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LESSICO DI DIRITTO DI FAMIGLIA®
AVVOCATO DEL MINORE (nei procedimenti civili)

I

La riforma del 2001 con cui è stata introdotta nel nostro sistema processuale civile la figura dell’avvocato del minore

a) La legge 28 marzo 2001, n. 149

L’avvocato del minore ha fatto ingresso nel nostro sistema processuale civile con la legge 28 marzo 2001, n. 149 che ha previsto l’obbligo dell’assistenza legale per il minore e per i genitori nelle procedure di limitazione e di decadenza della potestà (oggi responsabilità) genitoriale e in quelle per la dichiarazione di adottabilità. Si è trattato di un intervento legislativo di straordinaria importanza, applicato, però – come si dirà - senza particolare entusiasmo dalla giurisprudenza e di cui l’avvocatura non ha saputo sfruttare tutta la portata.

La legge 28 marzo 2001, n. 149 in realtà si era occupata di un tema più ampio, modificando in molte parti la legge 4 maggio 1983 n. 184 sull’adozione e sull’affidamento dei minori, a cominciare dal titolo (che è diventato “diritto del minore ad una famiglia”) e dall’impianto processuale. All’interno di questa riforma è stata introdotta anche l’assistenza legale obbligatoria per i genitori e per i minori nelle procedure di adottabilità (nuovo testo degli articoli 8, ultimo comma e 10, comma 2, della legge 184 del 1983, come modificati rispettivamente dall’art. 8 e dall’art. 10 della legge 149 del 2001) e nei procedimenti di limitazione e decadenza della potestà genitoriale (art. 336, ultimo comma c.c. come introdotto dall’art. 37 della legge 149 del 2001).

In particolare, nella formulazione introdotta dalla legge di riforma, l’ultimo comma dell’art. 8 della legge 184 del 1983 stabilisce il principio che “il procedimento di adottabilità deve svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti di cui al comma 2 dell’art. 10” (cioè i parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore) mentre sempre il predetto secondo comma dell’art. 10 prevede che, all’atto dell’apertura del procedimento, i genitori e i parenti devono essere espressamente invitati dal giudice a nominare un difensore; in difetto deve essere loro nominato un difensore di ufficio.

Per i procedimenti di limitazione e decadenza della potestà genitoriale l’art. 37 della legge 149 del 2001 ha modificato l’art. 336 c.c. aggiungendovi un ultimo comma nel quale si prevede che “per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore”. La frase di chiusura “anche a spese dello Stato nei casi previsti dalle legge” che compariva nel testo originario è stata successivamente soppressa dall’art. 299 del Testo unico sulle spese di giustizia (DPR 30 maggio 2002, n. 115).

Quindi nel 2001 il legislatore introduceva il principio dell’assistenza legale obbligatoria per i genitori e per il minore nei procedimenti di adottabilità e di controllo della potestà dei genitori interessando, così, pressoché la totalità degli affari civili attribuiti alla competenza del tribunale per i minorenni.

Con queste norme faceva anche ingresso nell’ordinamento l’inedita figura del difensore di ufficio nel processo civile. L’espressione si riferisce certamente al difensore d’ufficio nominato dal giudice in difetto di quello di fiducia per i genitori, ma è anche riferibile senz’altro al difensore del minore la cui nomina è certamente prevista quale compito del giudice se non altro – nell’interpretazione riduttiva che, come si dirà, è emersa in giurisprudenza - allorché non ne abbiamo uno nominato direttamente dal tutore o dal curatore speciale.

Al di là dell’applicazione che è stata fatta della riforma, resta comunque l’importante acquisizione del diritto di difesa garantito dalla riforma ai genitori e al minore davanti al tribunale per i minorenni. La stessa Corte costituzionale ebbe modo, subito dopo la riforma, di ricordare come la legge 149 del 2001 avesse avuto il merito di valorizzare il contraddittorio nei procedimenti civili minorili in base alla previsione generale dell’art. 111 della Costituzione sul giusto processo nella formulazione introdotta dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 e secondo i principi che la stessa Corte costituzionale faceva discendere in sede minorile da questa importante riforma della Costituzione (Corte cost. 30 gennaio 2002, n. 1).

Parallelamente alla riforma del 2001 un altro significativo momento di valorizzazione dell’esigenza di una tutela forte dei diritti del minore è stata la ratifica ad opera della legge 20 marzo 2003, n. 77 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori (firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996) la quale dando attuazione ai principi della Convenzione internazionale di New York del 1989 sui diritti dei minori, indicava le modalità e i principi attraverso cui realizzare compiutamente il diritto del minore ad esprimere la propria opinione nei procedimenti che lo riguardano e ad essere affiancato da un proprio autonomo rappresentante quando i genitori non sono in grado di rappresentarlo a causa di un conflitto di interessi o di una limitazione della potestà. L’art. 5 della Convenzione di Strasburgo espressamente esorta gli Stati a valutare l’opportunità di attribuire ai minori il diritto di chiedere, anche essi stessi, la designazione di un rappresentante speciale “se del caso un avvocato”.

Tuttavia, come si vedrà, la giurisprudenza si è orientata per una semplice conferma della prassi di nominare al minore non un avvocato – come la riforma del 2001 avrebbe voluto - quanto un curatore speciale. L’ordinamento giuridico attribuisce, infatti, ai genitori che esercitano la potestà le funzioni di rappresentanza giuridica del minore (art. 320 c.c.) e prevede che in talune circostanze – che integrano situazioni varie di conflitto di interessi tra il minore e i suoi genitori – l’autorità giudiziaria debba nominare al minore un curatore speciale che lo possa rappresentare in sostituzione dei genitori (art. 320, 321 c.c. e art. 78, 79 e 80 c.p.c. in sede civile nonché art. 120 e 121 c.p. e 90 comma 2 c.p.p. in sede penale).

Il fatto che nella prassi giudiziaria le funzioni di curatore speciale del minore sono in genere attribuite ad avvocati e che di conseguenza la figura dell’avvocato del minore era in qualche modo già presente nel precedente sistema processuale, non sminuisce l’importanza della riforma.

Nelle intenzioni dei codici le funzioni di curatore speciale non erano, né necessariamente avrebbero dovuto essere, attribuite ad un avvocato ed infatti la norma che in sede processuale civile prevede la nomina del curatore speciale è collocata tra quelle riferite alle parti (art. 75 ss c.p.c.) e non ai difensori (art. 82 ss c.p.c.). Tuttavia, poiché nei casi più significativi, le funzioni di curatore speciale finiscono per doversi esercitare anche processualmente, nella prassi giudiziaria si attribuiscono, in genere, soprattutto ad avvocati le funzioni di curatore speciale nel ragionevole intendimento di evitare al curatore speciale di dover nominare egli stesso, a sua volta, un avvocato per agire o resistere in giudizio.

La legge 28 marzo 2001, n. 149 - prevedendo l’assistenza del difensore, nella prospettiva di un processo civile più giusto di fronte ad un tribunale per i minorenni più terzo - spostava l’attenzione dalla rappresentanza sostanziale del minore (da parte dei genitori o del curatore speciale) alla difesa processuale. Ed è proprio questa prospettiva che metteva bene in evidenza come la riforma avesse un’importanza il cui significato e la cui portata storica andavano ben oltre la disciplina che veniva introdotta. Si riconosceva, infatti, al minore, nei casi indicati dalla riforma, la qualità di parte processuale e si collocava con determinazione la difesa dei suoi diritti nel contesto della giurisdizione all’interno delle regole del processo.

In tutti i casi in cui la riforma ha previsto la nomina di un difensore al minore, si è in presenza di una situazione di conflitto di interessi tra il minore i suoi genitori. Si trattava perciò di verificare se la nomina del difensore – al quale indubbiamente sono attribuite funzioni di assistenza e di rappresentanza (art. 82 c.p.c.) – dovesse considerarsi sostitutiva della nomina di un curatore speciale o se nei casi in cui il giudice è chiamato a nominare al minore un difensore sia comunque necessaria e sufficiente la nomina di un curatore speciale.

Sebbene da un punto un punto di vista strettamente normativo (art. 320 ultimo comma c.c., art. 78 cpv c.p.c.) la riforma non intendeva certamente eliminare l’onere del giudice di nominare un curatore speciale, sostitutivo dei genitori, in tutti i casi in cui è oggi previsto, tuttavia era del tutto ragionevole ipotizzare che nei procedimenti d adottabilità e de potestate, considerata l’inequivocabile intenzione del legislatore, la funzione di rappresentante sostanziale (curatore speciale) potesse restare assorbita dalla nomina di un difensore, appunto un avvocato del minore che assumesse nel processo le funzioni anche di rappresentanza sostanziale del minore.

Il che avrebbe dato vita alla nascita di una nuova categoria di avvocati la cui funzione primaria sarebbe stata la difesa dei minori.

La Corte costituzionale – riconoscendo come plausibili i numerosi rinvii dell’entrata in vigore della riforma, dal 2001 in poi, effettuati con decreti legge – aveva espressamente affermato che la decretazione di urgenza era legittima giacché la riforma del 2001 “non contiene specifiche disposizioni in ordine alla difesa d’ufficio in favore dei genitori e dei minori. Dalla carenza di tali disposizioni potrebbe infatti, come si rileva anche dalla relazione del Governo ai rispettivi disegni di legge di conversione, nonché più in generale dal relativo dibattito parlamentare, derivare un pregiudizio alla effettività del diritti di difesa del minore, soprattutto tenendo conto della necessità di avvalersi nei procedimenti in questione di professionisti in possesso di competenze adeguate alla particolarità e alla delicatezza della funzione stessa” (Corte cost. 22 giugno 2004, n. 178). Una posizione ben differente culturalmente da quella che in passato la stessa Corte aveva espresso allorché aveva dichiarato non fondati i dubbi di costituzionalità sollevati sul sistema precedente che non prevedeva fin dall’inizio del procedimento l’obbligatorietà della difesa (Corte cost. 10 maggio 1995, n. 160; Corte cost. 22 giugno 1989, n. 351).

Quindi il Parlamento e la Corte costituzionale avevano ben chiara la prospettiva che la riforma del 2001 aveva aperto, che non era quella di estendere l’applicazione dell’istituto del curatore speciale sebbene quella di introdurre la figura dell’avvocato del minore.

Si sarebbe trattato di una rivoluzione copernicana nella giustizia civile minorile ma, come si è sopra anticipato, la direzione in cui si è mossa in seguito la giurisprudenza di legittimità è stata un’altra.

È prevalsa la tesi – apertamente riduzionistica – secondo cui il principio dell’“assistenza del minore” (nuovo art. 8 della legge 184 del 1983 e nuovo ultimo comma dell’art. 336 c.c.) non comporta il dovere del giudice di nominare egli un difensore al minore. È in sostanza rimasto in piedi il sistema precedente di nomina da parte del giudice del curatore speciale anche nei procedimenti di adottabilità e de potestate (oltre che in tutti gli altri in cui la legge già lo prevedeva) con la conseguenza che l’avvocato del minore altro non è se non l’avvocato del curatore speciale.

b) L’entrata in vigore della riforma nel luglio del 2007

Considerata la natura primaria del diritto di difesa e l’importanza della funzione processuale assolta dal difensore, il legislatore – come si è sopra detto – aveva previsto nella riforma introdotta con la legge 149 del 2001 l’obbligo dell’assistenza legale e quindi l’obbligo di nomina per i genitori (o i parenti) di un difensore di ufficio nell’ipotesi in cui siano privi di quello di fiducia, sebbene questa previsione fosse espressamente riferita non ai procedimenti di limitazione o decadenza della potestà (oggi responsabilità) genitoriale, ma soltanto alle procedure di adottabilità (art. 10, comma 2, legge 184 del 1983 nel testo riformato) con disposizione che, essendo da considerare eccezionale, non può essere direttamente applicata analogicamente nei procedimenti de potestate ex art. 336 del codice civile dove nulla si prevede in ordine alla nomina di un difensore di ufficio ai genitori. Quindi per i genitori (o per i parenti) l’obbligo di nomina dell’avvocato da parte del giudice rimane circoscritto ai soli casi in cui nel procedimento di adottabilità essi siano privi del difensore di fiducia. L’obbligo non si estende ai procedimenti de potestate dove quindi, ove i genitori non abbiano un loro difensore, nessun obbligo di nomina di un legale di ufficio sussiste. Questa soluzione – che certamente non è del tutto ragionevole – in difetto di una espressa previsione da parte del legislatore è l’unica che è finora apparsa nella prassi compatibile con il testo della riforma.

A differenza, però, del difensore dei genitori (o dei parenti) nei procedimenti di adottabilità, la cui nomina d’ufficio è condizionata alla mancata nomina di un difensore di fiducia, la nomina del difensore del minore secondo la ragionevole interpretazione della riforma avrebbe dovuto essere sempre effettuata d’ufficio dal giudice, sia nel caso delle procedure di adottabilità (art. 8 ultimo comma della legge 4 maggio 1983 n. 184 nel testo riformato), sia nelle procedure di limitazione e decadenza della potestà genitoriale (art. 336 ultimo comma c.c. nel testo riformato). Non è, infatti, ipotizzabile che il minore nomini un proprio difensore di fiducia, quanto meno allo stato della normativa vigente che potrebbe, però, prevederlo sulla base delle indicazioni sovranazionali (art. 5, sopra ricordato, della Convenzione europea del 1996 sull’esercizio dei diritti dei minori). D’altra parte, il conflitto di interessi tra minore e suoi genitori, in entrambe le situazioni, rende del tutto inimmaginabile che in tali circostanze i genitori possano nominare essi stessi al figlio minore un difensore di fiducia, come avviene invece nel processo penale minorile dove non c’è alcun conflitto di interessi tra i genitori e il loro figlio imputato di un determinato reato.

Tuttavia nel nostro ordinamento processuale civile – in cui la nomina del difensore di ufficio è sostanzialmente nel processo civile un istituto ancora sconosciuto - non esiste né una disciplina dei criteri e dei requisiti per la nomina e per la retribuzione di tale difensore (a differenza di quanto avviene nel processo penale dove la legge di riforma 6 marzo 2001, n. 60 ha disciplinato la difesa d’ufficio prevedendo specifiche modalità per la nomina dei difensori e per la loro retribuzione), né una disciplina processuale soddisfacente per l’emanazione dei provvedimenti di limitazione o decadenza della potestà genitoriale.

Il legislatore avrebbe, quindi, dovuto anche introdurre una specifica normativa di attuazione. Viceversa la legge 149/2001 non contiene nulla di più delle scarne indicazioni relative alla nomina del difensore che sono state illustrate.

Per questi motivi il Governo dopo la riforma del 2001 intervenne più volte rinviando l’entrata in vigore della riforma con molteplici decreti legge, sempre poi rinnovati di anno in anno, in cui si stabiliva che “fino all’emanazione di una composita disciplina sulla difesa d’ufficio” nei procedimenti di adottabilità e “fino all’emanazione di nuove disposizioni che regolano i procedimenti di cui all’art. 336 c.c.” continuano ad applicarsi le disposizioni processuali vigenti.

Poiché la legge 28 marzo 2001, n. 149 non contiene alcuna previsione in ordine alle modalità per la nomina del difensore d’ufficio nelle procedure di adottabilità “in tale situazione – si legge testualmente nella Relazione ai decreti di proroga della riforma – il principio di effettività della difesa, cui la riforma in materia di procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità ha inteso ispirarsi, incontra forti limiti, ove si tenga conto da un lato della necessità di affidare l’incarico a professionisti in possesso di competenze qualificate in considerazione della delicatezza della funzione da assolvere (così come già avviene per il settore penale ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 e dell’art. 15 del D. Lgs 28 luglio 1989, n. 272) e, dall’altro, della sostanziale inadeguatezza dell’attuale legge sul gratuito patrocinio nei giudizi civili, avuto riguardo alle condizione di povertà necessarie per l’ammissione. E ciò sia che, per quanto attiene ai requisiti soggettivi, si vogliano ritenere applicabili le disposizioni di cui alla legge 533/1973, in conformità all’orientamento di una parte della dottrina, sia che si ritengano invece applicabili le disposizioni sul gratuito patrocinio nei procedimenti civili, secondo l’orientamento prevalente dei giudici minorili. Di conseguenza – continua la Relazione – uno strumento di maggior tutela, come la difesa d’ufficio, viene a tradursi in un maggior onere a carico di soggetti i quali, pur appartenendo di norma alle fasce economicamente più deboli, non potranno accedere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Una riconsiderazione di tali aspetti appare, quindi necessaria al fine di assicurare la effettività della difesa sia nei confronti dei genitori che dei minori per i quali sia stato aperto un procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, anche attraverso un collegamento tra la difesa d’ufficio e l’onere delle spese a carico dello Stato, così come previsto dalla citata legge 60 del 2001”.

Per quanto riguarda i procedimenti de potestate di cui all’art. 336 c.c. la Relazione motivava la necessità della proroga dell’entrata in vigore della riforma sul presupposto che “la previsione della difesa tecnica contenuta nella legge di riforma necessita di una revisione del procedimento che si svolge davanti al tribunale per i minorenni nelle forme del procedimento in camera di consiglio e cioè secondo norme procedurali che necessitano di una modifica, anche a seguito della novellazione dell’art. 111 della Costituzione. È quindi necessario regolare le modalità e i tempi attraverso i quali deve esercitarsi l’attività difensiva; comunque la inadeguatezza dell’attuale legge sul gratuito patrocinio pone seri ostacoli ad un effettivo esercizio del diritto di difesa, non potendosi porre l’onere delle spese a carico dello Stato se non nelle ipotesi previste dalla attuale normativa in materia di gratuito patrocinio, nei giudizi civili, ancorate a condizioni di povertà del richiedente”.

L’effettività della riforma sull’assistenza legale del minore dei genitori veniva, quindi, prorogata, di anno in anno dal 2001, sia per la mancanza di norme sui criteri di nomina e di qualificazione dei difensori nei procedimenti civili di adottabilità e di limitazione e decadenza della potestà - a differenza di quanto avviene nel settore della difesa penale dei minorenni dove sono previste specifiche norme di nomina e di qualificazione (cfr art. 11 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 e art. 15 del D. Lgs 28 luglio 1989, n. 272) - sia per la mancanza di norme sulle modalità di retribuzione dell’avvocato (modalità, invece, previste dalla legge 60/2001 per la difesa dei minorenni nei procedimenti penali).

Improvvisamente e senza alcuna ragione specifica dal 2007 il Governo non ha più prorogato la riforma (non essendo più stati pubblicati decreti legge di proroga) e nel luglio di quell’anno la riforma è entrata definitivamente in vigore, senza nessuna norma, però, sulla nomina e sui criteri di qualificazione del difensore del minore (e dei genitori) e senza nessuna indicazione sulla sua retribuzione. Sei anni (dal 2001 al 2007) trascorsi, quindi, inutilmente.

È stata perciò la giurisprudenza a dover colmare, in parte, questa lacuna.

Gianfranco Dosi
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