I
Il problema della successione nel contratto e dell’opponibilità al terzo acquirente della casa familiare concessa in comodato
Le disposizioni sull’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio non contengono previsioni dirette a disciplinare tutte le situazioni giuridiche e tutti i titoli di detenzione con i quali il provvedimento di assegnazione può interferire.
In particolare non esistono previsioni normative che disciplinano l’ipotesi in cui la casa familiare è stata concessa in comodato.
Si tratta di una lacuna che ha creato sempre molti problemi, dal momento che il comodato -in genere senza predeterminazione di durata e comunque valido anche senza atto scritto[1] - costituisce uno strumento frequentemente adottato da genitori o dai parenti quale soluzione del problema abitativo in favore delle giovani coppie che contraggono matrimonio (Trib. La Spezia, 17 gennaio 2018 lo definisce in questi casi “comodato familiare”).
La giurisprudenza applica comunque i medesimi
principi generali seguiti in materia di assegnazione in sede di separazione e
di divorzio per quanto concerne innanzitutto i presupposti collegati
all’interesse dei figli (Cass. civ. Sez. VI – 1, 13 dicembre 2018, n. 32231).
In passato il comodato non è stato fatto oggetto di significativi approfondimenti in giurisprudenza, mentre sono stati dibattuti e affrontati soprattutto i problemi della locazione, in particolare il problema della successione nel contratto di locazione della casa familiare e quello dell’opponibilità ai terzi acquirenti dell’assegnazione della casa in sede di separazione e divorzio.
La successione nel contratto di locazione della casa familiare era stata regolamentata dalla legge sull’equo canone (legge 27 luglio 1978, n. 392) che all’articolo 6 prevede, appunto, il diritto di successione del coniuge separato nel contratto di locazione. Questa disciplina venne estesa al convivente more uxorio in presenza di figli comuni (Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404) ma non in mancanza di figli (Corte cost. 11 giugno 2003, n. 204 e Corte cost. 14 gennaio 2010, n. 7), fino alla legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) che al comma 44 dell’art. 1 prevede oggi che, indipendentemente dall’esistenza di figli, “nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha diritto di succedergli nel contratto”[2].
Ebbene, quanto previsto per la locazione è stato ritenuto pacificamente applicabile anche al comodato “ricorrendo la medesima ratio dell’interesse della prole a non abbandonare la casa familiare” (Cass. civ. Sez. III, 4 marzo 1998, n. 2407; Cass. civ. Sez. III, 17 luglio 1996, n. 6458) e giustificandosi l’estensione della norma sulla locazione ad ogni ipotesi in cui i coniugi si siano procurati l’uso dell’abitazione familiare sulla base di un contratto di godimento (Cass. civ. Sez. Unite, 21 luglio 2004, n. 13603). Qualche dubbio potrebbe essere sollevato sull’estensione del principio ai conviventi di fatto senza figli dato il tenore letterale dell’art. 1, comma 44, della legge 76/2016.
L’altro problema, quello dell’opponibilità al terzo acquirente della vendita della casa familiare concessa in comodato, è stato affrontato applicandosi alla casa familiare un’unica disciplina – quella della trascrizione e della conseguente opponibilità dell’assegnazione (già art. 155-quater, ora 337-sexies codice civile) - prescindendo dal titolo specifico di godimento. In proposito è stato espressamente ribadito con una sentenza del 1997 (Cass. civ. Sez. III, 20 ottobre 1997, n. 10258) e con la richiamata pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione del 2004 (Cass. civ. Sez. Unite, 21 luglio 2004, n. 13603) che costituisce situazione da considerare del tutto ragionevole quella dell’opponibilità dell’assegnazione nei confronti del terzo acquirente, con i limiti posti dal codice civile, anche nell’ipotesi in cui la casa familiare sia stata concessa in comodato. Situazione questa confermata anche recentemente da Cass. Sez. I, 22 luglio 2015, n. 15367 che affronta anche il tema dei mezzi a disposizione del terzo acquirente per sopperire alla inerzia della parte che sarebbe interessata a far valere il venir meno dei presupposti dell’assegnazione.
Si deve osservare che 2002 le Sezioni Unite erano state investite della questione, controversa, relativa ai limiti di opponibilità del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al terzo acquirente. In tale occasione avevano affermato che ai sensi dell’art. 6, comma 6, legge 1 dicembre 1970, n. 898 nel testo sostituito dall’art. 11 legge 6 marzo 1987 n. 74 (“L’assegnazione in quanto trascritta è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’articolo 1599 codice civile”), che era stato ritenuto applicabile anche in tema di separazione personale (Corte cost., 27 luglio 1989, n. 454), “il provvedimento di assegnazione, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero - ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto - anche oltre i nove anni” (Cass. civ. Sez. Unite, 26 luglio 2002, n. 11096). In effetti l’art. 1599 del codice civile limita l’opponibilità delle locazioni non trascritte ad un novennio dall’inizio della locazione.
Successivamente al 2002, però, la riforma sull’affidamento condiviso (legge 8 febbraio 2006, n. 54) unificò le tutele dei figli (in caso di separazione, divorzio e controversie tra genitori non coniugati) nell’unico art. 155-quater c.c. nel quale scompariva il riferimento all’art. 1599. Il testo della norma (ora diventato art. 337-sexies) così si esprime: “Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’articolo 2643”. Ciò ha lascerebbe intendere che la trascrizione sia diventata presupposto indefettibile di opponibilità dell’assegnazione al terzo acquirente senza che possa sopravvivere la salvezza dell’opponibilità quanto meno per un novennio.
Tuttavia, parallelamente, con la riforma della filiazione del 2013 (Decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154) veniva abrogato quasi tutto l’art. 6 della legge sul divorzio (a causa dell’unificazione delle tutele nell’art. 155-quater, poi diventato art. 337-sexies) di cui, però, inspiegabilmente non veniva abrogato il comma 6 sull’assegnazione della casa familiare (che contiene ancora il riferimento all’art, 1599 c.c.). Non è assolutamente chiaro il senso di questa mancata abrogazione. Molti parlano di svista del legislatore.
Ci si deve chiedere allora se possa continuare ad essere applicato l’orientamento delle Sezioni unite del 2002 precedente alla riforma dell’art. 155-quater (oggi art. 337-sexies) che aveva esteso alla separazione la norma del divorzio (inspiegabilmente non abrogata) sull’opponibilità dell’assegnazione ai sensi dell’art. 1599[3].
Le ultime pronunce di legittimità su questo argomento (Cass. civ. Sez. II, 22 aprile 2016, n. 8202 e Cass. civ. Sez. I, 22 luglio 2015, n. 15367) hanno richiamato (sia pure senza che la questione fosse il tema della decisione) la tesi della opponibilità quanto meno per un novennio in caso di mancata trascrizione, occupandosi di vicende a cui era, però, applicabile ratione temporis l’art. 155-quater nell’interpretazione data dalle Sezioni Unite nel 2002.
È per l’opponibilità quanto meno per un novennio anche Trib. Palermo Sez. II, 12 febbraio 2016.
È ragionevole ipotizzare che la tutela quanto meno per un novennio in caso di mancata trascrizione del provvedimento di assegnazione possa essere considerata ancora attuale e mantenuta (secondo il principio elaborato da Cass. civ. Sez. Unite, 26 luglio 2002, n. 11096)
In conclusione di questa premessa va anche ricordato che le controversie in materia di comodato di immobili urbani – per esempio, appunto quella derivanti dalla richiesta di rilascio dell’immobile in comodato - soggiacciono, a norma dell'art. 447 bis c.p.c., al rito relativo alle controversie in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie (Cass. civ. Sez. III, 12 aprile 2006, n. 8611).
[1] Trib. Padova Sez. I, 5 settembre 2017 avverte molto opportunamente che il godimento, a titolo gratuito, di un immobile si inquadra necessariamente nel contratto di comodato disciplinato dagli artt. 1803 e ss. c.c. mentre Trib. Cassino, 22 settembre 2014 ricorda che il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, può essere provato anche per testi e per presunzioni.
[2] Cass. civ. Sez. II, 17 ottobre 2017, n. 24479 e Cass. civ. Sez. II, 27 settembre 2017, n. 22667 hanno sostanzialmente escluso che il familiare superstite possa sostenere di aver usucapito l’immobile in cui ha vissuto insieme al proprietario deceduto, affermando che ove ci si trovi di fronte a comodato di alloggio ad uso abitativo, il comodato stesso costituisce una detenzione, e non quindi un possesso ad usucapionem, in favore tanto del comodatario, quanto dei familiari con lo stesso abitanti, con la conseguenza che il familiare che si opponga alla richiesta di risoluzione del comodato sostenendo di avere usucapito il bene deve provare l'intervenuta interversione del possesso e non solo il mero potere di fatto (detenzione qualificata) sull'immobile. Il principio è estensibile anche al convivente more uxorio sul presupposto (ribadito da molte decisioni, tra cui Cass. civ. Sez. II, 2 gennaio 2014, n. 7 e Cass. civ. Sez. II, 21 marzo 2013, n. 7214, che la convivenza determina, sulla casa di abitazione ove si svolge il programma di vita in comune, un potere di fatto del convivente tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata (e non del possesso).
[3] Sulla discutibile e inspiegabile coesistenza tra l’art. 337 quater c.c. (valido per la separazione, il divorzio e la regolamentazione dell’affidamento dei figli nati fuori del matrimonio) che ai fini dell’opponibilità richiama il solo art. 2643 c.c. e l’art. 6, comma 6 della legge sul divorzio (immotivatamente escluso dall’abrogazione di quasi tutto l’art. 6 dalla riforma sulla filiazione del 2013) che richiama l’art. 1599 c.c. cfr la voce ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE.