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LESSICO DI DIRITTO DI FAMIGLIA®
CONVIVENZA DI FATTO E ASSEGNO DI DIVORZIO - Aggiornamento a cura dell'avv. Giorgia Loreti - Novembre 2021

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Se la convivenza di fatto del beneficiario dell’assegno divorzile possa essere equiparata alle nuove nozze

Il penultimo comma dell’articolo 5 della legge sul divorzio (legge 1° dicembre 1970, n. 898, nel testo modificato dapprima dalla legge 1° agosto 1978, n. 436 e successivamente dalla legge 6 marzo 1987, n. 74) prevede la cessazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile se il beneficiario dell’assegno divorzile passa a nuove nozze.

Automaticamente e di conseguenza vengono meno anche tutti gli altri benefici connessi all’assegno divorzile, come la pensione di reversibilità (art. 9), l’eventuale assegno periodico a carico dell’eredità (art. 9-bis) e l’eventuale quota di indennità di fine rapporto (art. 12-bis).

Il motivo di questo azzeramento dei diritti post-coniugali va ricercato nelle norme stesse che disciplinano il matrimonio, essendo evidente che il nuovo nucleo familiare formatosi con le nuove nozze del beneficiario dell’assegno, diventa unico riferimento dei diritti e dei doveri coniugali di assistenza e di contribuzione reciproca indicati per i coniugi nell’art. 143 del codice civile.

La perdita quindi dei diritti post-coniugali di mantenimento si verifica per il semplice fatto della celebrazione del nuovo matrimonio, indipendentemente dalle condizioni economiche del nuovo coniuge.

Nelle strategie personali che caratterizzano le vicende post-coniugali la decisione se contrarre nuovo matrimonio può essere anche, quindi, largamente influenzata dalle conseguenze delle nuove nozze sui diritti di natura economica. Così il beneficiario dell’assegno divorzile per evitare la perdita del diritto al mantenimento e i benefici ad esso direttamente collegati può determinarsi, nel caso in cui si leghi ad un nuovo partner, a non contrarre un nuovo matrimonio, decidendo invece soltanto di convivere di fatto.

Il problema che la giurisprudenza si è, quindi, trovata a dover affrontare – in assenza di una disposizione legislativa che attribuisca alla convivenza di fatto gli stessi effetti delle nuove nozze – è se la convivenza di fatto intrattenuta dal beneficiario dell’assegno divorzile possa avere la medesima conseguenza di determinare ugualmente il venir meno del diritto al mantenimento.

Per giungere ad una soluzione del genere occorrerebbe considerare omogenee le due situazioni: il matrimonio e la convivenza di fatto.

La Corte costituzionale, però, non ha mai ritenuto plausibile questa assimilazione ritenendo che la situazione del convivente more uxorio sia del tutto diversa da quella cui dà vita il matrimonio, essendo la convivenza soltanto un mero rapporto di fatto, privo del carattere della stabilità, suscettibile di venir meno in qualsiasi momento e improduttivo di quei diritti e doveri reciproci nascenti dal matrimonio e propri della famiglia legittima. La diversità che caratterizza la convivenza more uxorio - fondata sull’affectio quotidiana, liberamente e in ogni istante revocabile - rispetto al rapporto coniugale caratterizzato da stabilità e certezza giuridica e dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri- è tale, secondo la Corte costituzionale, da impedire l’automatica parificazione delle due situazioni, ai fini di una identità di trattamento fra i rispettivi regimi giuridici. La famiglia di fatto, quindi, non può essere ricondotta nell’ambito della protezione offerta dall’art. 29 della Costituzione (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”) e quindi non è di per sé incostituzionale la mancata estensione alla famiglia di fatto della disciplina giuridica prevista per la famiglia coniugale. Convivenza more uxorio e matrimonio sono dunque due situazioni diverse.

Questo punto di vista – pur mai espressamente affermato dalla Corte costituzionale con riferimento al penultimo comma dell’art. 5 della legge sul divorzio che dispone, come detto, la cessazione del diritto al mantenimento coniugale nel caso di nuove nozze - è stato, però, sistematicamente ribadito in tutte le sentenze con le quali la Corte ha negato l’estensione alla convivenza more uxorio delle norme che disciplinano il rapporto coniugale.

È stata, così, esclusa l’applicabilità al convivente more uxorio della causa di giustificazione dello stato di necessità (art. 384 codice penale) di chi commette determinati reati “per salvare sé medesimo o un prossimo congiunto dal pericolo di un grave e inevitabile nocumento nella libertà” perché il convivente more uxorio non può essere omologato al “prossimo congiunto” (Corte cost. 18 novembre 1986, n. 237; Corte cost. 18 gennaio 1996, n. 8).

È stata esclusa l’estensione al convivente more uxorio della causa di non punibilità prevista nell’art. 649 del codice penale per i reati contro il patrimonio commessi in danno del proprio coniuge (Corte cost. 17 aprile 1988, n. 423; Corte cost. 25 luglio 2000, n. 352).

Si è esclusa la possibilità di parificare il convivente more uxorio al coniuge nella successione legittima (Corte cost. 26 maggio 1989, n. 310) o per ciò che concerne il requisito del rapporto matrimoniale da oltre tre anni previsto per gli adottanti nell’originario testo della legge 4 maggio 1983, n. 184 sull’adozione dei minori (Corte cost. 6 luglio 1994, n. 281). Questa norma è stata poi modificata dal legislatore consentendo di tenere conto nel triennio in questione anche della eventuale convivenza che abbia preceduto il matrimonio.

È stato escluso che la sospensione della prescrizione tra coniugi prevista nell’art. 2941 codice civile possa essere applicata anche alla convivenza more uxorio (Corte cost. 29 gennaio 1998, n. 2).

Si è escluso che per i conviventi possano trovare applicazione le regole processuali della separazione coniugale (Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166).

Si è affermato che il divieto di espulsione dello straniero coniugato, salvo che per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (art. 17 legge 6 marzo 1998, n.40, attuale art. 19 Testo Unico 286/1998) non vale per lo straniero convivente more uxorio (Corte cost. 20 luglio 2000, n. 313).

Si è escluso che il convivente more uxorio abbia diritto alla pensione di reversibilità prevista per il coniuge (Corte cost. 3 novembre 2000, n. 461) anche se, in caso di più beneficiari, la quota di pensione di reversibilità all’ex coniuge titolare di assegno divorzile può anche essere conteggiata tenendo conto dell’eventuale periodo di convivenza more uxorio con il coniuge deceduto (Corte cost. 14 novembre 2000, n. 491).

Si è escluso che in caso di cessazione della convivenza more uxorio possa succedere al conduttore il convivente rimasto ad abitare nell’immobile (Corte cost. 11 luglio 2003, n. 204; Corte cost. 14 gennaio 2010, n. 7: diritti oggi però riconosciuti al dalla legge 20 maggio 2016, n. 765) mentre Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404 aveva ammesso il convivente more uxorio a succedere nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore (quando vi sono figli: oggi anche senza figli secondo quanto previsto nella legge 20 maggio 2016, n. 76).

Pertanto si può concludere che in base all’orientamento consolidato della Corte costituzionale sulla impossibilità di considerare la convivenza more uxorio assimilabile al matrimonio, non è ipotizzabile che la convivenza more uxorio del beneficiario dell’assegno divorzile possa determinare automaticamente, come le nuove nozze, la cessazione del diritto al mantenimento divorzile.

Gianfranco Dosi
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