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LESSICO DI DIRITTO DI FAMIGLIA®
CONSENSO INFORMATO

I

Il consenso informato come forma di tutela del diritto all’autodeterminazione e del diritto alla salute

Il consenso informato – oggi compiutamente disciplinato dalla la legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) - inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e ha trovato sempre fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 della Costituzione (richiamati espressamente dall’art 1 della nuova legge), i quali stabiliscono, rispettivamente, che “la libertà personale è inviolabile”, e che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

La circostanza che il consenso informato trovi il suo fondamento nei principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all'art. 32, secondo comma, della Costituzione.

Queste affermazioni si rinvengono in Corte cost. 23 dicembre 2008, n. 438 e Corte cost. 30 luglio 2009, n. 253 con le quali si è affermato il divieto per la legislazione regionale di disciplinare la regolamentazione del consenso informato, rimessa alla esclusiva competenza del legislatore statale ex art. 117, comma 3, Costituzione (che è stata esercitato appunto con l’approvazione della legge 219/2017). A questi principi fondamentali si è richiamata non solo la giurisprudenza civile e penale ordinaria - come si vedrà in prosieguo - ma anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. III, 21 giugno 2017, n. 3058).

Anche numerose norme internazionali hanno previsto la necessità del consenso informato del paziente nell'ambito dei trattamenti medici.

L'art. 5 della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall'Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145, prevede che “un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato”. Secondo la convenzione di Oviedo la persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso." (art. 5). La Convenzione stabilisce inoltre la necessità del consenso di un "rappresentante" del paziente nel caso in cui questo sia un minore o sia impedito ad esprimersi. Infine la Convenzione stabilisce che "I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione."

L'art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, sancisce che “ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica” e che nell'ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, “il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”.

L'art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, premesso che gli Stati “riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione”, dispone che “tutti i gruppi della società in particolare i genitori ed i minori ricevano informazioni sulla salute e sulla nutrizione del minore”.

La necessità che il paziente sia posto in condizione di conoscere il percorso terapeutico è anche già da tempo contenuto in diverse leggi nazionali – oggi da considerare integrate e assorbite dai principi e dalle norme della legge 22 dicembre 2017, n. 219 - che già disciplinavano specifiche attività mediche: ad esempio, dall'art. 3 della legge 21 ottobre 2005, n. 219 (Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati), dall'art. 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nonché dall'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), il quale prevede che le cure sono di norma volontarie e nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se ciò non è previsto da una legge.

Il consenso informato deve essere considerato, quindi, un principio fondamentale in materia di tutela della salute e il suo presupposto indefettibile va rinvenuto nella scelta, libera e consapevole della persona che a quel trattamento si sottopone, salvo i casi di necessità e di incapacità di manifestare il proprio volere.

La giurisprudenza ha ben riassunto questi principi in Cass. civ. Sez. III, 11 novembre 2019, n. 28985 dove viene chiarito ormai molto chiaramente che la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria, costituisce esercizio di un autonomo diritto soggettivo all'autodeterminazione proprio della persona fisica, diverso e distinto dal diritto alla salute inteso quale diritto del soggetto alla propria integrità psico-fisica. Ogni individuo ha, perciò, il diritto di ricevere leinformazioniin ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; ciò al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente agli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione.

Nella medesima prospettiva Cass. civ. Sez. III, 15 novembre 2019, n. 29709 secondo cui l’omessa informativa alla gestante, sia in forma diagnostica che in forma terapeutica, comporta per il sanitario la responsabilità contrattuale e l’illecito aquiliano per lesione del diritto di autodeterminazione. Affermando quetso principio la Cassazione chiarisce che il sanitario, al di fuori delle eccezioni previste dall'ordinamento (intervento urgente senza possibilità di informare alcuno, neppure incaricato dalla persona che ne ha necessità o comunque ad essa prossimo; casi specifici stabiliti dalla legge ai sensidell'art. 32 Cost., comma 2), ha sempre l'obbligo di informare, in modo completo e adeguato, la persona su cui si appresta ad espletare la sua attività sanitaria o su cui già l'ha esercitata - sia in forma diagnostica che in forma terapeutica -, in quest'ultima ipotesi dovendo rappresentarle le possibili conseguenze e le possibili prosecuzioni di attività diagnostica e/o terapeutica; obbligo che, pertanto, non può essere mai scisso dall'obbligo di espletare correttamente l'attività sanitaria in senso tecnico, per cui il sanitario che ha espletato in modo corretto la sua attività sanitaria in senso tecnico ma non ha fornito l'adeguata informazione alla persona interessata è sempre inadempiente nella responsabilità contrattuale, mentre in quella extracontrattuale viola sempre il diritto costituzionale di autodeterminazione, limite della sua autonomia professionale.

Gianfranco Dosi
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Lessico di diritto di famiglia