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LESSICO DI DIRITTO DI FAMIGLIA®
APPELLO NELLA SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO

I

Il quadro normativo

Nei procedimenti di appello avverso le sentenze di separazione e di divorzio non si applicano le regole prescritte per il processo di cognizione dal codice di procedura civile[1] in quanto l’art. 4, comma 15[2] della legge sul divorzio (legge 1° dicembre 1970, n. 898, nel testo modificato dalla legge 4 marzo 1987 n. 74) prevede che “L'appello è deciso in camera di consiglio”, con disposizione che la giurisprudenza continua ragionevolmente a ritenere applicabile alla separazione in virtù dell’art. 23 della legge 74/1987 (“Fino all’entrata in vigore del nuovo testo del codice di procedura civile, ai giudizi di separazione personale dei coniugi si applicano in quanto compatibili le regole di cui all’art. 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 8 della presente legge”) nonostante la miniriforma degli articoli 706-711 del codice di procedura civile dovuta al decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, n. 80.

Più che fare riferimento all’art. 23 della legge 74/1987 è corretto parlare dell’esistenza di un principio di reciproca applicazione analogica che governa le norme sul rito della separazione e del divorzio.

L’art. 5 comma 5 della legge sul divorzio, chiarisce che la sentenza è impugnabile da ciascuna delle parti e che il pubblico ministero può ai sensi dell'art. 72 del codice di procedura civile, proporre impugnazione limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci.

Per quanto attiene all’appello delle sentenze di divorzio non definitive l’art. 4, comma 12[3] della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nel testo modificato dalla legge 4 marzo 1987 n. 74, prevede che “Nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell'assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Avverso tale sentenza è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all'articolo 10”[4] Il rito camerale è applicabile in virtù di quanto previsto per le sentenze in genere dal comma 15 (già comma 10 prima della miniriforma del 2005).

Anche in sede di separazione è prevista la possibilità di sentenze non definitive di separazione. L’art. 709-bis, comma 2, c.p.c. introdotto dalla mini riforma del 2005 dispone – espressamente prevedendo la trattazione con rito camerale - che “Nel caso in cui il processo debba continuare per la richiesta di addebito, per l'affidamento dei figli o per le questioni economiche, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa alla separazione. Avverso tale sentenza è ammesso soltanto appello immediato che è deciso in camera di consiglio”.

Pertanto l’appello in sede di separazione e divorzio (sia delle sentenze definitive che di quelle non definitive) segue sempre il rito camerale.

Questa caratteristica procedurale dell’appello finisce per “cameralizzare” l’intero procedimento di separazione e divorzio, tanto da rendere inammissibile in sede di separazione o divorzio il cumulo soggettivo con domande relative a materie per le quali è prevista la trattazione con il rito a cognizione ordinaria (esempio la divisione di un bene o il risarcimento dei danni) in quanto il terzo comma dell’art. 40 c.p.c. – che dispone la prevalenza del rito ordinario in caso di domande da trattare con riti diversi – non richiama espressamente l’ipotesi del cumulo soggettivo (art. 33 c.p.c.) ma si riferisce solo alle cause accessorie (art. 31) a quelle di garanzia (art. 32), agli accertamenti incidentali (art. 34) e all’eccezione di compensazione (art. 35)[5].

Il rito camerale da applicare – con le precisazioni che si faranno più avanti - è quello previsto nel libro quarto del codice di procedura civile (Dei procedimenti speciali), titolo II (Dei procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone), capo sesto (Disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio) agli articoli 737 – 742 bis[6], depurato delle caratteristiche originarie della volontaria giurisdizione e arricchito delle garanzie del contraddittorio, trattandosi di procedimento contenzioso su diritti contrapposti.

In ordine alla cameralizzazione delle cause di separazione e divorzio va osservato che il rito camerale non è previsto espressamente tra i tre riti principali ai quali il legislatore ha fatto riferimento nel decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 sulla semplificazione dei riti (rito a cognizione ordinaria, rito del lavoro, rito sommario di cognizione) e che le stesse prospettive di riforma del processo civile sembrano andare nella direzione di una utilizzazione di un rito caratterizzato dalla celerità e da un minor tasso di formalizzazione. Nonostante ciò il modello camerale non è stato soppresso (il decreto legislativo del 2011 sui riti civili ha espressamente escluso di intervenire sui procedimenti in materia di famiglia e minoriper i quali il Governo si riservava di intervenite nell’ambito della istituzione del tribunale della famiglia e delle persone) e continua ad essere il riferimento processuale dei giudizi in cui prevalgono esigenze di tutela di interessi e diritti deboli soprattutto dei minori[7].


[1] Libro II, Del processo di cognizione; Titolo III, Le impugnazioni; capo II, Dell’appello; articoli 339-359.

[2] Già comma 12 prima delle miniriforma operata dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 di modifica del decreto legge 14 marzo 2015, n. 35.

[3] Già comma 10 prima della miniriforma operata dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 di modifica del decreto legge 14 marzo 2015, n. 35.

[4] L’art. 10 della legge sul divorzio prevede l’obbligo di trasmissione delle sentenze di divorzio passate in giudicato da parte del cancelliere all’ufficio di stato civile per le annotazioni di legge.

[5] Cass. civ. Sez. I, 30 agosto 2004, n. 17404 sull’inammissibilità del cumulo soggettivo tra divorzio e domanda di adempimento di una scrittura privata; Cass. civ. Sez. I, 6 dicembre 2006, n. 26158 sull’inammissibilità del cumulo soggettivo tra domanda di divorzio e domanda di divisione di un bene comune; Cass. civ. Sez. I, 8 settembre 2014, n. 18870 sull’inammissibilità del cumulo soggettivo tra domanda di separazione e domanda di risarcimento dei danni per violazione dei doveri coniugali.

[6] Art. 737 (Forma della domanda e del provvedimento)

I provvedimenti, che debbono essere pronunciati in camera di consiglio, si chiedono con ricorso al giudice competente e hanno forma di decreto motivato, salvo che la legge disponga altrimenti.

Art. 738 (Procedimento)

Il presidente nomina tra i componenti del collegio un relatore, che riferisce in camera di consiglio.

Se deve essere sentito il pubblico ministero, gli atti sono a lui previamente comunicati ed egli stende le sue conclusioni in calce al provvedimento del presidente.

Il giudice può assumere informazioni.

Art. 739 (Reclami delle parti)

Contro i decreti del giudice tutelare si può proporre reclamo con ricorso al tribunale, che pronuncia in camera di consiglio. Contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio in primo grado si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d'appello, che pronuncia anch'essa in camera di consiglio.

Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto se è dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione se è dato in confronto di piu' parti.

Salvo che la legge disponga altrimenti, non è ammesso reclamo contro i decreti della Corte d'appello e contro quelli del tribunale pronunciati in sede di reclamo.

Art. 740 (Reclami del pubblico ministero)

Il pubblico ministero, entro dieci giorni dalla comunicazione, può proporre reclamo contro i decreti del giudice tutelare e contro quelli del tribunale per i quali è necessario il suo parere.

Art. 741 (Efficacia dei provvedimenti)

I decreti acquistano efficacia quando sono decorsi i termini di cui agli articoli precedenti senza che sia stato proposto reclamo.

Se vi sono ragioni d'urgenza, il giudice può tuttavia disporre che il decreto abbia efficacia immediata.

Art. 742 (Revocabilità dei provvedimenti)

I decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca.

Art. 742-bis (Ambito di applicazione degli articoli precedenti)

Le disposizioni del presente capo si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio, ancorché non regolati dai capi precedenti o che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone.

[7] Art. 38, comma 3, Disposizioni di attuazione del codice civile. “Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero…”.

Gianfranco Dosi
Lessico di diritto di famiglia