolamento anagrafico contenuti nella nuova legge rendono opportuno qualche riferimento più specifico alla normativa che disciplina questo settore.

 

Innanzitutto va chiarito che a differenza di quanto previsto per il matrimonio e per le unioni civili la disciplina delle convivenze di fatto non trova la sua fonte nell’ordinamento di stato civile (DPR 3 novembre 2000, n. 396 che si occupa della formazione e della conservazione degli atti di stato civile riguardanti la cittadinanza, la nascita, il matrimonio e la morte, ed ora anche delle unioni civili) ma ha la sua fonte normativa nelle norme che concernono l’anagrafe della popolazione residente contenute nella legge 24 dicembre 1954, n. 1228 (Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente) e nel DPR 30 maggio 1989, n. 223 (Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente) come modificato dal DPR 17 luglio 2015, n. 126 (Regolamento anagrafico della popolazione residente).

 

Data l’importanza di queste norme esse vengono riportate in appendice.

 

La legge 24 dicembre 1954, n. 1228 stabilisce che in ogni Comune deve essere tenuta l'anagrafe della popolazione residente in cui sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie (compresi i conviventi di fatto) ed alle convivenze (cioè alle comunità di persone che vivono insieme), che hanno fissato nel Comune la residenza.

 

La legge specifica che gli atti anagrafici sono atti pubblici, sia nel senso che sono “redatti con le richieste formalità da… un pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede” (art. 2699 c.c. con l’efficacia di cui all’art. 2700 di prova piena fino a querela di falso), sia nel senso che sono consultabili da chiunque. Tutto ciò anche se i certificati in cui tali atti sono riprodotti sono considerati da un punto di vista giuridico certificati amministrativi. In campo penale i certificati anagrafici sono considerati dalla giurisprudenza – come meglio si dirà trattando dei contratti di convivenza - certificati amministrativi (art. 477 c.p.) senza il valore dell’atto pubblico (art. 476).

 

Incaricati dell’esercizio delle funzioni anagrafiche sono il Sindaco o un suo delegato.

 

La legge prevede all’art. 2 l’obbligo per chiunque di chiedere per sé “e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela”, l’iscrizione nell'anagrafe del Comune di dimora abituale e di dichiarare alla stessa i fatti determinanti mutazione di posizioni anagrafiche.

 

Pertanto la dichiarazione dci residenza in un Comune costituisce un obbligo dell’interessato e la residenza non può essere difforme da quella in cui si ha la dimora stabile.

 

L'ufficiale d'anagrafe provvede alla regolare tenuta dell'anagrafe della popolazione residente ed è responsabile della esecuzione degli adempimenti prescritti per la formazione e la tenuta degli atti anagrafici. Egli ordina gli accertamenti necessari ad appurare la verità dei fatti denunciati dagli interessati, relativi alle loro posizioni anagrafiche, e dispone indagini per accertare le contravvenzioni alle disposizioni della legge e del regolamento per la sua esecuzione. Egli invita le persone aventi obblighi anagrafici a presentarsi all'ufficio per fornire le notizie ed i chiarimenti necessari alla regolare tenuta dell'anagrafe. Può interpellare, allo stesso fine, gli enti, amministrazioni ed uffici pubblici e privati.

 

L'ufficiale d'anagrafe che sia venuto a conoscenza di fatti che comportino l'istituzione o la mutazione di posizioni anagrafiche, per i quali non siano state rese le prescritte dichiarazioni, deve invitare gli interessati a renderle. In caso di mancata dichiarazione, l'ufficiale d'anagrafe provvede di ufficio, notificando all'interessato il provvedimento stesso. Contro il provvedimento d'ufficio è ammesso ricorso al prefetto.

 

Anche gli ufficiali di stato civile devono comunicare il contenuto degli atti dello stato civile e delle relative annotazioni all'ufficio d'anagrafe del Comune di residenza delle persone cui gli atti o le annotazioni si riferiscono.

 

La legge prevede anche all’art. 11 una sanzione penale disponendo che “Chiunque avendo obblighi anagrafici contravviene alle disposizioni della presente legge ed a quelle del regolamento è punito, se il fatto non costituisce reato più grave, con l'ammenda da lire 1000 a lire 5000 [decuplicata dalla legge 26 aprile 1983, n. 131]”.

 

A sua volta il Regolamento anagrafico della popolazione residente (DPR 30 maggio 1989, n. 223 come modificato dal DPR 17 luglio 2015, n. 126 prescrive gli adempimento per la “raccolta sistematica dell'insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza, nonché delle posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio.

 

L'anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza, in cui sono registrate le posizioni anagrafiche desunte dalle dichiarazioni degli interessati, dagli accertamenti d'ufficio e dalle comunicazioni degli uffici di stato civile.

 

Per evitare confusioni è necessario chiarire che le convivenze di fatto cui si riferisce la nuova legge sono quelle indicate nell’art. 4 del regolamento, che precisa il concetto di “famiglia anagrafica” (Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. Una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona”) e non dall’art. 5 che si riferisce invece con il nome di “convivenza anagrafica” alle comunità di convivenza (“Agli effetti anagrafici per convivenza s'intende un insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune. Le persone addette alla convivenza per ragioni di impiego o di lavoro, se vi convivono abitualmente, sono considerate membri della convivenza, purché non costituiscano famiglie a se stanti. Le persone ospitate anche abitualmente in alberghi, locande, pensioni e simili non costituiscono convivenza anagrafica”).

 

Le dichiarazioni anagrafiche obbligatorie sono quelle per a) trasferimento di residenza da altro comune o dall'estero ovvero trasferimento di residenza all'estero; b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza; c) cambiamento di abitazione; d) cambiamento dell'intestatario della scheda di famiglia o del responsabile della convivenza; e) cambiamento della qualifica professionale; f) cambiamento del titolo di studio.

 

cui si sono verificati i fatti e sono sottoscritte di fronte all'ufficiale d'anagrafe ovvero inviate al comune competente, corredate dalla necessaria documentazione, con le modalità di cui all'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

 

Qualora l'ufficiale di anagrafe accerti che le dichiarazioni in questione non siano state rese, deve invitare gli interessati a renderle e, nel caso di mancata dichiarazione, deve provvede ai conseguenti adempimenti notificandoli agli interessati entro dieci giorni.

 

Per quanto concerne la formazione delle schede anagrafiche l’art. 20 del regolamento prevede che a ciascuna persona residente nel comune deve essere intestata una scheda individuale, sulla quale devono essere obbligatoriamente indicati il cognome, il nome, il sesso, la data e il luogo di nascita, il codice fiscale, la cittadinanza, l'indirizzo dell'abitazione.

 

Da questa scheda sono tratte le indicazioni che vanno riportate nel certificato di residenza.

 

Nella scheda sono altresì indicati altri elementi che rimarranno sempre solo nella scheda e non comunicati a terzi e cioè la paternità e la maternità, gli estremi dell'atto di nascita, lo stato civile, ed eventi modificativi, nonché gli estremi dei relativi atti, il cognome e il nome del coniuge, la professione o la condizione non professionale, il titolo di studio, gli estremi della carta d'identità, il domicilio digitale, la condizione di senza fissa dimora.

 

Le schede individuali debbono essere tenute costantemente aggiornate e devono essere archiviate quando le persone alle quali sono intestate cessino di far parte della popolazione residente.

 

Per ciascuna famiglia residente l’art. 21 prescrive che “deve essere compilata una scheda di famiglia, nella quale devono essere indicate le posizioni anagrafiche relative alla famiglia ed alle persone che la costituiscono”.

 

Da questa scheda saranno tratte le indicazioni che vanno riportate nel certificato di stato di famiglia.

 

La scheda di famiglia deve essere intestata alla persona (cosiddetto intestatario della scheda di famiglia) indicata all'atto della dichiarazione di costituzione della famiglia. In caso di mancata indicazione dell'intestatario o di disaccordo sulla sua designazione, sia al momento della costituzione della famiglia, sia all'atto del cambiamento dell'intestatario stesso, l'ufficiale di anagrafe provvederà d'ufficio intestando la scheda al componente più anziano e dandone comunicazione all'intestatario della scheda di famiglia. Nella scheda di famiglia, successivamente alla sua istituzione, devono essere iscritte le persone che entrano a far parte della famiglia e cancellate le persone che cessino di farne parte

 

Avverso il rifiuto opposto dall'ufficiale di anagrafe al rilascio dei certificati anagrafici e in caso di errori contenuti in essi, l'interessato può produrre ricorso al prefetto (art. 36 del regolsmento).

 

Da quanto sopra si può dedurre che ai fini probatori la convivenza di fatto risulta non tanto e non solo dalle certificazioni anagrafiche relative alle schede personali (dichiarazione di residenza) da cui può risultare tuttavia la residenza nella medesima abitazione, ma soprattutto dalle schede di famiglia (certificazioni di stato di famiglia).

 

g) Obblighi di iscrizione anagrafica e prova della convivenza (comma 37)

 

A differenza del matrimonio che prevede il momento costitutivo della celebrazione e a differenza delle unioni civili per le quali il legislatore ha previsto quale presupposto obbligatorio la registrazione nell’archivio dello stato civile, per le convivenze di fatto non è previsto alcun presupposto obbligatorio di “registrazione”, ma solo i consueti obblighi di natura anagrafica finalizzati alla formazione delle schede personali e di quelle di famiglia da cui sono tratti i certificati di residenza e i certificati cosiddetti di stato di famiglia.

 

Non vi sono, come detto, nella nuova legge due tipologie di convivenze di fatto: quelle registrate e quelle non registrate, ma un solo tipo di convivenza di fatto da cui derivano i diritti e i doveri indicati nella legge.

 

L’iscrizione all’anagrafe  - obbligatoria per tutti i residenti in un comune - cui consegue la formazione della scheda personale e di quella di famiglia, costituisce solo un elemento di prova della convivenza e della sua durata. Ne è indizio certo il fatto che altrimenti il legislatore avrebbe previsto un sistema di registrazione presso gli uffici dello stato civile e non certo all’anagrafe della popolazione residente dove in ogni caso gli adempimenti costituiscono sempre un obbligo dell’interessato ed del Comune (art. 3 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente).

 

La legge ricorda al comma 37 che per l'accertamento della stabile convivenza si deve fare riferimento agli articoli 4 e 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

 

L’art. 4 del regolamento anagrafico dà la definizione di “famiglia anagrafica” comprendendovi anche le persone legate da vincoli affettivi.

 

L’art. 13 è, invece, la disposizione che prevede le dichiarazioni anagrafiche (Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai responsabili di cui all'art. 6 del presente regolamento concernono i seguenti fatti: a) trasferimento di residenza da altro comune o dall'estero ovvero trasferimento di residenza all'estero; b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza…) in quanto appunto da tale dichiarazione deriva l’iscrizione della convivenza nell’anagrafe della popolazione residente.

 

Le dichiarazioni da effettuare all’anagrafe, come detto, sono un obbligo degli interessati (art. 3 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente), potendo peraltro l’anagrafe provvedervi d’ufficio ove gli interessati non le effettuino. E queste dichiarazioni non si limitano alla sola dichiarazione di residenza ma riguardano anche le dichiarazioni di costituzione di una famiglia.

 

Come sarà chiaro da quanto tra poco si dirà in ordine al regolamento anagrafico e alle dichiarazioni da rendere agli uffici anagrafici (relative sia alla residenza che alla costituzione di una famiglia) è opportuno osservare che ai fini della prova della convivenza di fatto potrebbe certamente essere sufficiente la sola dichiarazione di residenza nella stessa abitazione ma sarebbe sicuramente più consistente la prova che deriva dalla certificazione di stato di famiglia e quindi dalla dichiarazione di aver costituito una nuova famiglia. Le persone che convivono stabilmente in genere non sempre dichiarano la costituzione di una famiglia (un po’ per ritrosia e un po’ per ignoranza) ma si limitano a dichiarare la residenza nell’ambito della stessa abitazione. E’ invece opportuno chiarire che la dichiarazione di aver costituito una famiglia è ugualmente prevista (come obbligatoria) e se finora questa dichiarazione è stata pressoché ignorata dai conviventi è solo perché nella tradizione culturale corrente la famiglia viene in genere delimitata a quella matrimoniale. 

 

Il legislatore, d’altra parte, attribuisce all’inizio della convivenza un valore decisivo ai fini dell’applicazione di molte disposizioni. Per esempio, come si vedrà, la durata della convivenza incide sul diritto del convivente superstite a succedere nel godimento dell’immobile adibito a residenza comune dei conviventi (comma 42), nonché sui diritti patrimoniali che conseguono alla cessazione della convivenza stessa (art. 65).

 

Se il legislatore avesse inteso attribuire alle certificazioni anagrafiche richiamate nel comma 37 il valore di una “registrazione” costitutiva avrebbe dovuto esplicitarlo. Quindi non cambia nulla rispetto al passato: la legge non istituisce un obbligo di “registrazione” costitutiva delle convivenze ma conferma la disciplina delle dichiarazioni da rendere all’ufficio dell’anagrafe quanto alla residenza e allo stato di famiglia. Si tratta di dichiarazioni degli interessati previste come obbligatorie ai fini anagrafici che, ove non assolte, potranno essere effettuate d’ufficio.

 

In questa prospettiva con l’espressione “per l’accertamento della stabile convivenza” – utilizzata nel comma 37 – il legislatore intende riferirsi alla prova della convivenza.

 

Per questo tipo di interpretazione potrebbe essere utile l’esame dei progetti di legge presentati in parlamento nei quali si prevedeva che “La convivenza di cui al comma 1 è provata dalle risultanze anagrafiche in conformità agli articoli 4, 13 comma 1 lettera b), 21 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, secondo le modalità stabilite nel medesimo decreto per l’iscrizione, il mutamento o la cancellazione. E’ fatta salva la prova contraria sulla sussistenza degli elementi di cui al comma 1 e delle cause di esclusione di cui all’articolo 2. Chiunque ne abbia interesse può fornire la prova che la convivenza è iniziata successivamente o è terminata in data diversa rispetto alle risultanze anagrafiche”.

 

Ai fini dell’applicazione delle norme introdotte dalla legge si porrà certamente in molti casi, infatti, il problema di provare la convivenza.

 

Come si prova la convivenza?

 

Se la convivenza non risultasse all’anagrafe della popolazione residente del Comune, gli interessati la potranno provare con ogni altro mezzo. 

 

In conclusione il legislatore indica il criterio legale di prova relativa alla convivenza e all’inizio della convivenza (così come della sua cessazione) ma non esclude che la convivenza in sé possa essere provata anche in altro modo. Così come si potrà provare naturalmente che la convivenza non sussiste ove non fossero state effettuate le previste dichiarazioni di mutazione previste dal regolamento anagrafico.

 

Quindi non vi saranno – anche ai fini, per esempio, delle obbligazioni alimentari previste in caso di cessazione della convivenza – due tipologie di convivenze di fatto: quelle risultanti dall’anagrafe e quelle non risultanti. Ma un solo tipo di convivenza di fatto da cui derivano i diritti e i doveri indicati nella legge.

 

L’iscrizione all’anagrafe determina solo un elemento di prova della convivenza e del suo inizio.

 

Un problema analogo si è posto e continua a porsi nell’applicazione dell’art. 5 della legge 4 maggio 1983, n. 184 che, dopo aver previsto per le coppie aspiranti all’adozione piena il requisito dell’essere uniti in matrimonio da almeno tre anni senza che sia intervenuta separazione personale neppure di fatto, aggiunge che tale requisito di stabilità del rapporto “può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto”. Uno dei modi per accertarla è appunto la dichiarazione all’anagrafe prevista già da tempo nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

 

Pertanto la prova della convivenza ed anche del suo inizio può essere certamente raggiunta legalmente attraverso le certificazioni anagrafiche alle quali si è fatto riferimento ma, in assenza, anche con ogni mezzo idoneo.

 

Il sistema di cui si è parlato è lo stesso, in sostanza, di quello previsto nel disegno di legge governativo n. 1339 (del 20 febbraio 2007) sui DICO “Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi” all’art. 1 (ambito e modalità di applicazione) dove si prevedeva che “1. Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta entro il primo grado, affinità in linea retta entro il secondo grado, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno, sono titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabiliti dalla presente legge. 2. La convivenza di cui al comma 1 è provata dalle risultanze anagrafiche in conformità agli articoli 4, 13, comma 1, lettera b), 21 e 33 del regolamento di cui al del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, secondo le modalità stabilite nel medesimo regolamento per l’iscrizione, il mutamento o la cancellazione. E` fatta salva la prova contraria sulla sussistenza degli elementi di cui al comma 1 e delle cause di esclusione di cui all’articolo 2 della presente legge. Chiunque ne abbia interesse può fornire la prova che la convivenza è iniziata successivamente o è determinata in data diversa rispetto alle risultanze anagrafiche.

 

I progetti sui DICO prevedevano anche una disposizione – non riprodotta nella nuova legge – secondo cui “relativamente alla convivenza, qualora la dichiarazione all’ufficio di anagrafe di cui all’articolo 13, comma 1, lettera b), del regolamento di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, non sia resa contestualmente da entrambi i conviventi, il convivente che l’ha resa ha l’onere di darne comunicazione all’altro convivente mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento; la mancata comunicazione preclude la possibilità di utilizzare le risultanze anagrafiche a fini probatori ai sensi della presente legge”.

 

Il sistema previsto dalla nuova legge è diverso da quello dei PACS introdotti in Francia con la legge n. 99-944 del 15 novembre 1999 (Du pacte civil de solidarité et du concubinage) che prevede un contratto tra due persone maggiorenni dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in comune, concluso con una dichiarazione congiunta scritta alla cancelleria del Tribunal d'instance nella giurisdizione di residenza. Il testo della convenzione è iscritto in un registro tenuto presso la cancelleria. Qui la registrazione è condizione per l’attuazione della disciplina legale.

 

h) L’automatismo tra convivenza stabile e riconoscimento dei diritti e doveri

 

La questione centrale che la legge sulle convivenze di fatto pone è costituita dal fatto che il legislatore ha instaurato un inedito sistema di riconoscimento di diritti e doveri fondato sulla semplice stabile convivenza e non sulla volontarietà degli effetti derivanti da una qualche forma di registrazione.

 

Non è prevista, come si è detto, alcuna registrazione o alcun presupposto formale di ingresso in una condizione giuridica alla quale sono collegati diritti e doveri.

 

La stessa “iscrizione” anagrafica (a norma degli articoli 4 e 33 del richiamato regolamento n. 223/198) costituisce non il presupposto per l’accesso ad una condizione giuridica specifica ma solo un elemento probatorio ai fini dell’individuazione dell’inizio della stabile convivenza. Pertanto i diritti e doveri previsti nella legge scattano unicamente per il fatto di trovarsi in una condizione di convivenza di fatto stabile.

 

Tutto ciò ha spinto alcuni commentatori a sollevare il dubbio di costituzionalità di un sistema normativo che non prevede l’accesso volontario e formale alla condizione di “convivenza di fatto”, ma che impone al contrario diritti e doveri che nella famiglia fondata sul matrimonio o sull’unione civile sono assicurati dalla scelta di sposarsi o di registrare l’unione e che, invece, nella convivenza di fatto sono assicurati e garantiti dal mero fatto di convivere.

 

D’altro lato se è vero che la convivenza, meglio si potrebbe dire, la famiglia di fatto si caratterizza per l’esistenza di legami affettivi di coppia di reciproca assistenza morale e materiale, non può non derivarne la conseguenza che a quei legami e all’affidamento reciproco che essi inducono in ciascuno dei conviventi, deve corrispondere una tutela giuridica, che le parti lo vogliano o no. Se due persone decidono di metter su famiglia assumono per questo un dovere sociale di solidarietà (art. 2 Cost.) che non può che avere come necessaria conseguenza la tutela giuridica delle situazioni che ne scaturiscono.

 

Sul versante della tutela dei figli questi principi già da decenni hanno trasformato la responsabilità genitoriale in un concetto che non tollera alcuna limitazione per il fatto di estrinsecarsi in una famiglia fondata sul matrimonio anziché in una famiglia di fatto.

 

Una interpretazione evolutiva del diritto di famiglia quindi deve far considerare conforme a costituzione un modello di riconoscimento della convivenza stabile come formazione sociale alla quale assicurare in ogni caso, per il fatto di esistere, l’adempimento di quei doveri minimi di solidarietà cui si riferisce l’art. 2 della Costituzione, senza offrire a nessuno la scappatoia di convivenze non registrate in cui questi doveri potrebbero non essere assicurati.

 

L’unica prospettiva accettabile per chi volesse tener fuori la solidarietà dai rapporti di famiglia è quella, di non coinvolgere un partner in una convivenza familiare.

 

Il che comporta anche che la solidarietà familiare diventa un vero e proprio diritto indisponibile con la conseguente nullità di qualsiasi patto con cui gli stessi conviventi intendessero escluderla.

 

i) È possibile convivere senza obblighi di legge?

 

Si è detto che l’iscrizione anagrafica (a norma degli articoli 4 e 33 del regolamento anagrafico) costituisce, secondo l’ordinamento anagrafico, un obbligo per chiunque ha la propria dimora in un comune.

 

Questa iscrizione anagrafica non è, però considerata dalla nuova legge, un presupposto per l’accesso ad una condizione giuridica specifica, ma solo un elemento probatorio ai fini dell’individuazione dell’inizio della stabile convivenza. Il comma 37 prescrive che “Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4 [15] e alla lettera b, comma 1, dell’art. 13 [16] del regolamento di cui al decreto del Presidente della repubblica 30 maggio 1989, n. 223”.

 

Si è già detto trattando dell’ordinamento anagrafico come queste dichiarazioni siano obbligatorie e come gli uffici anagrafici abbiano il potere di provvedere d’ufficio alle iscrizioni e alla rettifiche necessarie in difetto di adempimento da parte die cittadini.

 

E d’altra parte la legge non avrebbe certo potuto eliminare per i conviventi questo obbligo, gravante su tutti, di denunciare all’anagrafe la propria condizione di residenza e i mutamenti successivi.

 

Ove due conviventi decidessero di non voler denunciare la propria residenza nella medesima abitazione, omettendo di dichiarare la propria condizione nella scheda individuale o in quella di famiglia, potrebbero certamente farlo, violando la legge. E magari nessuno potrebbe segnalare questa omissione agli uffici anagrafici. Pertanto a questa omissione potrebbe anche non seguire, per negligenza o per disfunzionalità degli uffici anagrafici, un accertamento o una rettifica d’ufficio.

 

Potrebbe questa situazione portare a non applicare la nuova legge ai conviventi in questione?

 

Questo interrogativo – che con l’entrata in vigore della legge molti si sono posti – è, in verità, mal posto.

 

Se anche per ipotesi i conviventi decidessero di violare gli obblighi di iscrizione anagrafica o di convenire di mantenere, illegalmente, residenze autonome, non ne deriverebbe mai l’impossibilità di applicazione della nuova legge essendo le norme in questione sempre invocabili dalla parte che intendesse richiedere l’applicazione delle norme previste.

 

In altre parole, quale che sia la condizione anagrafica formale emergente, il fatto di convivere attribuisce i diritti previsti e il dovere alimentare alla cessazione della convivenza.

 

L’espressione utilizzata nel comma 37 (“…per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica…) non può quindi essere interpretata nel senso (che sarebbe contra legem) che i conviventi potrebbero omettere la dichiarazione anagrafica per evitare l’applicazione della legge.

 

Come più volte osservato il legislatore non ha previsto due forme di convivenza: quelle registrate e quelle libere. Pertanto non è possibile introdurre differenze basate sull’iscrizione o meno all’anagrafe della propria condizione di comune residenza.


[1] Corte cost., 18 novembre 1986, n. 237 (Pluris, Wolters Kluwer Italia). Un consolidato rapporto (come la convivenza more uxorio), ancorché di fatto, non appare costituzionalmente irrilevante se si abbia riguardo al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche (art. 2 Cost.) e ciò tanto più se vi sia presenza di prole. Siffatti interessi sono indubbiamente meritevoli, nel tessuto delle realtà sociali odierne, di compiuta obiettiva valutazione. Tuttavia, nel caso in questione, la eventuale parificazione della convivenza e del coniugio relativamente all'imputato art. 307, quarto comma, c.p., trascenderebbe i ristretti termini del caso, coinvolgendo le altre ipotesi di reato ex art. 384 c.p. e altri istituti, di ordine processuale - la ricusazione del giudice (art. 64, n. 3 e n. 4, cod. proc. pen.), la facoltà di astensione dal deporre (art. 350) la titolarità nella richiesta di revisione delle sentenze di condanna e di connesso esercizio dei relativi diritti (artt. 556, 564) ovvero nella presentazione di domanda di grazia (art. 595) - nonché la disciplina della separazione dei coniugi, con conseguente necessità di apprestare un'esaustiva regolamentazione comportante scelte e soluzioni di natura discrezionale, riservate al solo legislatore, al quale peraltro si rinnova la già espressa sollecitazione a provvedere in proposito. (Inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in relazione all'art. 3 Cost., dell'art. 307, comma quarto, cod. pen. e dell'art. 384 cod. pen. (concernenti casi di non punibilità per il reato di favoreggiamento), nella parte in cui non si prevede che la scriminante di cui allo stesso art. 384, possa estendersi al convivente more uxorio).

[2] Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2005, n. 9801 (Giur. It., 2006, 4, 691 nota di FRACCON, CARBONE)Il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume il connotato di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo ritenersi che diritti definiti inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i titolari si pongano o meno all'interno di un contesto familiare. 

[3] Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2013, n. 15481 (Pluris, Wolters Kluwer Italia). La violazione dei diritti fondamentali della persona è configurabile anche all’interno di una unione di fatto, che abbia, beninteso, caratteristiche di serietà e stabilità, avuto riguardo alla irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti, riconosciuti, ai sensi dell’art. 2 Cost., in tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo Del resto, ferma restando la ovvia diversità dei rapporti personali e patrimoniali nascenti dalla convivenza di fatto rispetto a quelli originati dal matrimonio, è noto che la legislazione si è andata progressivamente evolvendo verso un sempre più ampio riconoscimento, in specifici settori, della rilevanza della famiglia di fatto.

[4] Cass. civ. Sez. III, 21 marzo 2013, n. 7128 (Pluris, Wolters Kluwer Italia). Integra di per sé un danno risarcibile ex art. 2059 cod. civ. - giacché lede un interesse della persona costituzionalmente rilevante, ai sensi dell'art. 2 Cost. - il pregiudizio recato al rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, anche quando non sia contraddistinto da coabitazione. In caso, invece, di relazione prematrimoniale o di fidanzamento che - a prescindere da un rapporto di convivenza attuale al momento dell'illecito - era destinato successivamente ad evolvere (e di fatto si sia evoluto) in matrimonio, il risarcimento del danno non patrimoniale trova fondamento nell'art. 29 Cost., inteso come norma di tutela costituzionale non solo della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio, ma anche del diritto del singolo a contrarre matrimonio e ad usufruire dei diritti-doveri reciproci inerenti le persone dei coniugi, nonché a formare una famiglia quale modalità di piena realizzazione della propria vita individuale.

[5] Cass. civ. Sez. III, 16 settembre 2008, n. 23725 (Nuova Giur. Civ., 2009, 5, 1, 447 nota di BARBANERA). Il diritto al risarcimento da fatto illecito concretatosi in un evento mortale va riconosciuto - con riguardo sia al danno morale, sia a quello patrimoniale, che presuppone, peraltro, la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato - anche al convivente "more uxorio" del defunto stesso, quando risulti concretamente dimostrata siffatta relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale.

[6] Cass. civ. Sez. I, 11 agosto 2011, n. 17195 (Pluris, Wolters Kluwer Italia). In tema di diritto alla corresponsione dell'assegno di divorzio in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il parametro dell'adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei coniugi viene meno di fronte alla instaurazione, da parte di questi, di una famiglia, ancorché di fatto; la conseguente cessazione del diritto all'assegno divorzile, a carico dell'altro coniuge, non è però definitiva, potendo la nuova convivenza - nella specie, uno stabile modello di vita in comune, con la nascita di due figli ed il trasferimento del nuovo nucleo in una abitazione messa a disposizione dal convivente - anche interrompersi, con reviviscenza del diritto all'assegno divorzile, nel frattempo rimasto in uno stato di quiescenza.

[7] Cass. civ. Sez. 1, 12 marzo 2012, n. 3923 (Pluris, Wolters Kluwer Italia). In tema di diritto alla corresponsione dell'assegno di divorzio in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il parametro dell'adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei coniugi viene meno di fronte alla instaurazione, da parte di questi, di una famiglia, ancorché di fatto.

[8] Cass. civ. Sez. I, 18 novembre 2013, n. 25845 (Pluris, Wolters Kluwer Italia). In tema di diritto alla corresponsione dell’assegno di divorzio in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei coniugi viene meno di fronte alla instaurazione, da parte di questi, di una famiglia, ancorché di fatto, la quale rescinde, quand’anche non definitivamente, ogni connessione con il livello ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, conseguentemente, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile.

[9] Cass. civ. Sez. II, 21 marzo 2013, n. 7214 (Giur. It., 2013, 12, 2491 nota di FERRETTI). La. convivenza "more uxorio" determina, sulla casa di abitazione ove si svolge la vita in comune, un potere di fatto basato su un interesse proprio distinto rispetto a quello derivante da ragioni di mera ospitalità; ne deriva che l'estromissione violenta o clandestina del convivente dall'unità abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendo l'esperimento dell'azione di spoglio nei confronti dell'altro. La convivenza di fatto, infatti — con il reciproco rispettivo riconoscimento di diritti del partner, che si viene progressivamente consolidando nel tempo, e con la concretezza di una condotta spontaneamente attuata — dà vita, anch'essa, ad un autentico consorzio familiare, investito di funzioni promozionali.

 

 

[10] Cass. civ. Sez. II, 21 marzo 2013, n. 7214 (Giur. It., 2013, 12, 2491 nota di FERRETTI). Per potersi parlare di convivenza di fatto more uxorio è necessaria la presenza di una situazione interpersonale di natura affettiva con carattere di tendenziale stabilità e con un minimo di durata temporale  e che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale.

[11] Cass. civ. Sez. I, 8 agosto 2003, n. 11975  (in Famiglia e Diritto, 2004, 195). Tra i fattori capaci di incidere sulla nozione di "adeguatezza" è suscettibile di acquisire rilievo anche la eventuale convivenza "more uxorio", la quale, quando si caratterizzi per i connotati della stabilità, continuità e regolarità tanto da venire ad assumere i connotati della cosiddetta "famiglia di fatto" (caratterizzata, in quanto tale, dalla libera e stabile condivisione di valori e dei modelli di vita, in essi compresi anche quello economico).

 

[12] Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2014, n. 7981 (Nuova Giur. Civ., 2014, 10, 890 nota di DE PAMPHILIS). In tema di diritto del coniuge beneficiario al pagamento dell'assegno di mantenimento, alla stregua di una interpretazione dell'art. 2941, n. 1, cod. civ., non letterale ma che tenga conto dell'evoluzione del quadro normativo e della stessa coscienza sociale, la sospensione della prescrizione non opera nel caso di separazione personale tra coniugi.

 

[13] Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18078 (Foro It., 2014, 12, 1, 3481). La sospensione della prescrizione tra i coniugi, prevista in via generale dall'art. 2941, n. 1, c.c., non si applica ai coniugi legalmente separati (nella specie, con riferimento ai ratei dell'assegno di mantenimento).

 

 

[14] Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2013, n. 15481 (Pluris, Wolters Kluwer Italia). La violazione dei diritti fondamentali della persona è configurabile anche all’interno di una unione di fatto, che abbia, beninteso, caratteristiche di serietà e stabilità, avuto riguardo alla irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti, riconosciuti, ai sensi dell’art. 2 Cost., in tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo Del resto, ferma restando la ovvia diversità dei rapporti personali e patrimoniali nascenti dalla convivenza di fatto rispetto a quelli originati dal matrimonio, è noto che la legislazione si è andata progressivamente evolvendo verso un sempre più ampio riconoscimento, in specifici settori, della rilevanza della famiglia di fatto.

[15] Art. 4 (Famiglia anagrafica)

1. Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.

2. Una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona.

 

[16] Art. 13 (Dichiarazioni anagrafiche)

1. Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai responsabili di cui all'art. 6 del presente regolamento concernono i seguenti fatti: a) trasferimento di residenza da altro comune o dall'estero ovvero trasferimento di residenza all'estero; b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza; c) cambiamento di abitazione; d) cambiamento dell'intestatario della scheda di famiglia o del responsabile della convivenza; e) cambiamento della qualifica professionale; f) cambiamento del titolo di studio.

2. Le dichiarazioni anagrafiche di cui al comma 1 devono essere rese nel termine di venti giorni dalla data in cui si sono verificati i fatti. Le dichiarazioni di cui al comma 1, lettere a), b), e c), sono rese mediante una modulistica conforme a quella predisposta dal Ministero dell'interno, d'intesa con l'Istituto nazionale di statistica, e pubblicata sul sito istituzionale del Ministero dell'interno.

3. Le dichiarazioni anagrafiche di cui al comma 1 sono sottoscritte di fronte all'ufficiale d'anagrafe ovvero inviate al comune competente, corredate dalla necessaria documentazione, con le modalità di cui all'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Il comune pubblica sul proprio sito istituzionale gli indirizzi, anche di posta elettronica, ai quali inoltrare le dichiarazioni.

3-bis. L'ufficiale d'anagrafe provvede alla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti degli interessati, ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

4. Le dichiarazioni anagrafiche sono esenti da qualsiasi tassa o diritto.

 

Gianfranco Dosi
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Lessico di diritto di famiglia