I
La tutela della genitorialità nel lavoro
Nel settore della tutela del lavoro si è assistito negli ultimi cinquant’anni al passaggio graduale da una visione sostanzialmente protezionistica (Legge 30 dicembre 1971, n. 1204 "Tutela delle lavoratrici madri") ad una normativa molto articolata di tutela delle parità tra lavoratrici e lavoratori, avviata dapprima con la fondamentale legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro) e successivamente soprattutto con la legge 8 marzo 2000, n. 53 ("Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città") [1] che al suo articolo 15, al fine di conferire organicità e sistematicità alle norme in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, delegava il Governo ad emanare un decreto legislativo recante il Testo unico di tutte le disposizioni legislative vigenti in materia.
Il Testo unico veniva emanato con il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) che al suo interno disciplina analiticamente i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e alla paternità.
Il Testo unico è stato successivamente integrato e modificato tra l’altro dal D. lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), dalla legge 28 giugno 2012 n. 92 (Riforma del lavoro), nonché dal D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 80 (Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro), dalla legge 22maggio 2017, n. 81 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato).
In particolare con il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 80, il governo ha dato attuazione alla delega contenuta nella legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro). L’art. 1, comma 8, della delega, “allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali, attraverso misure volte a tutelare la maternità delle lavoratrici e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e lavoro per la generalità dei lavoratori”, aveva affidato al governo l’emanazione di uno o più decreto legislativi “per la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. Nell’ambito di questa delega è stato modificato un numero significativo di disposizioni del Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, incidendo in particolare sugli istituti del congedo di maternità, di paternità e sul congedo parentale, introducendo nuove forme di tutela (come il congedo per le donne vittime di violenza di genere) ed estendendo il novero dei diritti riconosciuti nell’area del lavoro autonomo e delle libere professioni.
Fondamentale è stato naturalmente l’impulso della legislazione europea. Il riferimento è alla direttiva n. 96/34/CE in materia di congedi parentali (che ha dato l’avvio a quel moto di riforma realizzato con la sopra citata legge 8 marzo 2000, n. 539) e alla successiva Direttiva 2010/18/UE dell’8 marzo 201 che ha attuato un accordo quadro in materia di congedo parentale volto ad agevolare la conciliazione delle responsabilità familiari e professionali dei genitori che lavorano, tenendo conto della crescente diversità delle strutture familiari nel rispetto delle leggi, dei contratti collettivi e/o delle prassi nazionali.
La parte più mirata alla tutela della genitorialità nel lavoro (dipendente ed autonomo) è contenuta soprattutto in quella parte che concerne storicamente il settore dell’astensione dal lavoro
Le forme di tutela dei genitori lavoratori sono diverse:
a) Congedo di maternità (previsto nel capo III del Testo unico, dall’art. 16 all’art. 27) è la forma di astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice durante i due mesi che precedono la data presunta del parto (con la flessibilità prevista dall’art. 20 che consente l’astensione a partire dal mese precedente alla data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, con l’autorizzazione medica che attesta che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro) e durante i tre mesi successivi. L’inosservanza del divieto è punita con l’arresto fino a sei mesi (art. 18 del Testo unico). Nel periodo di astensione obbligatoria l’indennità giornaliera è pari all’80% della retribuzione (art. 22 Testo unico) ed è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia ed è incompatibile con il trattamento di disoccupazione. L’art. 54 del Testo unico prevede il divieto di licenziamento dall’inizio del periodo di gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino[2].
In materia di congedo di maternità meritano di essere segnalati gli aggiustamenti, operati con il D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 80 resi necessari dall’intervento della Corte costituzionale del 2011 (Corte cost. 4 aprile 2011, n. 116) che aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 16, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consente, nell'ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d'ingresso del bambino in casa dopo il ricovero. In tale ipotesi, infatti, la madre, una volta dimessa e pur in congedo obbligatorio, non può svolgere alcuna attività per assistere il figlio ricoverato; nel frattempo, però, il periodo di astensione obbligatoria decorre, ed ella è obbligata a riprendere l'attività lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa, sicché il fine di proteggere il rapporto, che dovrebbe instaurarsi tra madre e figlio nel periodo immediatamente successivo alla nascita, rimane di fatto eluso. Precedente specifico in argomento è la sentenza Corte cost. 30 giugno 1999, n. 270 che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, lett. c) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui non prevedeva, per l'ipotesi di parto prematuro, una decorrenza dei termini del periodo dell'astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino.
b) Congedo di paternità (previsto nel capo IV del Testo unico, nell’art. 28) è il diritto derivato (ma autonomo se la madre non è lavoratrice) di astenersi dal lavoro, riconosciuto al padre lavoratore per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua non goduta dalla lavoratrice. Spetta solo in presenza di tre distinte situazioni accomunate dalla assoluta impossibilità dell’assistenza materna: il decesso o la grave infermità della madre (Corte cost. 19 gennaio 1987, n. 1); l’abbandono del figlio da parte della madre (certificato da una autodichiarazione del padre); l’affidamento esclusivo del bambino al padre (certificato da documentazione giudiziaria). Il trattamento economico è uguale a quello previsto per il congedo di maternità. Nei casi di fruizione del congedo in questione trovano applicazione le norme sul divieto di licenziamento per la durata del congedo e fino al compimento di un anno di età del bambino (art. 54 del Testo unico)[3].
La normativa – soprattutto dopo le modifiche introdotte con il D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 80 – prevede anche la parificazione tra padre lavoratore autonomo e padre libero professionista quanto alla possibilità di fruizione del congedo di paternità.
c) Congedo parentale (cui è riservato l’intero capo V del testo unico dall’art. 23 all’art. 38), espressione con cui ci si riferisce specificamente al diritto di entrambi i genitori di assentarsi dal lavoro per assistere i figli fino al dodicesimo anno di età.
d) Riposi e permessi giornalieri (previsti per la madre e per il padre nel capo VI del Testo unico dall’art. 39 all’art. 46). Durante il primo anno di vita del bambino la lavoratrice madre ha diritto a due periodi di riposo, della durata di un’ora ciascuno, anche cumulabili durante la giornata (art. 39 Testo unico). Se l’orario di lavoro è inferiore a sei ore giornaliere il periodo di riposo è di un’ora soltanto.
Ai sensi dell’art. 40 del Testo unico il diritto ai periodi di riposo è altresì riconosciuto al padre lavoratore nel caso in cui i figli siano affidati solo al padre; in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; in caso di morte o di grave infermità della madre. Una precisazione importante è stata fatta nella giurisprudenza amministrativa dove si è fatto notare che la normativa in questione appare orientata ad assicurare la necessaria assistenza materna al bambino nella prima fase della sua esistenza (primo anno di vita)e per questo essa prevede, come proprio obbiettivo diretto, il diritto ad appositi riposi giornalieri per le lavoratrici madri; il diritto del padre ad avvalersi di riposi allo scopo sorge solo in difetto della materiale possibilità per la madre di provvedere alle esigenze del bambino: perciò la legge dispone che egli possa giovarsene tutte le volte che la madre sia esclusa o impedita da circostanze oggettive, il cui rilievo non esige dunque valutazioni (casi di affidamento del figlio al solo padre, caso di morte o grave infermità della madre) o sostenuta da ragioni soggettive che giustifichino, in concreto, un proprio impedimento e che la inducano a non avvalersi della facoltà di legge ovvero che la costringano a non potere assicurare comunque l'assistenza necessaria al bambino nei tempi e nelle modalità richiesti nel suo primo anno di vita. Quello del padre non è, insomma, un diritto "proprio", indipendente e parallelo al diritto riconosciuto alla madre. Esso ha una funzione surrogatoria e può essere perciò invocato solo quando non sia possibile assicurare altrimenti al bambino un'adeguata assistenza nella prima fase della sua esistenza (Cons. Giust. Amm. Sic., 20 dicembre 2012, n. 1241).
La retribuzione rimane la stessa e l’indennità è però rimborsata al datore di lavoro dall’Inps attraverso conguagli con gli importi contributivi dovuti all’ente. In caso di figli con handicap grave i riposi in questione si estendono fino al terzo di età del figlio.
All’interno della normativa sui riposi giornalieri vanno ricordati i riposi e i permessi per i figli con handicap grave (previsti originariamente nell’art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 ed ora nell’art. 42 del Testo Unico) che consentono ai genitori del figlio con handicap in situazione di gravità - e in alternativa al prolungamento del periodo di congedo parentale (di cui si dirà più oltre) – di godere di due ore di riposo giornaliero retribuito. Successivamente al compimento dei tre anni età della persona con handicap grave trova applicazione il comma 3 dell’art. 33 della legge 104/92 il cui testo prevede che “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente”.
Il tema, molto articolato, delle persone affette da handicap è trattato in altra sede[4]
e) Congedo per malattia del figlio (previsto nel capo VII del Testo unico dall’art. 47 a 52). Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto di astenersi dal lavoro per periodi corrispondenti alle malattie di ciascun figlio di età non superiore ai tre anni e nel limite di cinque giorni lavorativi all’anno per le malattie di ogni figlio di età compresa tra i tre e gli otto anni (art. 42 Testo unico). Questi congedi spettano al genitore richiedente anche quando l’altro genitore non ne abbia diritto ma la fruizione del congedo deve essere alternata, cioè i genitori non possono fruirne contemporaneamente per gli stessi giorni. Il trattamento economico non subisce alterazioni.
f) Congedo per le donne lavoratrici vittime di violenza
È stato introdotto dall’art. 24 del D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 80[5] (e fatto oggetto della circolare Inps del 16 aprile 2016) e prevede che le donne lavoratrici vittime di violenza possano chiedere al proprio datore di lavoro uno speciale congedo che consente di assentarsi dal lavoro per un dato periodo senza perdere laretribuzione, e di dedicarsi al recupero fisico e mentale. Il congedo presuppone un episodio di violenza motivato in base al genere sessuale che causi alla donna un danno fisico o mentale o una sofferenza fisica o mentale. È riconosciuto alle donne lavoratrici del settoreprivatoe del settorepubblico. Per fruire del congedo è necessario che la donna lavoratrice vittima di violenza sia inserita in unpercorsoper donne vittime di violenza di genere come da certificato dei servizi sociali comunali o dai centri di violenza o da una casa rifugio.
[1] Gli obiettivi della legge sono ben chiariti nel primo articolo: Art. 1. (Finalità) 1. La presente legge promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, mediante: a) l'istituzione dei congedi dei genitori e l'estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap; b) l'istituzione del congedo per la formazione continua e l'estensione dei congedi per la formazione; c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale.
[2] Per tutti gli altri diritti riconosciuti alla madre cfr la voce MATERNITA’
[3] Per tutti gli altri diritti riconosciuti al padre cfr la voce PATERNITA’
[4] cfr la voce HANDICAP
[5] D. Lgs 15 giugno 2015, n. 80. Art. 24 (Congedo per le donne vittime di violenza di genere).
1. La dipendente di datore di lavoro pubblico o privato, con esclusione del lavoro domestico, inserita nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza o dai centri antiviolenza o dalle case rifugio di cui all'articolo 5-bis decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, ha il diritto di astenersi dal lavoro per motivi connessi al suddetto percorso di protezione per un periodo massimo di tre mesi.
2. Le lavoratrici titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, debitamente certificati dai servizi sociali del Comune di residenza o dai Centri antiviolenza o dalle Case rifugio di cui all'articolo 5-bis, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, hanno diritto alla sospensione del rapporto contrattuale per motivi connessi allo svolgimento del percorso di protezione, per il periodo corrispondente all'astensione, la cui durata non può essere superiore a tre mesi.
3. Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al presente articolo, la lavoratrice, salvo casi di oggettiva impossibilità, è tenuta a preavvisare il datore di lavoro o il committente con un termine di preavviso non inferiore a sette giorni, con l'indicazione dell'inizio e della fine del periodo di congedo e a produrre la certificazione di cui ai commi 1 e 2.
4. Durante il periodo di congedo, la lavoratrice ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa. L'indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l'importo dell'indennità dall'ammontare dei contributi previdenziali dovuti all'ente previdenziale competente. Per i dipendenti dei predetti datori di lavoro privati, compresi quelli per i quali non è prevista l'assicurazione per le prestazioni di maternità, l'indennità di cui al presente comma è corrisposta con le modalità di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33. Tale periodo è computato ai fini dell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, nonché ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto.
5. Il congedo di cui al comma 1 può essere usufruito su base oraria o giornaliera nell'arco temporale di tre anni secondo quanto previsto da successivi accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione collettiva, delle modalità di fruizione del congedo, la dipendente può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria. La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell'orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo.
6. La lavoratrice di cui al comma 1 ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale, verticale od orizzontale, ove disponibili in organico. Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere nuovamente trasformato, a richiesta della lavoratrice, in rapporto di lavoro a tempo pieno.
7. Restano in ogni caso salve disposizioni più favorevoli previste dalla contrattazione collettiva.