I
L’obbligo di ascoltare il minore in tutte le procedure che lo riguardano
Il diritto del minore di essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano è stato affermato in termini generali sostanzialmente per la prima volta nella Convenzione internazionale di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo (termine che nella traduzione italiana della Convenzione fa riferimento al minore di età) ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176. Al primo comma dell’articolo 12 si afferma che il fanciullo capace di discernimento ha “il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa” e che “le opinioni del minore saranno debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”. Il secondo comma precisa “a tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”.
In applicazione di questi principi la Convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 25 gennaio 1996 (ratificata dall’Italia con la legge 20 marzo 2003, n. 77) ha disciplinato l’obbligatorietà l’audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano. L’art. 3 – che si occupa dei diritti procedurali del minore – espressamente prescrive che ad ogni minore considerato dal diritto interno avente un sufficiente discernimento sono conferiti i seguenti tre diritti: a) il diritto di ricevere ogni informazione pertinente; b) il diritto di essere consultato ed esprimere la sua opinione, c) il diritto di essere informato delle possibili conseguenze dell’attuazione della sua opinione e di ogni decisione. L’art. 5 auspica che gli Stati riconoscano ai minori il “diritto di essere assistiti da una persona appropriata di loro scelta per aiutarli ad esprimere la loro opinione”. L’art. 6, infine, impone all’autorità giudiziaria prima di adottare qualsiasi decisione: a) di accertarsi se il minore capace di discernimento abbia ricevuto ogni informazione pertinente, b) di consultarlo personalmente, se del caso e se necessario in privato, direttamente o attraverso altre persone o organi, nella forma che riterrà più appropriata a meno che ciò sia in contrasto con gli interessi superiori del minore stesso, c) di consentire al minore di esprimere la sua opinione; d) di tenere debitamente conto dell’opinione espressa.
L’art. 24 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione europea del 7.12.2000 proclama che “i bambini possono esprimere liberamente la propria opinione: questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità”.
Il Regolamento CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 sulle cause matrimoniali prevede all’art. 23 che ogni decisione presa in uno Stato europeo può non essere riconosciuta negli altri Stati “se è stata resa senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato”.
In caso di sottrazione internazionale di un minore la Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 (ratificata dall’Italia solo con la legge 15 gennaio 1994, n. 64) e lo stesso Regolamento europeo n. 2201/2003 prevedono che il rimpatrio del minore sottratto da un genitore all’altro possa essere rifiutato “qualora si accerti che il minore si oppone al ritorno e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del su parere”.
In vigore dal 22 luglio 2019 è il Regolamento della Comunità Europea 25 giugno 2019, n. 2019/1111/UE che all’art. 21 disciplina il diritto del minore ad esprimere la propria opinione:
Nel nostro ordinamento interno la normativa che per la prima volta ha previsto e disciplinato l’ascolto del minore è quella relativa alle procedure di adottabilità (legge 4 maggio 1983, n. 184 poi modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149). Nel corso del procedimento teso alla dichiarazione di adottabilità deve sempre “essere sentito il minore che ha compiuto i dodici anni e anche il minore di età inferiore in considerazione della sua capacità di discernimento” (art. 10, ult. comma; art. 15, comma 2). Analogamente deve avvenire allorché si tratta di emettere un provvedimento di affidamento preadottivo (art. 22, comma 6; art. 23, comma 1) e ugualmente al momento in cui si tratta di dichiarare l’adozione (art. 25, comma1, dove addirittura si prescrive che il minore che ha compiuto i 14 anni deve manifestare il proprio consenso).
La normativa sull’adozione ha fatto da apripista nell’indicazione del limite di età prima del quale l’ascolto del minore è condizionato all’accertamento di un livello accettabile di discernimento e oltre il quale invece è obbligatoria l’audizione.
L’obbligatorietà dell’ascolto – con la medesima demarcazione del confine di età prima del quale l’ascolto è subordinato all’accertamento di una sufficiente maturità del bambino - è stata successivamente prescritta nelle procedure contenziose di separazione e divorzio e per quelle relative all’affidamento di figli nati fuori del matrimonio nell’articolo 155-sexies del codice civile (nel testo inserito dalla legge 14 febbraio 2006, n. 54, oggi articolo 337-octies, dopo la riforma operata con la legge 10 dicembre 2012, n. 219 e con il D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) dove si prevede che “Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’art. 337-ter [provvedimenti riguardo ai figli nel procedimento di separazione, divorzio o affidamento] il giudice dispone l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”.
La riforma operata con la legge 219/2012 ha poi aggiunto nel medesimo articolo 337-octies del codice civile per il caso in cui non si tratti di una procedura contenziosa, la precisazione che “nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo”.
La medesima riforma ha adeguato al principio anche l’articolo 4 della legge sul divorzio che al quarto comma contiene ora la precisazione che all’udienza di comparizione iniziale il giudice emette gli eventuali provvedimenti temporanei e urgenti “…disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”.
La novità della riforma del 2012 e 2013 sulla filiazione sta soprattutto, però, nel fatto di aver esteso espressamente a qualsiasi procedura giudiziaria – e non solo a quelle relative all’affidamento in sede di scissione della coppia genitoriale – il diritto del minore ad essere ascoltato. Il principio generale è stato specificato nel nuovo articolo 315-bis del codice civile il quale è intitolato “Diritti e doveri del figlio” e al secondo comma precisa solennemente che “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.
Sempre la medesima riforma ha chiarito anche quali devono essere le modalità dell’ascolto del minore prescrivendo in proposito nell’articolo 336-bis del codice civile che “Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato. L’ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento. Prima di procedere all’ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto. Dell’adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video”.
Secondo l’articolo 38-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile – introdotto dall’articolo 96 del D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 di attuazione della legge - “i difensori, il curatore speciale e il pubblico ministero non devono richiedere l’autorizzazione del giudice allorché l’ascolto avviene con mezzi tecnici quali l’uso di uno specchio unitamente ad impianto citofonico”.
Quindi l’ordinamento italiano contiene – dopo le riforme del 2013 - una disciplina giuridica ben definita e molto chiara sull’ascolto del minore nell’ambito delle procedure giudiziarie che lo riguardano.
Ed è, a tale proposito, anche opportuno segnalare che le norme introdotte con le riforme del 2013 rendono in parte anche superati i molti protocolli sull’ascolto del minore che sono stati negli ultimi anni approvati in alcuni tribunali italiani e divulgati anche sulle riviste giuridiche. I protocolli in questione, infatti, regolamentavano aspetti che ora la legge ha indicato con molta precisione.
Qualche perplessità è stata sollevata sulle norme che consentono in alcune ipotesi al giudice (contrasto con l’interesse del minore o manifesta superfluità dell’ascolto), sia pure con provvedimento motivato, di escludere l’ascolto, o di escludere i genitori, i difensori, il curatore e addirittura il pubblico ministero dai momenti riservati all’ascolto del minore (ove non esistano locali o attrezzature idonee alla salvaguardia della serenità del minore). Sarà la prassi nei tribunali a verificare se queste perplessità sono fondate o meno e sarà la giurisprudenza che dovrà costruire le regole minime per evitare che questa discrezionalità possa vanificare le prospettive di piena attuazione del diritto del minore all’ascolto.
La giurisprudenza ha ormai richiamato in moltissime decisioni con rigore e continuità, la funzione primaria che ha l’ascolto nel garantire l’effettività della tutela dei diritti del minore nei procedimenti che lo riguardano (Cass. civ. Sez. I, 27 marzo 2017, n. 7762; Cass. civ. Sez. I, 7 marzo 2017, n. 5676; Cass. civ. Sez. I, 2 febbraio 2017, n. 2770; Cass. civ. Sez. I, 12 maggio 2016, n. 9780; Cass. civ. Sez. I, 9 giugno 2015, n. 11890; Cass. civ. Sez. I, 21 aprile 2015, n. 8100; Cass. civ. Sez. I, 26 marzo 2015, n. 6129; Cass. civ. Sez. I, 10 settembre 2014, n. 19007; Cass. civ. Sez. I, 31 marzo 2014, n. 7479; Cass. civ. Sez. I, 31 marzo 2014, n. 7478).