I
La protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia dopo la legge 9 gennaio 2004, n. 6
Prima della legge 9 gennaio 2004, n. 6[1] il sistema di protezione dei soggetti “incapaci di provvedere ai propri interessi” era costruito sostanzialmente intorno ai due istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione (titolo XII del primo libro del codice civile). In tale contesto l’interdizione “doveva”[2] essere pronunciata allorché un maggiorenne (o un minore emancipato) si trovasse in condizioni di abituale infermità di mente che lo rendeva incapace di provvedere ai propri interessi, mentre l’inabilitazione “poteva”[3] essere pronunciata nel caso in cui l’infermità di mente non fosse talmente grave da far luogo all’inabilitazione. Il codice di procedura civile integrava questo sistema con proprie apposite disposizioni.
La legge 9 gennaio 2004, n. 6 – che ha modificato la denominazione del titolo XII del codice civile (“Delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia”) – ha operato una rivoluzione sistematica introducendo nel capo I la nuova misura di protezione dell’amministrazione di sostegno[4] e rimodellando nel capo II l’interdizione e l’inabilitazione, ivi compresa la norma (art. 428 c.c. “Atti compiuti da persona incapace di intendere e di volere”) sugli effetti di quella che la riforma, aderendo al linguaggio della prassi, ha correttamente indicato con il nome di “incapacità naturale”[5].
L’amministrazione di sostegno, destinata di fatto a soppiantare quasi completamente le altre misure (che, considerata la fortuna e la diffusione negli ultimi anni dell’amministrazione di sostegno, potrebbero essere oggi del tutto abrogate), è perciò ora al centro del nuovo sistema di protezione dei soggetti “incapaci” (in un’ottica meno custodialistica e maggiormente orientata al rispetto della dignità umana ed alla cura complessiva della persona e della sua personalità, e non già del solo suo patrimonio: Cass. civ. Sez. I, 12 giugno 2006, n. 13584; Cass. civ. Sez. VI – 1, 26 luglio 2018, n. 19866; Corte cost. 13 giugno 2019, n. 144) fondato su nuovi importanti principi che in questi ultimi anni la Corte costituzionale e la giurisprudenza di legittimità e di merito, come si vedrà, hanno individuato e perimetrato con grande efficacia.
[1] Legge 9 gennaio 2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali). In appendice, per comodità di lettura delle numerose questioni che verranno qui approfondite, è riportato il testo delle norme del codice civile e del codice di procedura civile implicate dalla riforma.
[2] Il previgente testo dell’art. 414 c.c. affermava che tali soggetti “devono essere interdetti” (“Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, devono essere interdetti”).
[3] Il previgente testo dell’art. 415 c.c. prevedeva che “Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all’interdizione, può essere inabilitato”.
[4] Capo I (Dell’amministrazione di sostegno) che occupa lo spazio degli articoli dal 404 al 413 che disciplinavano l’affiliazione abrogata dall’art. 77 della legge 4 maggio 1983, n. 184 sull’adozione dei minori.
[5] Capo II (Della interdizione, della inabilitazione e della incapacità naturale)